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giovedì 15 luglio 2021

Ne è INVALSa la pena?

I risultati dei test INVALSI 2021 appena pubblicati mostrano come quasi la metà dei maturati di quest’anno non abbia sufficienti competenze in lingua italiana, simili drammatici risultati anche nelle materie scientifiche, con situazioni tragiche nel sud Italia.

Siccome ogni anno scrivo almeno un post antipatico, stavolta la voglia mi arriva da questa notizia che completa il dato, sempre sottotraccia, che a leggere almeno 1 libro all’anno è solo il 42% degli italiani.


Il tema mi appassiona per una serie di ragioni che vanno dal mio interessamento per le dinamiche del mercato del lavoro, l’essere docente a molti corsi per adulti, essere genitore, essere preoccupato per la tenuta democratica del Paese, al voler raccogliere per mesi i segnali che arrivano dalle mie reti.

Ammetto di avere un rapporto difficile con i docenti sul tema dell’INVALSI. Gli insegnanti dei miei figli hanno spesso ‘obiettato’ ai test non facendoglieli proprio fare (come se si trattasse di una scelta di coscienza come l’aborto), coperti in questo da presidi che certo non li hanno bacchettati. Negli anni, ho raccolto ogni tipo di obiezione al valutare la formazione, come se si trattasse di un’attività esoterica incomprensibile a chi non entra in classe. Da incontri con sindacalisti della scuola ho poi capito che l’obiezione non è all’INVALSI ma all’idea stessa che la valutazione sia lecita e possibile.

Sarà che come docente ad adulti sono costantemente valutato sia in maniera formale che informale, ma ho sempre trovato puerili queste argomentazioni, veri alibi che indeboliscono molto la credibilità dell’intera categoria. Viaggiando in Europa come esperto Cedefop ho visto come in altri Paesi siano normali: la valutazione esterna, quella tra pari e quella fatta dall’ispettore che entra in classe a sorpresa una volta l’anno, si siede in ultima fila e per un’ora valuta COME insegni. Perché la valutazione non ha nulla a che vedere con la libertà di insegnamento, non si tratta di COSA insegnino i docenti ma interviene nel COME questo avviene. (Per il PERCHE’ lascio la valutazione alla coscienza di chi sale in cattedra)

Come risposta a questa tragedia, la ministra annuncia che assumerà 140.000 insegnanti in 2 anni, senza il dubbio che – visto l’impressionante numero di bocciati agli esami di abilitazione - forse neppure ci siano oggi così tanti docenti non ancora di ruolo in grado di fare bene quel lavoro. Non accenna purtroppo a come diminuire gli alunni per classe, neppure a come formare gli insegnanti che già ci sono, magari con schemi di formazione tra ‘pari’. Non parliamo della formazione dei dirigenti, nati spesso formati per investitura divina. 

Se poi vogliamo volare più alti ecco come la divisione Licei/ Istituti tecnici/ Professionali sia sempre meno adatta al reale, come oggi le competenze digitali siano abilitanti al pari della matematica, italiano e inglese e i ragazzi sono lontanissimi dal possederle.  (certo, ci stupiscono per come sanno usare le app, ma è lo stesso tipo di competenze che stupiva i nostri genitori quando sapevamo usare il videoregistratore: cioè competenze operative che rispondono a mere necessità). Rari sono i presidi preparati per il ruolo, nulli sono gli incentivi ai docenti migliori. Nel dibattito ci si perde nella visione profetica degli ITS, che sono pochi, poco conosciuti, poco finanziati, vere chimere, e non si parla mai (ad es.) del vero buco nero rappresentato dalle scuole medie, dai loro programmi, dalle classi-pollaio, dall’inadatta didattica frontale a oltranza su quell’età.

Non si evidenzia da nessuna parte delle grandi, sterminate, responsabilità che ha l’Università in merito a questa vera tragedia sociale. Il dramma è che l’Accademia non ha niente da dire: è afona, senza temi, lontana dalla società e dall’economia, incapace anche solo di pensare di quali insegnanti e insegnamenti ci sia bisogno. Ci sono, certo, alcune eccezioni ma ininfluenti per ruolo e capacità politiche. Se ne è accorto il mercato della consulenza (‘se vuoi perdere tempo chiama un professore universitario…’) e quello dei convegni dove sono sempre meno i prof invitati a parlare (specie ora con i webinar dove le persone ci mettono un attimo a ‘cambiare canale’ se il relatore pesta acqua nel mortaio). Il paradosso è che il mondo ha enorme necessità di bravi docenti in grado di abilitare al XXI secolo, con programmi interdisciplinari sempre più diffusi, avvalendosi con intelligenza delle tecnologie digitali disponibili, in contesti che premino le competenze e i risultati (dei ragazzi, dei docenti, dei dirigenti).

Nuove richieste di competenze si rivolgono soprattutto alle facoltà umanistiche, artistiche, sociali, che oggi creano migliaia di figure irrisolte che non riescono a concretizzare i loro talenti e passioni a meno che non si lancino in master costosissimi e classisti o percorsi di apprendistato che li portano al prima stipendio non prima dei 30 anni. Con la mortificazione, il calo di motivazione, lo spreco di cellule neuronali diffuso tra chi non può permetterseli o non vuole lasciare il Paese.

Lo so, vi ho portato a spasso in un post che pone molti problemi e propone quasi zero. Mi scuso. Perché da soli, senza la politica attenta al tema, con resistenze pazzesche dello status quo, senza coraggio amministrativo e organizzativo, non ce la si può fare.

Se volete aggiungere riflessioni, scrivete qui sul blog, su FB o su Linkedin dove posterò il testo.


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