- A – Alberto Angela, presidente del consiglio dei saggi per acclamazione, atteso da una fila immensa. Evocato già dai perquisitori (quelli che all’ingresso ti tolgono le bottiglie d’acqua perché tu possa comprare l’acqua nei bar interni). Sbrilluccicante negli occhi glitterati delle signore phonate. Santo subito.
- B – Bella Ciao, password popolare che apriva l’accesso alle teste altrimenti rinchiuse nella paura di un forte fascismo percepito. Era scritta sulle spilline indossate dagli editori, appesa agli stand, fischiettata nei bagni e nei corridoi. Mi son svegliato.
- C – Code, una costante nel paesaggio. Migliaia di bipedi disposti a aspettare per ore in coda la presentazione di Salinger Jr., la dichiarazione di Saviano, la battuta di Pannofino. Code per mangiare, pisciare, pagare. Code.
- D – Disegnetto, è il miglior modo di vendere libri se fai l’illustratore. Vati del gesto creativo seriale sono Zerocalcare, per avere il di cui disegno su un di cui libro occorreva prendere il numero e attendere qualche ora peggio che allo sportello Equitalia, e Leo Ortolani che invece amava veder la fila davanti a sé; fila così lunga da favorire la nascita di amicizie e amori.
- E – Ebook, scomparsi dai radar, schifati dal mercato, hackerati come avenger, sopportati da pochi editori, espulsi da altri. Nessuna traccia, nessuna convenienza. Fino ad alcune case editrici serie che, se proprio lo scrittore vuole, gli fanno l’ebook se se lo paga lui.
- F – Fascismo, respinto, rimbalzato, esorcizzato, schiacciato da pile di libri e da suole inarrestabili, soprattutto da idee e buon senso che nel salone esondavano fluenti. Chi aveva pubblicato anche solo la biografia del nonno nato in quel periodo la esponeva come feticcio e parafulmine. La forza delle idee vs. la forza contro le idee.
- G – Giovani. Tanti, ovunque, in parte scarrozzati da professori, in parte impegnati in progetti di alternanza scuola/lavoro centrati sull’intervistare, scrivere, creare, gestire. Tanta curiosità esibita. Alla ricerca di voci sintonizzate sulle loro orecchie, e di orecchie sintonizzate sulle loro voci, che sono poche.
- H – Haiaiai a chi pensava di trovare un posto comodo e democratico dove ricaricare il telefonino…
- I – Ipocrisia. Un mare di editori a pagamento che nel Salone esibiscono verginità e serietà a danno degli allocchi. Stand enormi di sigle neppure distribuite in libreria. Robe così.
- L – Libraccio. Un enorme stand del Libraccio che stravende testi scontati di un po’ tutti, di molti marchi presenti. Code alle casse. Migliaia in cerca dello sconto con gli editori lì accanto che fanno la fame con gli stessi volumi a prezzo pieno. Toglietelo di mezzo! È concorrenza scorretta, non vi pare? E abbassa di molto la percezione del valore dei testi. Un brutto spettacolo.
- M – Mangiare, code infinite e qualità da luna park di provincia. Hot dog, hamburger, pizza molliccia. Al Salone è meglio nutrire l’anima.
- N – Novità, tante e varie.
- O – Ohhh, facevano tutti davanti all’enorme cilindro di libri altro oltre 10 metri
- P – Podcast, diversi gli stand interessanti che cercano di trovare la via italiana al podcast. Da Amazon a Storielibere.fm, in diversi fanno capolino in un mercato che trova molte delle sue ragioni nell’invecchiamento della popolazione, nella pigrizia dei lettori, nella diffusione dell’uso degli auricolari, nella qualità dei nuovi prodotti, nei nuovi home assistant (“Alexa leggimi 50 Sfumature di”). Da tenere sott’occhio.
- Q – Quando non ne potevo più di stare in piedi mi sono infilato in uno stuzzicante confronto sul western italiano da Tex a Red Redemption 2, da trame elementari a narrative non lineari. Per nerd della scrittura.
- R – Regioni, hanno fatto i loro stand, molti grandi e grossi, e costosi. Luoghi senz’anima con l’attrattività di una bancarella bulgara di merce contraffatta nella periferia di Stoccarda. Puglia, Marche, Calabria, Sardegna, con libri dal valore dubbio e la qualità risibile appoggiati su banconi, oscuri funzionari leggenti al massimo gruppi su whatsapp. Da evitare.
