La nomina di sette consiglieri over 60 nel CdA della RAI
spinge a una riflessione sulla tv pubblica, sul suo senso e utilità.
“Non c’è nulla in
televisione” lo sento dire sempre più spesso. Dapprima viene da chi ha solo
i programmi in chiaro. Ecco allora l’investimento nei canali a pagamento. “Non c’è nulla in televisione” sbuca dopo
poco. Ecco allora l’aggiunta di qualche pay per view, la prossima sarà Netflix.
Non ci sarà nulla da vedere neanche lì perché è chiaro come la tv da noi
conosciuta negli ultimi 40 anni sia finita.
La sterminata ricchezza di contenuti di Internet è a
disposizione di tutti e in particolare di una generazione che li sa trovare,
selezionare e apprezzare, avesse anche i soldi per comprarsi la tv non sarebbe poi
così interessata a farlo. Le vendite sono infatti in picchiata. Le Smart tv
sono l’anteprima di quanto il mercato può offrire ma non bastano neppure a
togliersi l’appetito. La loro usabilità è nulla. Il fascino del 50 pollici è però
inimitabile e dunque non credo che verrà soppiantato dal computer o dallo
smartphone. Piuttosto serve una tv che si comandi come un tablet, che faccia le
stesse cose comandata a gesti e parole.
I palinsesti saranno di libera composizione da parte dell’utenza.
Per godere appieno il mare magnum dei contenuti si affermeranno degli opinion
leader che, come accade su Twitter, segnaleranno le cose che vale la pena
vedere e perché. In fondo, già oggi questo avviene per decidere che serie
scaricarsi o vedersi su qualche sito pirata. Vi saranno poi gli “eventi”, trasmissioni
d’eccezione che varrà la pena vedere in modo sincrono, tutti assieme, attorno
al focolare al plasma. Si tratta di Sport ma anche di concerti pop, festival,
qualche reality, anteprime e rarità.
L’utenza si segmenterà sui filoni che corrispondono ai
desideri, alle necessità e agli istinti,
tra loro anche in parte sovrapposti:
- Chi vuole capire e informarsi, seguirà programmi e contenuti di approfondimento su un palinsesto infinito
- Chi vuole divertirsi/svagarsi, avrà a disposizione format e servizi allo scopo, film, serie, …
- Chi vuole imparare, potrà accedere a tutorial e contenuti di autoformazione, formazione collaborativa, elearning
- Chi vuole scommettere, accederà a programmi e piattaforme interattive r potrà farlo anche sovrapponendosi ai format precedenti (scommettere in tempo reale sul vincitore del Festival, la squadra di calcio, etc…)
- Chi vuole socializzare/rimorchiare, avrà ogni modo per farlo (inclusa la telecamera in dotazione a ogni apparecchio).
- Chi vuole seguire un movimento/religione/partito avrà l’ambiente per farlo attivamente senza alzarsi dal divano
Tutto questo avrà senso se funziona, se affascina, se batte la
concorrenza di altri device (quella con la realtà è battuta in partenza). La principale
scommessa sarà quella sull’usabilità di questi servizi. È lì che bisogna
sperimentare e investire qualche trilionata.
Piccoli esempi: guardando un programma sulle vie medievali
di Dolceacqua in Liguria posso poter prenotare direttamente un hotel o un
ristorante in loco senza interrompere la visione. Dall’ennesimo programma della
Clerici in cui si cuociono asparagi alla birra potrò comprare vegetali o
prenotarmi per un corso da mastro birraio. Con la stessa facilità si potranno immaginare
contenuti su cui costruire sondaggi, sistemi di votazione, quiz, vendite, anche
decidere le trame delle fiction a maggioranza.
Quanto ci vorrà? Non credo sia questione di tecnologia
quanto piuttosto di cultura del pubblico. Se consideriamo nativo digitale chi è
nato dal ’90 in poi, diciamo che la massa arriverà al potere di acquisto di una
tv nei prossimi 5 anni. E se la tv non sarà così, le stesse cose si faranno sui
pc, smartphone o – peggio ancora – le persone riprenderanno a uscire e a
vedersi di persona, pratica, si sa, poco smart e scomoda in generale.
Ecco allora come la RAI e i sui ultrasessantenni al potere
fanno quasi tenerezza: soprammobili fuori moda nella stanza di comando.
Se poi, addirittura, qualcuno si ricorda che parliamo di un
servizio pubblico, ecco come questo agghiacciante post debba trovare nella
società degli anticorpi che ne sciolgano
i poteri eversivi, blocchino i rischi di censura e monopolio delle idee,
liberino lo spirito critico nella costruzione di opportunità. Forse allora chi volesse
occuparsi di televisione e bene comune potrebbe ripartire dall’educazione alla
curiosità, al rispetto per il diverso, all’insegnare a usare il mezzo per
arrivare a un fine che si basi su contenuti fatti con/per
e i parte da l’utenza e non dagli inserzionisti o dal governo.
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