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giovedì 8 gennaio 2015

Il coraggio di riuscire a tenere la penna sempre carica

L’atroce attacco alla redazione di Charlie Hebdo contrapppone ancora una volta il potere del libero arbitrio, della libertà di coscienza e di parola nel mettere a nudo le ridicole inconsistenze dei governi e delle religioni con la forza delle armi e dell'intolleranza. 
L’informazione, la satira, la letteratura, l'educazione diventano così i nemici naturali di terroristi e tiranni perché pongono domande, aprono mondi possibili, rintuzzano la retorica dell’ufficialità, asfaltano le sceneggiate dei talk show, svelano i pulpiti di cartapesta.  


Ci siamo malamente assuefatti, considerandoli inevitabili, alle vite braccate di Roberto Saviano e Salman Rushdie e di molti giornalisti italiani che vivono sotto scorta. Facciamo finta di non cogliere come molti autori si autocensurino per vivacchiare come meglio possono (mi viene in mente Pamuk in Turchia).
La forza dell'informazione e della creazione artistica spaventa. È di qualche giorno fa l’attacco della Corea del Nord contro un filmetto fracassone prodotto dalla Sony che come effetto collaterale ha già portato alla cancellazione della produzione del film tratto dallo splendido fumetto “Pyongyang” di Guy Delisle. 
Al Cairo ci sono in questo periodo 3 giornalisti di Al Jazeera sotto processo per aver osato raccontare da un punto di vista non autorizzato i fatti della Primavera Araba. Nel loro caso, forse maggiore indignazione  e proteste da parte di tutti avrebbero davvero aiutato perché, lo sa bene Boffo che fu cacciato da Avvenire per aver messo in difficoltà il patto tra Vaticano e Berlusconi, l’onesta intellettuale esercitata verso la propria parte è tra le più difficili da sostenere.

Ancora oggi sento dentro di me il vuoto di opinioni e alla conoscenza che la mancata copertura mediatica alla guerra del Golfo e a quella in Afghanistan ha provocato in tutti noi grazie alla bella invenzione americana dei giornalisti embedded, pecorelle ammaestrate e nutrite a comunicati stampa del Pentagono. Una invenzione che quelli dell’ISIS hanno ripreso e migliorato con l’ostaggio-giornalista John Cantlie che per sopravvivere declama su Youtube la gloria e le ragioni deliranti dei fanatici combattenti.
Intimorendo la stampa, i terroristi (e i potenti) ci impoveriscono laddove sono le basi del nostro essere: nella capacità di discernimento e giudizio, e dunque nella nostra capacità di comprensione del mondo che ci circonda.

Mi irrita allora la vuotezza di quasi tutta la stampa televisiva autocensurata, afona di vere domande e contraddittori, avvezza all’inchino e alla confidenza verso chi dovrebbe invece tallonare, mettere in imbarazzo. 
Prima di arruffianarsi i lettori e gli spettatori con i loro "Je suis Charlie", le nostre testate dovrebbero ripetere che siamo 49vesimi nella classifica internazionale sulla libertà di stampa e sono pochi gli sforzi perché il 52% degli italiani che non legge neppure un libro all’anno esca dal girone degli ignavi. Faccio qui notare come l’ultimo oggetto editoriale paragonabile a Charlie Hebdo visto sul pianeta italico sia stato Cuore, chiuso nel 1996.
Per ogni Gabbanelli o Michele Albanese (giornalista sotto scorta de Il Quotidiano del Sud) ci sono intere redazioni che hanno come unica missione compiacere i potenti e intorbidire le acque.

D’altronde, anche per i migliori, è difficile appassionare, far indignare e riflettere dei lettori quando gli stessi non sono più geneticamente capaci di vergognarsi. 
L’unico vero successo raggiunto da Craxi e dal suo amico Berlusconi è stato quello di aver sdoganato, con la compiacenza della Chiesa, il “Se lo fanno tutti non è peccato” come primo comandamento tatuato nella coscienza collettiva.
Però se non mi vergogno non mi indigno. Se non mi indigno non mi interessa capire la realtà ma solo possedere opinioni semplici e categoriche, divertirmi e ‘vivere esperienze’. Se non mi interessa capire non mi riguarda la libertà di stampa e sono interessato solo alla parte gossippara del mondo che photoshoppa il reale per aumentarne la brillantezza e esclude le tristezze delle minoranze e degli esuli, gli interessi dei bambini e degli anziani, le guerre lontane, le epidemie, gli intrallazzi delle multinazionali e dei politici fuori controllo.


Ecco allora che l’empatia diffusa scatta verso l’evasore fiscale, il trombatore senile, il truffatore simpatico, il politico ladro dalla lacrima facile, soprattutto  verso chi ha un posto in prima serata e non se lo merita perchè così la mia empatia diventi presto invidia e possibile immedesimazione.
E se oggi sono Charlie, domani sarò facilmente Brad e dopodomani Matteo e non mi interesserà se qualche giornalista impugna la sua penna per difendere davvero la civiltà e la democrazia, e magari dimostra pure che il mio re è nudo, avvelenatore e armato… perché tanto - si sa - i giornali, sono tutti uguali, prezzolati e pieni di bugie.  

mercoledì 30 luglio 2014

L’Unità chiude se la sinistra non si apre al mondo reale.

