Ci sono pensieri che possono essere articolati solo in post
politicamente scorretti. Quello che percepisco nell’aria, unito al tifone dell’elezione di Trump in USA, mi spingono a buttare giù queste righe
sperando di non perdere lucidità di analisi e, forse, concedendomi un po’ di
cinismo.
Per lavoro, da tempo mi occupo dei temi del cosiddetto Audience
Development inteso come il processo di allargamento e diversificazione
del pubblico nella cultura e di miglioramento delle condizioni complessive di
fruizione della lettura, dei musei, dell’ arte.
Sì, è bello, stimolante. Si tratta di fidelizzare, trovare
nuove occasioni di interesse, attrarre le persone con mezzi e messaggi, saper ascoltare,
coinvolgere e creare partecipazione, specie di nuovo pubblico.
Sì, è una gran sfida. Si fanno in merito parecchi progetti. Per
riuscire nell’intento si usa molto il gioco (la gamification della cultura), si aprono i Musei la notte, si
inventano gli ingressi gratuiti, si mette ovunque Realtà Aumentata,
si convincono archeologi sbigottiti a ‘svecchiare’ forma e linguaggio del loro
lavoro, si stravolgono le esibizioni mettendo le ninfee di Monet davanti ai
video di una gita al lago, si inventano mostre tipo “Da Tutankhamon alla Lamborghini” che dovrebbero allargare il
pubblico interessato.
Soprattutto si tenta di affrontare quelle che a detta di
molti sono le cause prime della
disaffezione del pubblico per l’arte, la cultura, la lettura, l’approfondimento:
il costo, il tempo a disposizione,
programmi poco interessanti, ubicazioni scomode.
Si fa tutto con l’idea che modificando i mezzi si possano trovare
nuovi pubblici a cui diffondere i messaggi.
Osservando i
risultati e gli impatti (ad es. l’ebook non ha cambiato di una virgola il
mercato del libro è anzi esso stesso in diminuzione di vendite),
mi convinco sempre di più che la missione non è compiuta perché le cause
identificate sono quelle sbagliate. E i messaggi (di ogni tenore) non arrivano perché
troppe persone non sono in grado di capirli.
Provo a vedere le cose da un altro punto di vista.
Circa il 30% degli italiani soffre di analfabetismo
funzionale (dati OCSE, alcune fonti
arrivano a oltre il 40%), cioè pur avendo a disposizione tutti gli
strumenti culturali di base per leggere e scrivere, non è in grado di
interpretare dati che siano aggregati in una forma complessa. Non è, ad
esempio, in grado di comprendere la posologia di un farmaco, una polizza
assicurativa, un libretto di istruzioni, e non riesce a capire un articolo di
giornale, o a elaborare ragionamenti su grafici e tabelle. Infine non è
in grado di prendere una decisione ascoltando diversi punti di vista ma è
legato solo ai propri convincimenti e alla propria esperienza soggettiva. E' questa - secondo me - la principale ragione per cui solo il 42% degli italiani
legge almeno 1 libro all’anno, non legge i giornali, si informa poco tramite il web (35%) o va al cinema (solo 48%).
Questo analfabetismo strisciante è l’elefante
nella stanza, altro che costo della cultura o mancanza di tempo. Se non lo
mettiamo a fuoco, tutto il resto diventa solo un esercizio intellettuale bellissimo riservato
a chi ne ha meno bisogno.
Come?
Non se se serva un "Maestro Manzi 2.0".
Di certo l’educazione gioca un ruolo importante (ricordo che
spendiamo in educazione la metà dei paesi del nord Europa). Tuttavia credo anche
non bastino scuole migliori. Da analfabeti funzionali si vive benino, si pensa poco, si è in buona compagnia.
Se non mettiamo sul tavolo un'alternativa complessiva che trasmetta la voglia di libertà dai gioghi, il rispetto del prossimo, la forza del libero arbitrio, la spinta alla comprensione della complessità, quale chiavi per l’autonomia e per l’autoaffermazione adulta, non scolleremo nessuna dalla sua poltrona comoda.
Se non mettiamo sul tavolo un'alternativa complessiva che trasmetta la voglia di libertà dai gioghi, il rispetto del prossimo, la forza del libero arbitrio, la spinta alla comprensione della complessità, quale chiavi per l’autonomia e per l’autoaffermazione adulta, non scolleremo nessuna dalla sua poltrona comoda.
Forse si chiama Politica per il futuro, ma non sono le definzioni che mi interessano.
Intanto continuo a progettare capendo che la cultura serve, con
la cultura si mangia, la cultura libera. Non sono slogan ma sentimenti che
vanno trasmessi. Qualcosa è
arte, è cultura, se genera verso di esso una relazione capace di scatenare una reazione in
grado di produrre trasformazione. Tutto il resto è marketing.
Come un prodotto del marketing è stato Berlusconi, come è
Trump, come sono molti personaggi sulla mediocre scena politica e
imprenditoriale italiana. Lo so, a loro ci piace credere; con loro non si cerca né si pretende verità perché la verità piace a pochi, specie quella su se stessi.
In fondo, se neppure loro si sforzano di comprendere la realtà, e ne modellano una a loro piacimento fino a essere eletti, possiamo tranquillamente assolverci anche noi.
In fondo, se neppure loro si sforzano di comprendere la realtà, e ne modellano una a loro piacimento fino a essere eletti, possiamo tranquillamente assolverci anche noi.
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RispondiEliminaHai ragione Andrea, serve una Politica per il futuro e tanta gente che con senso critico voglia e sappia pensare ad un mondo diverso....so che non è facile ma se ognuno si assumerà la sua piccola parte di responsabilità potrebbe diventare possibile ;-)
RispondiEliminaE' una mandria di elefanti. Ed è il punto cruciale su cui discutere, di sicuro.
RispondiEliminaMa non sono sicurissimo che ci sia tutta questa disponibilità a farlo.
Il "general public" ovviamente non gradisce essere messo davanti ai propri (spesso vistosi) limiti, e ai piani alti troppa cultura, capacità rielaborativa e di lettura dei fatti ecc non è che faccia mai molto comodo, in generale....