- S – Spritz. Lo stand dello spritz molto pop e gettonato a tutte le ore. 5 euro per gradire. Intellettuali alticci, inebriati dall’arancione. Poco ‘Hare Krishna’, molto ‘... e dove ceniamo stasera?’
- T – Torino, splendente ed efficiente, che ci ha stupito con la nuova passerella che collega Stazione Lingotto direttamente col Salone. Così si fa.
- U – Undici i libri che mi sono comprato con la complicità del POS presente in ogni stand, tra cui: “Viviamo in acqua” di J. Walter e “Doppler – la vita con l’alce” di E. Loe di cui non sapevo nulla e contino a non sapere nulla, acquistati solo perché passavo di lì e gli editori sono stati convincenti
- V – Visitatori. Tanti tantissimi, eterogenei, hipster e nonne, sognatori e fan, aspiranti qualsiasicosa, lettori incalliti e perdigiorno. Continuiamo così, facciamoci del bene.
- Y – Youtuber, editori di grandi dimensioni che raddrizzano i bilanci con improbabili biografie di sedicenni spettinati che raccontano l’ombelico a una generazione che non ha occhi per vedere la luna. Giovani creature figlie di un’altra generazione che li ha convinti che mai andranno sulla luna, perché neppure esiste ed è stata messa lassù da Photoshop.
- Z – Zero scuse: leggere fa bene a tutto.
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mercoledì 15 maggio 2019
Il Salone del Libro di Torino per chi non c’era: dalla A alla Z
mercoledì 27 marzo 2019
Lettera a Verona: Gay-friendlyness e mercato del lavoro.
Uno dei momenti più divertenti dei miei interventi alle
platee di giovani (e meno giovani) in cerca di lavoro o che provano a riflettere
sullo sviluppo del loro brand personale è quando si arriva a discutere l’impatto
dell’uso dei social media nei percorsi lavorativi e della trasparenza che questi concedono ai selezionatori sugli orientamenti religiosi, politici, sessuali dei
candidati.
“La vostra bacheca Facebook,
le foto che postate su Instagram, dicono tutto di voi anche se non volete. I
film che vedete, i libri che leggete e la musica che preferite tratteggiano
tutto i voi con una minima possibilità di errore.” Normalmente qui ci
scappa il brusio e l’attesa per quello che viene. “Non è di per sé positivo o
negativo dare al mondo queste informazioni: lasciar sapere che siete buddisti,
o gay, vegetariani, di destra o sinistra. C’è un mercato per tutti, anche nel
mondo del lavoro. A volte mettere certe carte in tavola dal principio è anche
un modo per evitare poi mobbing e fenomeni simili.”
So che è quella dell’orientamento sessuale la questione che
incuriosisce di più e la domanda viene spesso dai ragazzi (la politica e la religione
non hanno lo stesso appeal). Io vado dritto, “ L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima nell’8% i non etero nel
mondo, distribuiti ovunque, concentrati nelle grandi città dove l’apertura alle
diversità è maggiore, così come l’anonimato.”
Lì li ho presi, perché cominciano a moltiplicare questo
parametro con il numero dei compagni di classe, i condomini, quelli con cui si
schiacciano sui bus all’ora di punta, con i presenti nell’aula dove siamo
riuniti. “Le aziende capaci di
trasformare le diversità in ricchezza misurano la vostra ‘gay friendlyness’ durante i colloqui, che poi significa capire come
reagite davanti a due uomini o donne che si tengono per mano entrando in
negozio, che provano le molle di un letto, che discutono dell’abbigliamento per
il figlio. E vogliono capire se vi girate, arrossite, vi disturba, siete
spiritosi. Vogliono capire se sapete arrivare alla sostanza delle persone.”
E i presenti lì si sciolgono.
Se avessero un fumetto dei loro pensieri quello di molti direbbe
‘Sono proprio uno scemo ad avere dei
pregiudizi: io sto bene in questa città, sull’autobus, in classe, con i miei
vicini di casa.’ Alcuni direbbero, “Allora
non sono così solo!”, qualcuno “Chi
non mi ama allora non mi merita, neppure sul lavoro.”
I pochi rimasti che scappino pure a Verona, inseguiti da se
stessi e dall’8% di umanità che gli è rimasto dentro, perdenti davanti alla potenza della logica e alla
forza del libero arbitrio.
sabato 6 ottobre 2018
Un aborto di civiltà.