Gramsci lo fondò come giornale rivolto agli operai e la testata è stata sempre fedele all’idea del suo fondatore.
Forse anche per questo motivo sta chiudendo: gli operai sono sempre di meno, leggono sempre meno e sono sempre meno rappresentati a sinistra, da questa sinistra almeno.

Leggo vari giornali, alterno La Repubblica e Il Corriere soprattutto per i loro articoli di fondo e le inchieste, leggo Il Fatto quando mi  va un po’ di controinformazione istituzionale, sullo smartphone leggo l'impeccabile La Stampa, faccio poi la media di quello che trovo su internet, integro col sito della BBC, del NYT, di Figaro talvolta. 
Nell’Unità non ho mai trovato le ragioni della lettura e dunque dell’acquisto, neppure quando ero impegnato in politica, neppure quando la sinistra era all’opposizione, neppure nelle rassegne stampa gratuite. Forse perché, pur nei miei mille lavori, operaio non lo sono mai stato. Forse perchè non mi ha mai trasmesso la sua rilevanza nel panorama editoriale. 
Ha una storia importante e gloriosa, lo so, ma non basta per avere un senso oggi. La associo a una generazione che aveva dei punti di riferimento comuni, che la contrapponeva alla Bibbia, poi a solo qualche vecchio pensionato abitudinario, ai tavoli in formica delle sezioni del Partico Comunista, ai pannelli di compensato fuori dalle nuove sezioni del PD dove viene ancora affissa e distrattamente letta dai passanti.
Pochi ormai comprano/si permettono più di un giornale al giorno e mi sfuggono le ragioni per cui un lavoratore autonomo, un precario, un’insegnante, debba spendere il suo denaro contato proprio sull’Unità. Il giornale diventa così vittima di una politica che non si interessa ai suoi lettori ideali.

Non funziona, semplicemente, non l’hanno uccisa - come oggi grida in prima pagina - ma è morta di vecchiaia, e per quanto mi spiaccia per chi ci lavora non starei a strillare a chissà quale scandalo. 

Forse troveranno il modo di salvarla, spero però non avvenga con una trasfusione di denaro pubblico. L'Unità non è un ospedale, né una scuola, ma è un giornale e se nessuno lo legge (e dunque non raccoglie neanche la pubblicità per stare sulle sue gambe) la colpa forse non è né di fantomatici killer né dei lettori.

lunedì 7 maggio 2012

La nave fantasma e il fantasma della nave.

Si è parlato tanto della Costa Concordia e di quel vanaglorioso di Schettino che l'ha spiaggiata davanti al Giglio portando a morte assurda decine di passeggeri e lasciando in eredità ai turisti un vero monumento alla stupidità umana.
Si è parlato poco, pochissimo, della Costa Allegra che poche settimane dopo è andata alla deriva nell'Oceano Indiano per tre giorni per una grave avaria dei motori.
Ora, mettiamoci nei panni delle 1049 persone a bordo, dotate di certo di ogni ritrovato audio e video, con il tempo di girare interviste, documentari, 'drammatiche testimonianze' sulla fine dei canapé al salmone e poi raccontarlo al mondo, ai giornali, ai talk show del pomeriggio. Ebbene: non è uscito nulla, di quelle giornate non sappiamo nulla, come fossero state inghiottite dal Triangolo delle Seychelles.
I giornali: assenti. Le TV: distratte. I talk show: sovrappensiero.
Quando di una cosa così grande e affollata si parla così poco vuol dire che a molti interessava non parlarne, o meglio, a molti conveniva non parlarne.

Cosa è successo in quei giorni? Quanti maroni sono girati? Quanti amori sono sbocciati?
Ma, soprattutto, cosa è stato offerto ai 1049 per tacere e passare al forno le loro video cassette, memorie SIM, e foto di viaggio di nozze? E cosa rischiano se spifferano del menù a pane secco e acqua di mare del terzo giorno alla deriva?
Quante crociere sono state regalate ai giornalisti di tutto il mondo perchè non parlassero dei fatti, né pubblicassero foto, né video sui loro bei portali sempre pronti a far svolazzare farfalline integrali accanto a kamikaze integralisti e gare di parrucchieri per cani dislessici?

Si parla sempre tanto di italico ingegno, del nostro artigianato di precisione, di geni scienziati e navigatori dimenticando che il nostro punto di forza è sempre stato quello di essere dei depistatori. Siamo una nazione che è riuscita a uscire dalla II Guerra mondiale dalla parte dei vincitori e delle vittime, a non condannare nessuno per i fatti del G8 di Genova, a santificare papi oscurantisti e assolvere intere generazioni di calciatori dopati e corrotti, e pure far passare Piazza Fontana come un attentato delle BR, ma direi che nei fatti della Costa Allegra la figura del Gestore della Crisi abbia raggiunto un picco di professionalità prossimo all'arte raramente visto prima.
Non so se chi coordinato il tutto nella Emergency Room della Costa abbia un passato in Digos, nella Democrazia Cristiana o nella commedia dell'arte ma di certo padroneggia le tecniche dell'insabbiamento, della mistificazione, della disinformazione meglio di un tg berlusconiano gestito dal Mossad.
Quest'uomo, o questa donna, meriterebbe un cavalierato, or anche un sottosegretariato alle Politiche AntiCrisi, una copertina su 'Chi' e comunque di non rimanere nell'ombra, soddisfatto magari solo da un aumento di stipendio a sei zeri.