La prendo da lontano… non mi faccio mai consegnare cibo a
casa quindi mi sfilo dal dibattito sulle mance ai fattorini di
pizze-sushi-hamburger e simili. Non lo faccio perché quei ragazzi mi fanno pena
quando li vedo pedalare, e perché in casa amo cucinare. Fanno un lavoro che non
può essere sostenibile, gli toglie energia e svuota di senso il lavoro stesso:
il valore della merce in ogni viaggio è troppo basso per giustificare il valore
aggiunto dal costo della consegna. È una presa in giro, come i tirocini
infiniti, i periodi di prova senza termine, il ricatto del ‘fai un lavoro che
ti piace… vuoi pure essere pagato il giusto?’
Conosco abbastanza quei ragazzi, il labirinto in cui si
trovano, la disillusione e la rabbia di alcuni. Li incontro in molti corsi dove insegno. Tra loro non mancano i talenti, parlano tre o più lingue, sono persone quadrate e motivate a
cui non viene data la fiducia, l’occasione, la possibilità di sbagliare. In tanti, tantissimi, lavoricchiano spesso in nero,
mixano passioni e necessità nel disorientamento complessivo. Molti rischiano di
arrendersi ad un eterna attesa coltivata nel rancore, di macerarsi nell’irrilevanza,
di rassegnarsi a pedalare come criceti nella ruota, a non strutturare le loro
conoscenze in competenze reali e spendibili sul mercato.
Io vivo del mio lavoro – sempre da immaginare,
trovare, svolgere, mese dopo mese, nell’incertezza del presente e nella visione
di futuri utili e probabili – e gran parte del mio è sviluppare lavoro e opportunità per altri.
Nei miei progetti col pubblico e il privato vedo le
potenzialità dei singoli e la disorganizzazione del sistema complessivo che non
crea occasioni, benessere e occupabilità.
Mancano servizi adeguati, banche dati di riferimento, marketing
territoriale, conoscenza dei bisogni e visone generale. Mancano perchè non interessano. Nessuno è pagato e motivato a raggiungere obiettivi reali. I tempi degli interventi rispondono
a tempi anni ’80 in cui il contesto consentiva piani quinquennali, incongrui
con la velocità dell’oggi.
Manca il
coraggio di sperimentare soluzioni, valutare gli impatti delle politiche, misurare
l’efficacia della Pubblica Amministrazione.
Si crede che il lavoro nero sia
inevitabile, che l’illegalità sia congenita e necessaria, che in fondo aiuti gli
ultimi a metterci una pezza, quando invece non fa altro che irrobustire la
gabbia in cui sono rinchiusi e annullare in partenza il percorso degli
imprenditori che vorrebbero operare in regola, creare valore collettivo, assumere e formare.
Credo che l’Europa, come luogo politico e geografico, ci possa aiutare molto nel cammino necessario per
dare forma e efficacia al nostro mercato del lavoro. Non parlo di Fondi, quelli
già presenti abbondanti e spesso spesi male in molte regioni, ma nella forma
mentis, nella creazione di opportunità, nel lavoro per obiettivi, nella dotazione tecnologica, nella riduzione del digital gap e dell'analfabetismo funzionale che sta rallentando ogni reale ipotesi di sviluppo. Anche questa è una ragione profonda per andare a votare a fine mese.
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