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martedì 4 agosto 2015

Strade pulite, persone pulite.

A volte ospito post importanti, che mi paiono utili a molti, in grado di segnare una strada.
Ecco perchè questo ragionamento sul senso civico e sul futuro del Paese, pubblicato da Elena su FB, va amplificato, fatto girare, ripreso e condiviso. 
Elena è un'amica che ha deciso di fare piuttosto che stare a guardare. Da lei c'è davvero molto da imparare. 
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Mettiamo in chiaro qualche concetto, che mi pare ci sia una certa confusione.
Dico due parole ad una piccola assemblea pubblica, un amico mi dice di metterle nero su bianco, sulle prime esito poi capisco che è il momento giusto. Mi ci metto, i pensieri si allargano, i collegamenti si moltiplicano e quindi parto da lontano.
Chiacchieravo camminando con una mia insegnante, la classica ragazzona americana, allegra, che parla sempre tanto e a voce alta, un metro e ottantacinque di Heather Parisi. Incidentalmente, viene fuori che ho frequentato il liceo Cavour, vicino a Colle Oppio a Roma. Appena lo dico, si ferma, lei sa esattamente dove si trova la scuola, mi fissa con uno sguardo improvvisamente serio e mi dice, in italiano “quindi, tu hai visto il Colosseo tutti i giorni per cinque anni. Tu lo sai che significa questo, vero?” La risposta “yes, I know. It’s a great privilege” la sussurro, quasi mi sento in imbarazzo. Dentro di me l’ho sempre saputo, ma per la prima volta questa pensiero diventa materia, come se lo potessi toccare, della stessa materia del Colosseo.
Semisdraiata sul divano, in pieno zapping nevrotico, mi imbatto in un fotogramma di una corsa ciclistica. Meno di un secondo e passo oltre, giusto il tempo tecnico minimo per decodificare sederi-di-uomini-curvi-che-faticano-inutilmente-fasciati-da-ridicole-tutine-lucide (è la mia considerazione del ciclismo, lo ammetto). Altri due, tre canali e non so bene da dove, dal profondo del cervello, dell’anima, un altro pensiero inaspettato mi dice che sullo sfondo della corsa, quel profilo che separava il cielo dalle montagne sembra proprio quello che si vede dalla casa di nonna in Toscana. Torno indietro, anche se mi sembra impossibile averle riconosciute, sono un pezzo qualunque Appennino; mi costringo a seguire qualche minuto la gara e il telecronista, mi conferma, sembra parlare proprio con me, che sì, oggi il Giro d’Italia passa in Mugello. Resto di stucco, quello che ho riconosciuto in un attimo, senza nemmeno essere consapevole di cosa stessi guardando, è stata la linea d’orizzonte di quasi tutte le mie estati, la corona di monti che abbraccia questa valle, la mia Heimat.
Così ho capito perché mi piace tanto andare in giro per musei, mi piace tutto, ma chi mi incanta sono sempre i soliti Cimabue, Giotto, Andrea del Castagno, Beato Angelico: abbiamo visto la stessa linea d’orizzonte; non li conosco, li riconosco. E ho capito che siamo quello che mangiamo, ma siamo anche quello che vediamo, magari distrattamente, per il solo fatto che fa parte dell’ambiente, che sta all’orizzonte, che passa davanti ai nostri occhi, e giorno dopo giorno, queste visioni modellano il nostro cervello, i nostri sentimenti, i nostri valori, diventano norma, cioè ci suggeriscono cosa considerare normale, accettabile. E cosa no.
Il mio impegno nel movimento di ‪#‎RetakeRoma‬, trova fondamento in quello che ho visto. Ho fatto scorpacciate pantagrueliche di cose belle e adesso che so anche guardarle non posso sopportare che si sciupino solo per approssimazione, distrazione, lassismo. È il contrario del culto ossessivo dell’estetica consumistica.
Inizio quasi un anno fa, da sola e poi in compagnia, incontro persone interessanti, simpatiche, intelligenti, piano piano si impara a conoscersi, si parla sempre di più. All’inizio di acquaragia e strofinacci, poi di una visione della città, degli spazi per la socialità, di uso consapevole delle risorse e si condivide lo sgomento per il pantano corruttivo in cui la città sembra putrefarsi. Sulla strada, nei parchi, nelle scuole tocchiamo con mano le conseguenze di questa barbarie silente: erba che cresce ovunque, altalene sfasciate, cestini dei rifiuti svuotati solo dalle cornacchie, scuole rabberciate alla bell’e meglio devastate da scorribande impunite di vandali, marciapiedi impercorribili occupati da stracciaroli abusivi, monumenti imbrattati, sporcizia, sciatteria e inciviltà che dilagano di pari passo, istituzioni quasi sempre latitanti, forze dell’ordine in affanno. E appalti bloccati, da rifare per ovvi motivi. L’Europa è lontana.