Quando
le mie due amiche sposate tra loro si sono chieste chi avrebbe portato avanti
la gravidanza il tema mi si è presentato diversamente: cosa accadrebbe se in una coppia etero ci
si potesse porre la stessa domanda. Io?
Te? Ne facciamo uno per uno? Fosse così l’uomo di certo avrebbe opinioni molto più sensate
sull’aborto, o semplicemente avrebbe dimostrato scientificamente che comunque è
meglio che partorisca la donna. Perché a noi uomini piace governare le vite
degli altri.
È davvero forte l’immagine delle donne ancelle in consiglio
comunale a Verona. (Consiglio a tutti la lettura del libro o almeno la visione
della serie televisiva a cui si ispirano “Il Racconto dell’ancella”di M. Atwood”). Nella storia sono donne costrette alla riproduzione controllata dall’autorità, senza
identità ma solo con uno scopo, accudite e mantenute sane anche contro la loro
volontà, corpi come contenitori.
Ricordo al corso prematrimoniale l’anziana coppia che ci ha
fatto una tirata sull’innaturalità dei procedimenti della fecondazione in
vitro. E poi di quando si è ricreduta visto che l'amato figlio ha avuto problemi a renderli nonni ed è ricorso a ogni trovata della scienza, legale in Italia e oltre.
Ricordo la dottoressa di un grande ospedale pubblico che non dava il proprio nome ai pazienti e fissava appuntamento per un ricovero
“a mezzanotte” a chi chiedeva di poter esercitare il diritto di aborto nei
termine previsti dalla legge.
Ricordo quel pratico ginecologo che spiegava “A Roma… non
saprei. Le mie pazienti vanno tutte a Londra, due giorni, servizio impeccabile,
vicino all’aeroporto, 1500 euro volo incluso. Tutto pulito e legale, si
intende.”
Ricordo anche lo psicoterapeuta che spiegava come - da protocollo - la visita alla donna sia prevista solo prima dell'intervento e che "sarebbe interessante fare qualche studio su come le donne stanno dopo. Forse l'hanno fatto in Svizzera..." Lui, per stare sicuro, prescriveva sia i calmanti che gli antidepressivi.
Ricordo la coppia che usava l'aborto come metodo anticoncezionale,
e la ragazza che ha dovuto farlo come unica via d’uscita da una situazione impossibile e dopo 30 anni ancora elabora il lutto.
Il tema è di una complessità comprensibile solo con l’amore per le donne.
Invece a parlare d’aborto è sempre una gamma di uomini aspiranti alfa col cervello in versione beta, non testato sul mondo reale ma governato solo
sull’algoritmo dei loro desideri.
E l’idea di una “Città a favore della vita” mi ricorda il
ridicolo pronunciamento ormai fuori moda di “Comune denuclearizzato”. Li
ricordo i cartelli in paesini insignificanti: Melegnate, Cuzzolo sul Lento,
Acquastretta, Grullo Superiore tutti ‘denuclearizzati’ perché - si sa - la
radioattività rispetta le delibere, i confini catastali e il voto della maggioranza. E quando le Giuliette e i Romei dei consiglieri comunali avranno bisogno di una interruzione
di gravidanza cercheranno un Comune che si dichiari a 'sfavore della vita' motivando con “la mia situazione è speciale…”, “dipende…”, “è
per il bene della madre…”, "Sono giovani, hanno fatto uno sbaglio," aggiungendo "Posso avere il nome di quella clinica di Londra?"
“I diritti civili non sono nel contratto di Governo” ha
detto giorni fa uno di questi sfascisti, chissà se su quello straccio di carta velina hanno messo la Libertà.
giovedì 8 gennaio 2015
Il coraggio di riuscire a tenere la penna sempre carica
L’atroce attacco alla redazione
di Charlie Hebdo contrapppone ancora una
volta il potere del libero arbitrio, della libertà di coscienza e di parola nel
mettere a nudo le ridicole inconsistenze dei governi e delle religioni con la forza delle armi e dell'intolleranza.
L’informazione, la satira, la letteratura, l'educazione diventano così i nemici naturali di terroristi e tiranni perché pongono domande, aprono mondi possibili, rintuzzano la retorica dell’ufficialità, asfaltano le sceneggiate dei talk show, svelano i pulpiti di cartapesta.
Ci siamo malamente assuefatti, considerandoli inevitabili, alle vite braccate di Roberto Saviano e Salman Rushdie e di molti giornalisti italiani che vivono sotto scorta. Facciamo finta di non cogliere come molti autori si autocensurino per vivacchiare come meglio possono (mi viene in mente Pamuk in Turchia).
