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venerdì 16 ottobre 2015

Vi racconto l'imperdibile Maker Faire a Roma.

We are Makers since the Big Bang” dichiarano i due cartelloni scritti a mano posti fuori dalla chiesa de La Sapienza per attrarre all’interno qualcuno dei 100.000 visitatori attesi quest’anno. Credo da sempre che i seminari formino i migliori copywriter sul mercato e anche questi non fanno eccezione. La passione e la voglia di cambiare il futuro, per i visitatori, hanno comunque qualcosa di messianico.
Per la prima volta all’interno della cittadella universitaria, la Maker Faire è colossale.  Era pienissimo di gente e oggi Venerdì 16 ottobre era solo il primo giorno.
Si tratta di circa 600 stand che presentano pavimenti che suonano se li calpesti, bici fatte di bambù o tagliate al laser, droni di ogni dimensione che svolazzano qui e là, orti idroponici da appartamento, stampanti 3D capaci di realizzare gioielli o case, tessuti in fibra di legno, tutori intelligenti, sensori che apprendono, una rock band di robot (stonata ma scenografica), una scatola nera per il trasporto di opere d’arte, robot per fare modellazione 3D degli spazi catacombali, specchi che portano il sole nel buio anche negli scantinati, macchine per scrivere sulle pappardelle. Poi robot che annusano, spostano, aiutano anziani, programmabili da bambini, realizzati con lego, gli scarti, la gomma.

A cosa serve tutto questo?

Non si sa, non è chiaro neppure agli espositori, e proprio per questa ragione è bellissimo. È necessario. È energia e sogno. È magmatico e si ridefinisce continuamente. 
In posti così capisci che il futuro è adesso. Se si trattasse di prodotti per il mercato la fiera sarebbe solo noia e grosse cravatte su giacche blu. Ogni stand è una sorpresa, ti accende neuroni, ti stupisce.
Sì, alcuni sono destinati al fallimento, altri meno, altri sono figate pazzesche: in questi casi è il tutto che acquisisce valore perché valgono tutti lo stesso rispetto e proprio dai fallimenti nasceranno le più grandi fortune.

Percepisci anche la distanza di quell’accozzaglia di cervelli dalle istituzione e dalla politica. Amici politici, andateci, almeno 4 ore, potrebbe cambiarvi la vita e dare ossigeno ai vostri neuroni. Anche l’Università che l’ospita sembra un guscio vuoto, e i palazzi diventano quinte polverose per  un dinamismo dimenticato tra quelle mura che è forse quello che ha fatto, centinaia di anni fa, nascere l’idea stessa degli studi superiori.

La curiosità è la leva che sposta le persone lì, la collaborazione è il pilastro che le cementa, la fiducia un prerequisito naturale all’essere lì. Il talento l’indicatore di reputazione.
Mi ha colpito la forte presenza femminile in tutti gli stand che leggo secondo due direttrici: più donne nelle facoltà scientifiche, nei gruppi di coding e nei fab lab, così come (finalmente!) la presa d’atto che la tecnologia senza l’umanesimo magari sviluppa mercato ma non ha impatto sulla società e lascia l’Italia sempre più in fondo alle classifiche.
In quei vialoni, oggi ho sentito davvero forte il senso della tanto declamata Social Innovation e di cosa voglia dire progettare con e non per.
Grande la presenza di designer. Intendo dire che le cose presentate erano spesso molto belle, molto più di quello che ti aspetteresti da un nerd o da chi pensa che le soluzioni siano responsabilità delle procedure. Grande attenzione quindi alla esperienza d’uso.
Mi ha sorpreso come gli stand delle grandi aziende come Google, Telecom o Microsoft elemosinassero visitatori a suon di gadget. Se li filavano in pochi, così come le loro soluzioni ‘chiavi in mano’ reperti di una preistoria fatta di SMAU e saloni del genere. A generare la ressa erano invece gli stand che abilitavano gli utenti a fare cose nuove, a esplorare strade, non a applicare procedure codificate in California per essere usate da Tivoli a Tahiti.  

Andateci, lasciatevi stordire, guardatevi intorno, fatelo per voi stessi e poi – chissà – darete anche voi vita a qualcosa di buono per tutti.

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