Continuiamo, gli interventi si fanno sempre più complessi, costosi anche, ma il giro si allarga, persone veramente speciali infoltiscono le fila o semplicemente si affiancano, c’è chi ci grida “siete grandi!” dal finestrino della macchina. Ci mettiamo alla prova, organizziamo una mega colletta, un successo inimmaginato.
Arriva giugno, fine dell’anno scolastico e chiusura del nostro primo anno di attività. Ci vuole una pausa di riflessione, magari anche un po’ in solitudine per mettere a sistema tanto lavoro, tante conoscenze, tante emozioni.
La realtà chiama, però. Alcuni giorni fa, durante una riunione di Retake qualcuno racconta che un importante concessionario di pubblicità che lavora all’estero e in Italia, anche a Roma, vorrebbe investire di più ma “i problemi che abbiamo a Roma non li abbiamo da nessun’altra parte. Per questo non investiamo anche nel bike sharing, subiamo già troppi danni agli impianti”. Sono arrivati al punto di rinunciare a cospicui introiti pubblicitari per promuovere una campagna contro gli atti di vandalismo. Mi si gela il sangue: secondo questa impresa Roma non garantisce le condizioni ambientali minime per investimenti che fanno tranquillamente altrove. E parliamo di bike sharing, cioè la versione appena evoluta dell’affittasi biciclette, né vale la scusa della burocrazia assurda perché questi a Roma ci lavorano già, il loro problema è il vandalismo.
Contemporaneamente, l’ennesima emergenza. Migliaia di persone approdano straniere in questa città dopo viaggi irraccontabili, persone in fila per un bagno, del cibo, un paio di ciabatte, come in tempo di guerra. Montano orgoglio e sgomento: romani in fila per portare vestiti, cibo, medicine, offrire un po’ di tempo, sezioni di partito come centri di raccolta, finalmente servono a qualcosa, la rabbia al pensiero che con i soldi che ci siamo fatti rubare avremmo potuto accoglierli più dignitosamente. E ancora istituzioni disorientate, appalti bloccati, cittadini di buona volontà che si sostituiscono ai servizi pubblici. Mi presento ad un centro di accoglienza e piombo in un film del neorealismo: in un vicolo che è un manuale di abusivismo edilizio di necessità, con tetti in ondulato e ballatoi con cascate di petunie come neanche a Versailles, incontro facce consumate, occhi che hanno visto l’orrore, ragazzi stravolti che sembrano vecchi, bambini che giocano a spade con i palloncini e ridono scalzi.
A meno di due chilometri, un’armata brancaleone di bigotti fanatici e estremisti non trova niente di meglio da fare che scendere in piazza contro quelli diversi da loro. Vogliono difendere i lori figli e non si accorgono che li stanno consegnando a dei mostri.
L’Europa è sempre più lontana.
Sembrano solo coincidenze, ma il cerchio si chiude e fa impressione. La delinquenza di stampo mafioso ha inghiottito i servizi basilari di questa città, quello che serve per la vita delle persone comuni, i piccoli, gli indifesi, i bisognosi. Per pigrizia, per ignavia, per faciloneria, per distrazione, per non aver visto quanto tutto stesse diventando brutto e cacofonico, abbiamo rinunciato a strade praticabili, scuole sicure, trasporti pubblici efficienti, servizi sociali all'altezza di un paese civile, manutenzione del patrimonio artistico e culturale, piste ciclabili, riduzione dell’inquinamento, servizi turistici, meno soldi per carburante e più in libri, cinema, viaggi. Tutte cose che si traducono in posti di lavoro, in dignità, in opportunità di crescita culturale e spirituale per i ragazzi, per la società intera. Una gigantesca mancanza di visione.
Ma sottotraccia qualcosa si muove e testimonia l’esistenza di un enorme giacimento di attenzione, cura, competenze, serietà, tenacia, intelligenza, disponibilità, generosità ancora sottoutilizzato, di una domanda forte di partecipazione sociale inespressa che non si riconosce nelle forme tradizionali. Cominciano ad essere molti quelli che si ricordano di avere visto un orizzonte, l’avanguardia della società civile crea nuove comunità e organizza festival sul cambiamento e sull'innovazione, scova eccellenze, racconta storie esemplari, progetta il futuro: boccate d’aria fresca, non tutto è perduto, anche se molti restano ancora esclusi.
Con oltre il 40% di disoccupazione giovanile, con il più basso tasso di natalità mai registrato in Italia dai tempi della Grande Guerra, un Mezzogiorno appena certificato come "destinato al sottosviluppo strutturale", con un astensionismo elettorale impensabile solo dieci anni fa, ce lo possiamo ancora permettere? Secondo me, no.

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