Uno dei momenti più divertenti dei miei interventi alle
platee di giovani (e meno giovani) in cerca di lavoro o che provano a riflettere
sullo sviluppo del loro brand personale è quando si arriva a discutere l’impatto
dell’uso dei social media nei percorsi lavorativi e della trasparenza che questi concedono ai selezionatori sugli orientamenti religiosi, politici, sessuali dei
candidati.
“La vostra bacheca Facebook,
le foto che postate su Instagram, dicono tutto di voi anche se non volete. I
film che vedete, i libri che leggete e la musica che preferite tratteggiano
tutto i voi con una minima possibilità di errore.” Normalmente qui ci
scappa il brusio e l’attesa per quello che viene. “Non è di per sé positivo o
negativo dare al mondo queste informazioni: lasciar sapere che siete buddisti,
o gay, vegetariani, di destra o sinistra. C’è un mercato per tutti, anche nel
mondo del lavoro. A volte mettere certe carte in tavola dal principio è anche
un modo per evitare poi mobbing e fenomeni simili.”
So che è quella dell’orientamento sessuale la questione che
incuriosisce di più e la domanda viene spesso dai ragazzi (la politica e la religione
non hanno lo stesso appeal). Io vado dritto, “ L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima nell’8% i non etero nel
mondo, distribuiti ovunque, concentrati nelle grandi città dove l’apertura alle
diversità è maggiore, così come l’anonimato.”
Lì li ho presi, perché cominciano a moltiplicare questo
parametro con il numero dei compagni di classe, i condomini, quelli con cui si
schiacciano sui bus all’ora di punta, con i presenti nell’aula dove siamo
riuniti. “Le aziende capaci di
trasformare le diversità in ricchezza misurano la vostra ‘gay friendlyness’ durante i colloqui, che poi significa capire come
reagite davanti a due uomini o donne che si tengono per mano entrando in
negozio, che provano le molle di un letto, che discutono dell’abbigliamento per
il figlio. E vogliono capire se vi girate, arrossite, vi disturba, siete
spiritosi. Vogliono capire se sapete arrivare alla sostanza delle persone.”
E i presenti lì si sciolgono.
Se avessero un fumetto dei loro pensieri quello di molti direbbe
‘Sono proprio uno scemo ad avere dei
pregiudizi: io sto bene in questa città, sull’autobus, in classe, con i miei
vicini di casa.’ Alcuni direbbero, “Allora
non sono così solo!”, qualcuno “Chi
non mi ama allora non mi merita, neppure sul lavoro.”
I pochi rimasti che scappino pure a Verona, inseguiti da se
stessi e dall’8% di umanità che gli è rimasto dentro, perdenti davanti alla potenza della logica e alla
forza del libero arbitrio.
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