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giovedì 15 luglio 2021

Ne è INVALSa la pena?

I risultati dei test INVALSI 2021 appena pubblicati mostrano come quasi la metà dei maturati di quest’anno non abbia sufficienti competenze in lingua italiana, simili drammatici risultati anche nelle materie scientifiche, con situazioni tragiche nel sud Italia.

Siccome ogni anno scrivo almeno un post antipatico, stavolta la voglia mi arriva da questa notizia che completa il dato, sempre sottotraccia, che a leggere almeno 1 libro all’anno è solo il 42% degli italiani.


Il tema mi appassiona per una serie di ragioni che vanno dal mio interessamento per le dinamiche del mercato del lavoro, l’essere docente a molti corsi per adulti, essere genitore, essere preoccupato per la tenuta democratica del Paese, al voler raccogliere per mesi i segnali che arrivano dalle mie reti.

Ammetto di avere un rapporto difficile con i docenti sul tema dell’INVALSI. Gli insegnanti dei miei figli hanno spesso ‘obiettato’ ai test non facendoglieli proprio fare (come se si trattasse di una scelta di coscienza come l’aborto), coperti in questo da presidi che certo non li hanno bacchettati. Negli anni, ho raccolto ogni tipo di obiezione al valutare la formazione, come se si trattasse di un’attività esoterica incomprensibile a chi non entra in classe. Da incontri con sindacalisti della scuola ho poi capito che l’obiezione non è all’INVALSI ma all’idea stessa che la valutazione sia lecita e possibile.

Sarà che come docente ad adulti sono costantemente valutato sia in maniera formale che informale, ma ho sempre trovato puerili queste argomentazioni, veri alibi che indeboliscono molto la credibilità dell’intera categoria. Viaggiando in Europa come esperto Cedefop ho visto come in altri Paesi siano normali: la valutazione esterna, quella tra pari e quella fatta dall’ispettore che entra in classe a sorpresa una volta l’anno, si siede in ultima fila e per un’ora valuta COME insegni. Perché la valutazione non ha nulla a che vedere con la libertà di insegnamento, non si tratta di COSA insegnino i docenti ma interviene nel COME questo avviene. (Per il PERCHE’ lascio la valutazione alla coscienza di chi sale in cattedra)

Come risposta a questa tragedia, la ministra annuncia che assumerà 140.000 insegnanti in 2 anni, senza il dubbio che – visto l’impressionante numero di bocciati agli esami di abilitazione - forse neppure ci siano oggi così tanti docenti non ancora di ruolo in grado di fare bene quel lavoro. Non accenna purtroppo a come diminuire gli alunni per classe, neppure a come formare gli insegnanti che già ci sono, magari con schemi di formazione tra ‘pari’. Non parliamo della formazione dei dirigenti, nati spesso formati per investitura divina. 

Se poi vogliamo volare più alti ecco come la divisione Licei/ Istituti tecnici/ Professionali sia sempre meno adatta al reale, come oggi le competenze digitali siano abilitanti al pari della matematica, italiano e inglese e i ragazzi sono lontanissimi dal possederle.  (certo, ci stupiscono per come sanno usare le app, ma è lo stesso tipo di competenze che stupiva i nostri genitori quando sapevamo usare il videoregistratore: cioè competenze operative che rispondono a mere necessità). Rari sono i presidi preparati per il ruolo, nulli sono gli incentivi ai docenti migliori. Nel dibattito ci si perde nella visione profetica degli ITS, che sono pochi, poco conosciuti, poco finanziati, vere chimere, e non si parla mai (ad es.) del vero buco nero rappresentato dalle scuole medie, dai loro programmi, dalle classi-pollaio, dall’inadatta didattica frontale a oltranza su quell’età.

