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venerdì 27 settembre 2013

Signor Barilla, mi consente?

La recente vicenda del signor Guido Barilla che argomenta con forza la sua filosofia commerciale diretta alle coppie etero, quelle in cui la donna è felice di essere lei sempre ai fornelli, col marito che sbuca solo quando i fusilli sono in tavola, non mi scalda poi così tanto. Lui non è interessato al target omosessuale? Lui vede la donna solo come angelo del focolare? Fatti suoi. Governa un brand che se non cambia perde, ma sono fatti suoi. Non ritengo che le pubblicità debbano essere politicamente corrette, tantomeno orientare gli atteggiamenti morali. Servono a condizionare i comportamenti d’acquisto. In questo senso la reazione irritata di molti fa pensare che i consumatori sappiano scegliere.

Il signor Barilla ha detto quello che pensava, che pensano purtroppo in tanti, di certo quelli a cui lui vuole vendere la sua pasta e (come dice lui) gli altri sono liberi di mangiare altro.
Cosa che senz’altro faremo. Io perlomeno se posso evito Barilla per motivi che oggi trovo sensato esplicitare:  
  • E’ una pasta mediocre: tra le opzioni sugli scaffali le scatole blu della Barilla non sono niente di chè. Si è scelta la nicchia della mediocrità, di pasta sicura e tranquilla, quasi l’icona del conformismo a tavola. Ma il conformista oggi è modaiolo, sfuggente. Ecco allora che da un po’ la Barilla tenta di posizionarsi su una fascia medio-alta ma sotto i denti però non supera in qualità le paste da mensa e, come per i tappeti, nei supermercati è sempre più spesso in sconto. (mentre le paste buone sono in sconto due volte l’anno, se va bene).
  • I formati paraculi: prende per i fondelli con la varietà della sua offerta. Ha recentemente varato le Specialità, paste normalissime che costano di più perché … non si sa. Tra queste ci sono anche le Farfalle, la pasta meno speciale e esclusiva mai immaginata da trafilatore annoiato. Poi ecco i Piccolini: mini penne, mini fusilli, mini farfalle, bonsai di grano duro per sedurre i genitori insicuri che – magari con pupi che mangiano poco – pensano che una simile paraculata basti a convincere l’infante. E infine gli Integrali, che alla Barilla costano uguale se non meno degli altri formati ma che il signor Barilla si sente in dovere di vendere a prezzo maggiorato.
  • Lo spot di Forza Italia del ’94. Lo ricordate? Ha ampiamente saccheggiato musiche e immagini Barilla, ne ha travasato il populismo in politica. Fa sorridere che oggi qualcuno si indigni per le posizioni tradizionaliste dell’azienda. Mi basta pensare a quella musichetta infame per cancellare il carboidrato in scatola blu.
  • Le mani in pasta: la condanna per le attività di cartello tra le aziende produttrici è alquanto irritante e ormai definitiva. La Barilla paga 5,7 milioni di Euro di multa dei 12 complessivi (divisi tra 26 aziende di settore).     
  • L’invenzione del Mulino Bianco Questa poi non gliela perdonerò mai. Come tutte le madri, anche la mia fu sedotta dalla pubblicità e da un’incontrollabile pulsione verso le raccolte a punti. Non si parlava più di gusto, di fragranza, di morbidezza, ma solo di pupazzetti, di cuscini gonfiabili e di improbabili mollette a forma di animali della fattoria. Sulla nostra tavola, a colazione, i Bucaneve persero lo status di unici fornitori della mia unica colazione e ebbero dignità di una presenza in biscottiera ogni tre apparizioni di Mulino Bianco, e solo dopo mie insistenti lamentele. Anni dopo frequentai un master in cui il docente di marketing strategico elencò gli stratagemmi adottati dalla Barilla per affermare il Mulino Bianco. Quella lezione diede certezze ai miei peggiori sospetti quando compresi le finezze della campagna pubblicitaria centrata sull’idea del ritorno alla natura ma in realtà facente perno sul terrore di vivere in un mondo contaminato dove nessuno è disposto a fare un passo indietro ma tutti si vantano di apparire ecosostenibili. Un mondo dove le sorelle sono tutte bionde, ricce e saputelle. Mi fu chiaro quanto la metafora del mulino celasse in realtà un immenso hangar di pesticidi che venivano liberati nelle colazioni e contaminavano la coscienza di una generazione.
Barilla non mi è simpatica, ok.
Forse oggi è il consumatore a dover provare a essere politicamente e papillarmente corretto.
Stasera rigatoni con spada e melanzane.

mercoledì 10 luglio 2013

Un cuore di panna per meeeeeeeeeeeeeeeeee!

Ho uno spirito critico corazzato da una patina di cinismo. Non si accontenta di essere distaccato dai fatti e pignolo nelle valutazioni ma ama mettere un po’ di cattiveria nei giudizi.
Questa serena freddezza mi ha sempre difeso dalle suggestioni facili e dalle infatuazioni di una sera. Per impressionarmi occorre forare strati di scetticismo. Ovviamente, bucata la corazza mi lascio completamente andare e la deriva della ragione diventa totale.
Nonostante molti altri amori mi abbiano accarezzato il cuore, sono stato soggiogato in tenera età dalla seduzione del Cornetto Algida.
Lei era la ragazzina che pubblicizzava il cuore di panna che il Cornetto raccoglie. Capelli castani, occhi neri. La conobbi in un spot e ciò mi bastò. Per trenta secondi fummo io e lei, lei e me, io sul divano e lei nel monoscopio, e furono i tormenti, le gioie e la passione.
Era sdraiata sulla spiaggia. Morbida, con indosso un costume scuro. Improvvisamente qualcosa attirava la sua attenzione. La ricordo voltarsi, con la canzone di sottofondo che sussurrava: «Se quello che cerchi, è un cuore da amare» (Sì, sì, lo cerco. Oh, come lo cerco!). I suoi occhioni scuri e le lentiggini. «Un piccolo cuore per farti sognare» (Che piccolo cuore e che belle piccole tette, e all’uso neanche troppo piccole!). Veniva poi lo sguardo stupito e innamorato di lei verso di lui (uno sfigato qualsiasi che avrei potuto essere io). La musica in crescendo «un sogno d’estate. Un cuore di panna troveraiiiiiii».

E i due correvano uno verso l’altro e poi si abbracciavano (e io sorridevo ogni volta come uno scemo). Finiva sempre che mangiavano il Cornetto e io in quel trionfo di gelato non riuscivo più a distinguere quali fossero i preliminari, quale il climax, quale il messaggio. Allora, appena potevo, lo compravo e lo mordevo: era strabuono, più imitato della Settimana Enigmistica e del ciuffo di Elvis Presley.
Ancora oggi, quando la corona di cioccolato e nocciole o quel culo appuntito ripieno di fondente mi scrocchiano tra i denti, mi chiedo come possa ogni volta ripetersi quell’emozione. Allora chiudo gli occhi, penso alla moretta con le lentiggini, e mi sazio della certezza che l’esistenza del Cornetto sia la sua prova di fedeltà eterna.