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giovedì 26 giugno 2014

Riempiamo i cocci del ‘900 di nuova sostanza.

Amo del mio lavoro l’essere pagato anche per studiare, collegare i fili, immaginare soluzioni che superino le categorie classiche della divisione per ruoli, settori e competenza e intreccino comportamenti, economia, tecnologia, mercato, talenti, scommesse sul futuro.
Ho già parlato altre volte di Economia Collaborativa e nuovi modelli di sviluppo ma l’accelerazione intorno a me mi porta a di nuovo sull’argomento. In queste ultime settimane mi sono trovato in diversi contesti molto ricchi di propensione all’innovazione e al cambiamento.

Il 14 giugno ero al Primo Festival delle Comunità del Cambiamento organizzato da RENA a Bologna.  Era previsto come un evento per addetti ai lavori per fare il punto sulla capacità e sulle esperienza delle Comunità nel farsi carico di se stesse in un dialogo alla pari con le Pubbliche Amministrazioni, le Parti Sociali, le Aziende. E' diventata una kermesse dove nuove domande a vecchi problemi, nuove risposte, ipotesi di futuro sono arrivate da tutta Italia. Erano previste 200 persone e associazioni: gli organizzatori hanno chiuso le iscrizioni a 450 per motivi logistici rifiutando oltre 200 richieste di partecipazione.
In platea un impressionante assortimento di Comuni, associazioni, social street, cohousing, agricoltori, sviluppatori, esperti di Open Data, Makers, gestori di spazi per il coworking e il codesign, fautori della partecipazione dal basso, dello scambio di competenze , della valorizzazione dei beni comuni, della responsabilità sociale del singolo e delle imprese.
Si percepiva voglia di fare e di cambiare portata da chi sta già facendo e cambiando e comprende che solo nella messa a sistema delle esperienze si possono definire delle politiche diverse di sviluppo per il Paese, nell’ottica della sostenibilità sociale, economica e ambientale auspicata da Europa 2020 e da ogni altro atto di indirizzo successivo.
“Non occorre Riformare, come tutti sbandierano”, è stato detto, ma “Risostanziare”. Mi trova d’accordissimo. È stato detto “Occorre ridare senso ai contenitori costruiti nel ‘900 e ormai vuoti di idee e significato” e ci si riferiva ai Partiti, ai Sindacati, agli Ordini, a riti vetusti. Lì, “Meno fiaccolate e più crowdfunding per i beni comuni” si sposava a “Oggi fare impresa è un gesto politico.”

Una settimana dopo ero a Reggio Emilia invitato da ItaliaCamp per il loro incontro Valore Pese – Economia delle Soluzioni, anch’esso affollatissimo,  in un panel di advocacy sulla Finanza d’Impatto Sociale volto a portare suggerimenti di qualità al Governo e alle molte istituzioni in grave deficit di attenzione e poca propensione alla risolvere i problemi sociali sempre nuovi che necessitano di nuove domande e nuovi strumenti per essere capiti e affrontati. Potrei descrivere la Finanza d’Impatto Sociale come il sistema degli investitori privati che finanziano politiche/progetti/imprese con obiettivi sociali e vengono poi remunerati in base ai risparmi che il sistema pubblico ha quando gliinterventi hanno successo e diminuiscono (ad es.) i disoccupati, i malati, gli ex carcerati recidivi, gli abbandoni scolastici.
Ero lì (credo) perché ho una certa familiarità su come si possano mettere assieme politiche, progetti e fondi  e perché mi trovo a mio agio nel pensiero laterale. L’ambiente era diverso da Bologna, per linguaggio e look, ma tutt’altro che differenti erano gli obiettivi finali.

Ho capito come il significato dato ormai a 'Impresa Sociale' sia post-ideologico per diventare: “L’impresa che ha un impatto positivo sulla società e porta soluzioni a problemi”, punto, nessun accenno alle divisioni storiche tra profit e noprofit, cooperativa e Spa, e simili.
Si è parlato molto anche di finanziamenti alle start up “sociali” e a come far decollare progetti che generino qualità della vita, e dunque ricchezza. Di come ottenere valore, qualità e occupazione dalla gestione dei parchi, del patrimonio archeologico e culturale, delle aziende municipalizzate, del patrimonio abitativo.

In entrambe le occasioni ho sentito parlare di soluzioni che passano attraverso una Economia della Condivisione (di beni, denari, risposte, occasioni); della necessità di Generatività intesa come la forza di estrarre valore dall’impensabile e saper cogliere i ‘segnali deboli’ che sono quelli che indicano la strada per il futuro; di Coraggio Istituzionale che indica come per innovare e risolvere occorre mettere in conto la necessità degli errori e delle correzioni in corsa

Nei due incontri erano diversi i moventi e gli interessi ma era evidente come da una parte si cercasse la via per portare a sistema soluzioni vantaggiose per le comunità per generare inclusione sociale e dall’altra si cercassero soluzioni su cui investire che fossero vantaggiose per la comunità producendo ricchezza (e risparmio).

Mai come in questo flusso di occasioni, idee, proposte, ho sentito la necessità dei ruoli di “cerniera”,  di facilitazione, perché le due parti possano superare le diffidenze culturali e i pregiudizi, e stimolare le contaminazione tra sogni, progetti e investimenti necessari a realizzarli
Ovviamente ci proverò, nel mio piccolo, con tutti gli altri.

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