Non si evidenzia da nessuna parte delle grandi, sterminate, responsabilità che ha l’Università in merito a questa vera tragedia sociale. Il dramma è che l’Accademia non ha niente da dire: è afona, senza temi, lontana dalla società e dall’economia, incapace anche solo di pensare di quali insegnanti e insegnamenti ci sia bisogno. Ci sono, certo, alcune eccezioni ma ininfluenti per ruolo e capacità politiche. Se ne è accorto il mercato della consulenza (‘se vuoi perdere tempo chiama un professore universitario…’) e quello dei convegni dove sono sempre meno i prof invitati a parlare (specie ora con i webinar dove le persone ci mettono un attimo a ‘cambiare canale’ se il relatore pesta acqua nel mortaio). Il paradosso è che il mondo ha enorme necessità di bravi docenti in grado di abilitare al XXI secolo, con programmi interdisciplinari sempre più diffusi, avvalendosi con intelligenza delle tecnologie digitali disponibili, in contesti che premino le competenze e i risultati (dei ragazzi, dei docenti, dei dirigenti).

Nuove richieste di competenze si rivolgono soprattutto alle facoltà umanistiche, artistiche, sociali, che oggi creano migliaia di figure irrisolte che non riescono a concretizzare i loro talenti e passioni a meno che non si lancino in master costosissimi e classisti o percorsi di apprendistato che li portano al prima stipendio non prima dei 30 anni. Con la mortificazione, il calo di motivazione, lo spreco di cellule neuronali diffuso tra chi non può permetterseli o non vuole lasciare il Paese.

Lo so, vi ho portato a spasso in un post che pone molti problemi e propone quasi zero. Mi scuso. Perché da soli, senza la politica attenta al tema, con resistenze pazzesche dello status quo, senza coraggio amministrativo e organizzativo, non ce la si può fare.

Se volete aggiungere riflessioni, scrivete qui sul blog, su FB o su Linkedin dove posterò il testo.


domenica 7 marzo 2021

Se la pandemia fosse un film.

Non si può continuare a dire che l’emergenza giustifica la disattenzione al Fattore Umano in questa pandemia. Si riconduce la perdita di lavoro, le morti, l'anafettività, la mancanza di libertà personali a fattori tecnici. Da mesi, tutti gli interventi si concentrano su fondi, ristori, vaccini, mascherine, sussidi, banchi: tutte dimensioni economiche, logistiche e sanitarie legittime ma insufficienti a sostenere la coesione sociale.


Già, la coesione sociale è la forza  che ci unisce nelle avversità, che mantiene i più sfortunati in relazione con la comunità e con le opportunità, che non spegne la speranza, che alimenta sogni e motivazioni. È il motore che muove a risolvere i problemi e non solo a competere per il proprio pezzo di pane.

Occorre una politica che riconsideri il ruolo della compassione, dell'empatia, il sostegno morale e psicologico, il corpo inteso non solo come oggetto da salvare dal virus ma patrimonio, protagonista, luogo della psiche.

Mi pare di vivere in un brutto film tutto muscoli e scazzottate, dove la regia non presta nessuna attenzione alle emozioni, e se non cambia la trama non prevedo lieti fine. Nella migliore delle ipotesi: saremo tutti vaccinati e arrabbiati perchè impauriti e soli.  

A volte mi sembra un film dove ciascuno decide quale genere debba avere la trama.