L’informazione, la satira, la letteratura, l'educazione diventano così i nemici naturali di terroristi e tiranni perché pongono domande, aprono mondi possibili, rintuzzano la retorica dell’ufficialità, asfaltano le sceneggiate dei talk show, svelano i pulpiti di cartapesta.
Ci siamo malamente assuefatti, considerandoli inevitabili, alle vite braccate di Roberto Saviano e Salman Rushdie e di molti giornalisti italiani che vivono sotto scorta. Facciamo finta di non cogliere come molti autori si autocensurino per vivacchiare come meglio possono (mi viene in mente Pamuk in Turchia).
La forza dell'informazione e della creazione
artistica spaventa. È di qualche giorno fa l’attacco della Corea del Nord
contro un filmetto fracassone prodotto dalla Sony che come effetto collaterale ha
già portato alla cancellazione della produzione del film tratto dallo splendido
fumetto “Pyongyang” di Guy Delisle.
Al Cairo ci sono in questo periodo 3 giornalisti di Al Jazeera sotto processo per aver osato raccontare da un punto di vista non autorizzato i fatti della Primavera Araba. Nel loro caso, forse maggiore indignazione e proteste da parte di tutti avrebbero davvero aiutato perché, lo sa bene Boffo che fu cacciato da Avvenire per aver messo in difficoltà il patto tra Vaticano e Berlusconi, l’onesta intellettuale esercitata verso la propria parte è tra le più difficili da sostenere.
Ancora oggi sento dentro di me il vuoto di opinioni e alla conoscenza che la mancata copertura mediatica alla guerra del Golfo e a quella in Afghanistan ha provocato in tutti noi grazie alla bella invenzione americana dei giornalisti embedded, pecorelle ammaestrate e nutrite a comunicati stampa del Pentagono. Una invenzione che quelli dell’ISIS hanno ripreso e migliorato con l’ostaggio-giornalista John Cantlie che per sopravvivere declama su Youtube la gloria e le ragioni deliranti dei fanatici combattenti.
Intimorendo la stampa, i terroristi (e i potenti) ci impoveriscono laddove sono le basi del nostro essere: nella capacità di discernimento e giudizio, e dunque nella nostra capacità di comprensione del mondo che ci circonda.
Mi irrita allora la vuotezza di quasi tutta la stampa televisiva autocensurata, afona di vere domande e contraddittori, avvezza all’inchino e alla confidenza verso chi dovrebbe invece tallonare, mettere in imbarazzo.
Prima di arruffianarsi i lettori e gli spettatori con i loro "Je suis Charlie", le nostre testate dovrebbero ripetere che siamo 49vesimi nella classifica internazionale sulla libertà di stampa e sono pochi gli sforzi perché il 52% degli italiani che non legge neppure un libro all’anno esca dal girone degli ignavi. Faccio qui notare come l’ultimo oggetto editoriale paragonabile a Charlie Hebdo visto sul pianeta italico sia stato Cuore, chiuso nel 1996.
Per ogni Gabbanelli o Michele Albanese (giornalista sotto scorta de Il Quotidiano del Sud) ci sono intere redazioni che hanno come unica missione compiacere i potenti e intorbidire le acque.
D’altronde, anche per i migliori, è difficile appassionare, far indignare e riflettere dei lettori quando gli stessi non sono più geneticamente capaci di vergognarsi.
L’unico vero successo raggiunto da Craxi e dal suo amico Berlusconi è stato quello di aver sdoganato, con la compiacenza della Chiesa, il “Se lo fanno tutti non è peccato” come primo comandamento tatuato nella coscienza collettiva.
Però se non mi vergogno non mi indigno. Se non mi indigno non mi interessa capire la realtà ma solo possedere opinioni semplici e categoriche, divertirmi e ‘vivere esperienze’. Se non mi interessa capire non mi riguarda la libertà di stampa e sono interessato solo alla parte gossippara del mondo che photoshoppa il reale per aumentarne la brillantezza e esclude le tristezze delle minoranze e degli esuli, gli interessi dei bambini e degli anziani, le guerre lontane, le epidemie, gli intrallazzi delle multinazionali e dei politici fuori controllo.
