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martedì 31 marzo 2015

“Sharing is Tuning” – sensazioni da due corsi di Economia Collaborativa

Sì ma, nel concreto, cosa vuol dire fare Sharing Economy in Italia?
Non trovo molto appassionanti le discussioni sulla natura buona o cattiva dell’economia collaborativa. Cerco di immaginare uno sbocco pacifico agli scontri tra Uber e i tassisti, Airbnb e gli albergatori, attendendo quelli tra Gnammo e i ristoranti, tra servizi tipo-Taskrabbit e le Agenzie per il Lavoro. Guardo perplesso la quantità di tasse evase da migliaia di aziende e cittadini, in larga parte perché regole e normative sono in ritardo sul mondo reale e non è neppure chiaro come e se andrebbero pagate.
Vedo le cose accadere e, siccome mi è chiaro come molte siano giuste e inevitabili, in piccola parte partecipo al farle succedere.
Credo che la marea montante della Sharing Economy dimostri ancora una volta la validità delle teorie evoluzioniste basate sulla adattabilità delle specie. Sopravvive chi si adatta e oggi adattarsi vuol dire diminuire il consumo di risorse, facilitare l’accesso e le relazioni, rigenerare spazi e servizi di sussidiarietà da dove lo Stato si ritira, coinvolgere sulla base dell’esperienza e non del possesso, rinforzare la fiducia per rinforzare la resilienza (e vale per i condomini, le comunità, le community, le parti sociali, i paesi, i territori, ...).
Ho la fortuna e il piacere di aver pensato e preso parte negli ultimi mesi a due corsi sull’Economia Collaborativa per persone interessate a verificarne l’approccio nel concreto delle proprie attività, nel profit come nel sociale, nell’assistenza alle persone e nello sviluppo di sistemi informativi. L’ho fatto inventandomeli in gran parte, lo ammetto, pensandoli da zero, perché la richiesta era palpabile e non c’era nulla del genere sul mercato della formazione.

Il primo realizzato tra ottobre 2014 e gennaio 2015 per Fusolab a Roma, una realtà superdinamica che sviluppa corsi di qualità a basso costo per un pubblico vasto e appassionato. 16 ore in 8 incontri. C’erano 8 iscritti, età media 35 anni, tutti con idee interessanti da realizzare.

Il secondo tra marzo e aprile 2015 per Innovazione Sostenibile, associazione attenta a ogni nuova necessità, finanziato da Regione Lazio su fondi FSE per liberi professionisti e titolari di impresa. 25 ore in 6 incontri che si sommano a un percorso di sviluppo professionale che arriva in totale a 80 ore. Ci sono 13 iscritti, età media sui 50, storie di vita ricche e importanti.

Qualche nota sui partecipanti:
  • Curiosità e Fiducia sono le parole - chiave che dispongono i partecipanti.
  • l’età media piuttosto alta rivela a mia avviso come il capire ‘come cambia il mondo’ per agire da agente del cambiamento sia la chance specifica per chi ha già molte esperienze di vita.
  • la stessa età elevata, e le sicurezze che porta con sé, diventa la linea d'ombra da superare per affrontare un contesto iper dinamico. 
  • Molti ‘fanno’ economia collaborativa: tanti hanno rinunciato l’auto, affittano e scambiano case, ospitano stranieri a cena grazie a piattaforme. Insomma sono attivi prima di essere generativi, e questo è il primo passo.
  • Tutti sono interessati a capire i ‘perché’ prima di affrontare i ‘come’. Così quelle alla base della Sharing Economy diventano logiche adattative, sempre diverse a seconda dei contesti
  • Pochi si fanno intimorire dall’incertezza normativa e fiscale. Adottano il "Metodo ‘Sti Cazzi" che prevede come essere primi sia più importante che essere perfetti, e che prima o poi il contesto si adatterà alla realtà
  • Vogliono casi concreti, cogliere la novità e vestirne i loro business presenti o futuri. Molti sono consulenti e possono fare la differenza rispetto alle scelte delle aziende e delle pubbliche amministrazioni oggi incapaci di intergrare conoscenze, nuovi linguaggi, necessità. 

Hanno nella testa business e interessi magnifici, peraltro. Globali e iperlocali. Spesso con ottimi presupposti di sostenibilità e scalabilità. Ne cito alcuni per dare significato alla concretezza:
  • Lo sviluppo di azioni di crowdfunding per consentire agli anziani abbandonati negli ospizi di passare delle giornate al mare, a teatro o dove gli piace
  • Irrobustire il nascente movimento diffuso dei ‘pulitori’ nelle città per sviluppare nuove forme di cittadinanza,
  • Ragionare sui big data della telefonia per cogliere da sms e whatsup tendenze suicide o depressive degli adolescenti
  • Immaginare comunità di professionisti felici di dare 2-3 ore al mese del loro tempo all’orientamento di giovani disoccupati
  • Ripensare i servizi di catering come congiunzione tra la produzione di qualità, la ristorazione e la socialità
  • Georeferenziare e condividere i luoghi del silenzio nelle grandi città.
  • evolvere le social street in nuovi ambienti per l'apprendimento
  • e tanti altri ...

Il saggio psicologo che tiene dei moduli nello stesso corso mi stimola a proposito osservando “In fondo si tratta di capire se questa dello sharing è una cosa così, una moda che si somma al resto, o possa davvero cambiare l’economia nel suo complesso…”


L’economia è già cambiata, si sintonizza sulle necessità delle persone e delle aziende, che spesso non coincidono però. Si tratta di capire se vogliamo essere cambiati da nuovi monopoli o essere noi gli agenti del cambiamento.

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