  1. Se amate il film d’Azione, vi consiglio di trovarvi a Roma ogni sabato verso le 18. In Piazza del Popolo va in scena la rissa tra bande adolescenti ben vestite e gioiosamente desiderose di far qualcosa di fisico, fico, instagrammabile e raccontabile nei fuori onda della didattica a distanza. Sono ragazzi isolati, impauriti, assenti dal discorso politico. Sembra quasi che nei talk show vi sia un dictat che imponga di non parlare mai di loro, del fallimento del sistema educativo, della solitudine. L’intero fondo Next Generation EU da noi è stato ribattezzato Recovery Fund, perché la parola ‘Generazione Futura’ suona forse scandalosa. Sono lì, senza scuola, palestre, serate, spazi propri, scoperte, sessualità. Stanno cambiando, come noi adulti ma senza la memoria sul passato: alcuni si interrogano sul futuro e attivano strategie di resilienza; altri scelgono l’isolamento, alcolico e virtuale; c’è chi viola le regole; chi si organizza per dire no; chi vuole solo essere ascoltato.
  2. Se amate il genere Paradossale invece fate finta di essere un alieno messo di fronte alla DAD in una scuola impreparata, abbandonata, non formata, non tecnologica, isolata da anni di politiche scellerate, corporazioni antistoriche, dove tutto è scaricato su alcuni professori volenterosi avviluppati da regole folli. Un mondo incapace di organizzarsi, che ha buttato l’estate a comprare banchi monoposto invece di dotarsi di infrastrutture e competenze digitali, che ha blaterato di uso di musei, parchi, cinema e teatri per far lezione e poi si è arresa e lascia cadere gli ultimi nel baratro dell’abbandono scolastico.
  3. Se comprendete il Surrealismo osservate da vicino quei musei e teatri e cinema che sono stati chiusi nonostante si fossero ben attrezzati per garantire servizi in maniera conforme, a differenza di autobus, negozi e centri commerciali insicuri e affollati. In Canada e in Inghilterra i medici possono prescrivere arte e musei per curare ansia e solitudine con la bellezza; da noi è stato avvilente sentire che senza turisti non serve tenerli aperti, offendendo la Storia dell’Arte, le migliaia di persone che lavorano nel settore e i milioni di italiani che credono che la cultura serva a trovare risposte, a godere, e non solo a fatturare tramezzini e cartoline made in China.
  4. Se sbavate per l’Horror invece provate a pensare cosa potrà succedere alla fine del blocco dei licenziamenti e alla fine della cassa integrazione: misure di certo doverose che hanno sospeso in una bolla centinaia di migliaia di persone e non si sono poste il problema di mantenerne accesi i cervelli, formarli alla transizione digitale, ai temi della sostenibilità. Migliaia di negozi chiudono e noi vediamo solo le merci spostarsi su Amazon, perdendo di vista chi le vendeva, chi presidiava il territorio, chi ha ceduto il progetto di una vita alle offerte delle mafie e degli usurai.
  5. Se amate la Distopia, buttate un occhio critico alla diffusione dello smart working senza regole. Con la fine dell’orario di lavoro, il controllo a distanza, la distanza dal senso delle proprie attività, l’assenza dello scambio, la mortificazione dell’innovazione, la ricerca delle scuse per andare ogni tanto in ufficio. Un mondo muore e mille micromondi cercano di trovare un equilibrio. Il sindacato boccheggia perché la perdita della relazione annulla la corporazione, e l’immaginazione è stata anestetizzata da decenni. 
  6. Se non disdegnate il genere Romantico, infine, immaginate come la fine del contatto stia influendo sulle nostre capacità affettive. Ovviamente è l’ambito in cui le regole sono meno rispettate e quello di cui non si parla, per pudore e ipocrisia. In Austria e Francia il governo ha proprio detto: se siete soli individuate due persone che decidete di frequentare, la vostra ‘bolla’. In tre per parlare, sostenersi, ridere, litigare e fare l’amore: perché siamo umani e non bisogna dimenticarlo.
Tanto è impossibile cambiare canale.

martedì 1 novembre 2016

Alternanza Scuola Lavoro: vantaggio per McDonald’s o per gli studenti?

Tra i punti qualificanti la Buona Scuola vi è l’introduzione estensiva delle esperienze di Alternanza Scuola Lavoro (ASL). Si tratta di far un’esperienza in ambiente lavorativo nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, con una differente durata complessiva di almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore nei licei.
Niente di nuovo per i professionali, un salto nel buio per tutti gli altri, specie per i licei.