Ecco allora che l’empatia diffusa scatta verso l’evasore fiscale, il trombatore senile, il truffatore simpatico, il politico ladro dalla lacrima facile, soprattutto verso chi ha un posto in prima serata e non se lo merita perchè così la mia empatia diventi presto invidia e possibile immedesimazione.
E se oggi sono Charlie, domani sarò facilmente Brad e dopodomani Matteo e non mi interesserà se qualche giornalista impugna la sua penna per difendere davvero la civiltà e la democrazia, e magari dimostra pure che il mio re è nudo, avvelenatore e armato… perché tanto - si sa - i giornali, sono tutti uguali, prezzolati e pieni di bugie.
Al Cairo ci sono in questo periodo 3 giornalisti di Al Jazeera sotto processo per aver osato raccontare da un punto di vista non autorizzato i fatti della Primavera Araba. Nel loro caso, forse maggiore indignazione e proteste da parte di tutti avrebbero davvero aiutato perché, lo sa bene Boffo che fu cacciato da Avvenire per aver messo in difficoltà il patto tra Vaticano e Berlusconi, l’onesta intellettuale esercitata verso la propria parte è tra le più difficili da sostenere.
Ancora oggi sento dentro di me il vuoto di opinioni e alla conoscenza che la mancata copertura mediatica alla guerra del Golfo e a quella in Afghanistan ha provocato in tutti noi grazie alla bella invenzione americana dei giornalisti embedded, pecorelle ammaestrate e nutrite a comunicati stampa del Pentagono. Una invenzione che quelli dell’ISIS hanno ripreso e migliorato con l’ostaggio-giornalista John Cantlie che per sopravvivere declama su Youtube la gloria e le ragioni deliranti dei fanatici combattenti.
Intimorendo la stampa, i terroristi (e i potenti) ci impoveriscono laddove sono le basi del nostro essere: nella capacità di discernimento e giudizio, e dunque nella nostra capacità di comprensione del mondo che ci circonda.
Mi irrita allora la vuotezza di quasi tutta la stampa televisiva autocensurata, afona di vere domande e contraddittori, avvezza all’inchino e alla confidenza verso chi dovrebbe invece tallonare, mettere in imbarazzo.
Prima di arruffianarsi i lettori e gli spettatori con i loro "Je suis Charlie", le nostre testate dovrebbero ripetere che siamo 49vesimi nella classifica internazionale sulla libertà di stampa e sono pochi gli sforzi perché il 52% degli italiani che non legge neppure un libro all’anno esca dal girone degli ignavi. Faccio qui notare come l’ultimo oggetto editoriale paragonabile a Charlie Hebdo visto sul pianeta italico sia stato Cuore, chiuso nel 1996.
Per ogni Gabbanelli o Michele Albanese (giornalista sotto scorta de Il Quotidiano del Sud) ci sono intere redazioni che hanno come unica missione compiacere i potenti e intorbidire le acque.
D’altronde, anche per i migliori, è difficile appassionare, far indignare e riflettere dei lettori quando gli stessi non sono più geneticamente capaci di vergognarsi.
L’unico vero successo raggiunto da Craxi e dal suo amico Berlusconi è stato quello di aver sdoganato, con la compiacenza della Chiesa, il “Se lo fanno tutti non è peccato” come primo comandamento tatuato nella coscienza collettiva.
Però se non mi vergogno non mi indigno. Se non mi indigno non mi interessa capire la realtà ma solo possedere opinioni semplici e categoriche, divertirmi e ‘vivere esperienze’. Se non mi interessa capire non mi riguarda la libertà di stampa e sono interessato solo alla parte gossippara del mondo che photoshoppa il reale per aumentarne la brillantezza e esclude le tristezze delle minoranze e degli esuli, gli interessi dei bambini e degli anziani, le guerre lontane, le epidemie, gli intrallazzi delle multinazionali e dei politici fuori controllo.
Ecco allora che l’empatia diffusa scatta verso l’evasore fiscale, il trombatore senile, il truffatore simpatico, il politico ladro dalla lacrima facile, soprattutto verso chi ha un posto in prima serata e non se lo merita perchè così la mia empatia diventi presto invidia e possibile immedesimazione.
E se oggi sono Charlie, domani sarò facilmente Brad e dopodomani Matteo e non mi interesserà se qualche giornalista impugna la sua penna per difendere davvero la civiltà e la democrazia, e magari dimostra pure che il mio re è nudo, avvelenatore e armato… perché tanto - si sa - i giornali, sono tutti uguali, prezzolati e pieni di bugie.
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