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lunedì 21 marzo 2016

In memoria delle studentesse Erasmus morte in Spagna.

13 studentesse sono morte, di cui 7 italiane, molte quelle ferite.
La tragedia del bus affollato di partecipanti all'Erasmus schiantatosi sull’autostrada spagnola mi strazia come exuniversitario, come europeista convinto, come padre.
13 i sogni e percorsi interrotti per sempre. Una perdita per tutti noi. Più grave e definitiva per chi le ha amate personalmente, profonda anche in chi - come noi - sul loro futuro appoggiva parte del proprio.  
I sorrisi delle ragazze, presi da qualche loro profilo social pensato per entrare in contatto e fare rete, dilagano sui media e ti tolgono il respiro interrompendo qualsiasi logica che avrebbe previsto un semestre di studio all’estero per arricchirne il bagaglio di conoscenze e iniziare a costruire quel tesoro di relazioni internazionali che è oggi la chiave di volta per ogni percorso professionale di qualità.

Ho appreso dell’esistenza dell’Erasmus nel 1989 quando nella mia università arrivarono alcuni studenti spagnoli organizzati in un progetto europeo ancora sconosciuto. A nessuno della mia facoltà era stato invece prospettato di parteciparvi perché era considerato “Una perdita di tempo utile solo a ritardare la laurea”. Me ne è dunque rimasto il rimpianto suffragato dalle decine di persone conosciute a cui l’Erasmus ha cambiato la vita, aperto la mente, dato opportunità, consentito di emanciparsi, di capire come in molti ambiti l’Italia sia poco più di un’isoletta e neppure delle più interessanti se non messa in relazione col resto del mondo.

L’Erasmus è di gran lunga l’iniziativa europea di maggior successo e con impatti maggiori sulla popolazione. Sono i soldi più ben spesi. Creano da decenni assieme uno spazio immenso di sviluppo e circolazione della conoscenza, abbattono pregiudizi nazionalisti, mettono a confronto idee e vite, danno senso allo spesso vuoto slogan “Europa dei popoli”. Gettano le basi per le future generazioni di europei.

Colpisce poi come tutte le vittime siano donne. Colpisce di meno se penso a come le donne rappresentino la maggioranza degli studenti universitari, specia tra quelli non fuori corso, e come spesso siano dotate di una maggiore capacità di comprensione della complessità, e di adattamento al cambiamento inteso anche come dimensione geopolitica e scientifica di rilievo. Economia, Medicina, Farmacia erano alcuni dei loro ambiti di studio, tutte scienze in piena trasformazione, in cui riesci se sei onnivoro di sapere e determinato negli obiettivi che ti poni, e se ami la vita nelle sue sfaccettature più serie e più ludiche.

Come padre non riesco a commentare: osservo mia figlia e trovo in me zero parole disponibili a riempire il vuoto.    


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