L’intento pedagogico è nobile: consentire al ragazzo di aprire gli occhi sul mercato del lavoro, verificare le proprie attitudini, dargli elementi per fare scelte per il prosieguo degli studi.
Lo spaesamento della scuola è comprensibile: si ritrova a gestire un obbligo alieno alla missione percepita, per il quale non vi è preparazione né sincero interesse. A essere stati presi in contropiede sono stati tutti: scuole che non hanno mai avuto relazioni col mercato del lavoro, famiglie disorientate, aziende sommerse da richieste di 16enni ai quali non si ha idea di cosa far fare.
Il fatto che una cosa simile funzioni in Germania ha convinto il legislatore che possa funzionare anche qui. La differenza non sta però nella lingua e nei capelli biondi: lì hanno molte aziende grosse e strutturate, in grado di gestire i ragazzi, con tempo/ragioni/contesti in cui la cosa può funzionare. Le nostre microaziende non sono idonee e un’attività del genere non ha chance per essere accolta come dovrebbe.
In breve: in Italia non può funzionare sui grandi numeri.  
Siccome però è stato piazzato lì, occorre affrontare il tema in qualche modo che non sia l'eterna 'sperimentazione' all'italiana.

Pochi giorni fa ero presente a un convegno dove un'importante Università esprimeva questo concetto: a) noi prendiamo Soldi dallo stato in base agli iscritti; b) noi facciamo 2800 esperienze di ASL l’anno con ragazzi delle superiori che vengono a lavorare dentro l'Università… c) lo facciamo per farli iscrivere da noi. d) Ai nostri iscritti invece non facciamo fare nessuna esperienza di lavoro perché non abbiamo rapporti col mondo del lavoro e non ce ne viene niente.
Intanto due giorni fa il Ministero del Lavoro ha annunciato la firma di un accordo con McDonald’s e altre aziende per garantire circa 28.000 posti l’anno in ASL. Indignate reazioni sindacali e del  MOIGE si sono sprecate denunciando quelle che sono a mio avviso posizioni preconcette e ignoranza di fondo sugli obiettivi dell’ASL e sul ruolo educativo che tali attività possono avere.

C’è chi invoca ‘coerenza’ tra il percorso di studi e l’esperienza. Come se fosse facile, come se qualcuno sapesse che lavoro i ragazzi andranno a fare dopo i licei. Come se a uno che frequenta il classico non facesse bene pulire un bancone, socializzare con ragazzi precari, trovarsi dalla parte di chi produce invece che tra chi compra.
Qui si tratta di acquisire le cosiddette life skills: essere puntuali, ordinati, proattivi, saper interagire al momento giusto, essere consapevoli delle regole scritte e non. Serve a comprendere se si è portati a lavorare all’aperto, con le persone, le cose, i numeri, gli animali. 
Penso che un po’ di McDonald’s ai liceali potrebbe servire molto a avere universitari più motivati a non fare quel lavoro, invece delle frotte di giovani spiaggiati negli atenei che attraversano gli anni dell’accademia senza un minimo progetto di vita che non sia quello di allontanare il più possibile l’ingresso nel confuso mercato del lavoro.

In questo quadro confuso, nelle Scuole la parola d’ordine dei professori agli studenti è: “Sbattetevi con le vostre famiglie per trovarvi un posto dove fare ASL. Contattate zii, amici di famiglia, chiunque abbia buon cuore”. Per molti genitori sta diventando: trovare un’azienda a cui dare 500 euro sottobanco perché prendano il figlio per fargli fare cose di una certa qualità. 
Dopo il florido mercato delle ripetizioni, un altro nuovo mercato del nero. Sì perché per un’azienda che non sa che farsene del ragazzo l’ASL è un peso e un costo. Certo, poi ci sono le eccezioni, le aziende che lo usano per avere il polso del mercato, selezionare tirocinanti, respirare Millennials, creare relazioni, ma sono mosche bianche che nessuno interessa  mettere a sistema.

Ben venga McDonald’s e i suoi amichetti allora e – per favore – che l’Università rinunci a offrire esperienze farlocche utili solo aumentar gli iscritti. Ben vengano anche esperienze in Fab Lab, spazi di Coworking, artigiani, agriturismi.   

Non sono contro l’idea di fondo dell’ASL, anzi all’opposto mi fa rabbia che sia un obbligo per molti senza effetti pratici se non la discontinuità didattica e la perdita di ore. Si dovrebbe piuttosto supportare progetti scolastici che prevedano una relazione col mercato dentro la scuola, portando testimonianze dall’esterno, sviluppando project work volti a fare ricerca e risolvere problemi reali, dando un senso alle materie studiate incluse filosofia e musica.

Infine, come in tutti i paesi del primo mondo, è arrivato i momento di far capire a famiglie e ragazzi come chi non prova nemmeno a dare un senso alle sterminate 3 mensilità di ferie estive con lavori/tirocini/volontariato di almeno un mese sarà sempre più svantaggiato nel mercato del lavoro. Questa è l’Alternanza che serve al curriculum, il resto sono giochi di ruolo.

lunedì 16 marzo 2015

Buona Scuola per tutti.

I commenti alla proposta della Riforma denominata “La Buona Scuola” sono stati pochi e raramente nel merito. 
Nelle città maggiori si è visto qualche corteo svogliato di studenti più portati alla giornata di vacanza che a confrontarsi nel merito del tema. Perfino i talk show televisivi l’hanno dribblata, a mio avviso perché non riassumibile in un tweet o in una battuta di Salvini.
A differenza di altre recenti iniziative del Governo, confuse negli obiettivi, nel percorso realizzativo e scombinate nella struttura,  come l’abolizione delle Province e la Garanzia Giovani, trovo nella riforma della Scuola un senso complessivo, spunti interessanti, alcuni difetti, un discreto sguardo verso il futuro.

A voler fare dietrologia, forse non è irrilevante come la moglie di Renzi sia insegnante essa stessa, così come molti dei ministri abbiano figli in età scolare (e non frequentino le studentesse solo in cene eleganti, come i governi precedenti).
Non deve qui sfuggire come la proposta sia frutto della più ampia consultazione pubblica mai realizzata per lo sviluppo di una politica pubblica, con migliaia di incontri in tutta Italia, centinaia di migliaia di contatti. La trovo organica e frutto di un’intelligenza diffusa. Spero che prassi del genere diventino diffuse, anche a livello locale.
Dalla proposta si percepisce attenzione, capacità di sintesi, cura per la Scuola, indirizzo politico.

Il recupero delle materie di insegnamento artistiche e economiche, il rafforzamento delle competenze dei presidi, un barlume di valutazione degli insegnanti, il bonus di 500 euro per gli acquisti culturali dei docenti, un po’ di soldi in più a chi se li merita, la stabilizzazione della maggioranza dei precari sono alcuni dei buoni inizi e molto di più di quello che ogni Governo abbia finora proposto.
Anche a me il bonus fiscale di 400 euro per chi manda i figli alle paritarie fa alzare il sopracciglio, e lo vedo a rischio incostituzionalità, ma è sempre meglio che dare il bonus alle scuole stesse come è stato fatto finora. In parte può essere anche una via per combattere l’evasione fiscale.
Trovo invece del tutto campato in aria, per quanto d’effetto nell’enunciazione, il raddoppio delle ore di alternanza scuola-lavoro proposto per molti Istituti. Si tratta di una fascinazione irrealizzabile per il modello tedesco basato su imprese molto più grandi delle nostre. Già ora, con solo 200 ore, l’alternanza riguarda non più del 10% degli studenti. Portando a 400 ore non si andrà da nessuna parte e si eroderà terreno ai tirocini in azienda che già non funzionano.

La consultazione ha fatto anche vittime, ha dato un duro colpo agli organismi intermedi (leggi sindacati) la cui irrilevanza nei processi sta diventando patologica e la pochezza di visione ne sta determinando l’autodissoluzione. In particolare sulla Scuola, impegnati a tutto tondo nel brandire il feticcio antistorico de “Le scuole e i docenti non si valutano”, hanno perso di vista tutto il resto.

Il paradosso finale è che un governo abituato a procedere con decretazione d’urgenza e eccesso di uso della fiducia, ha invece lasciato la Buona Scuola ai lavori delle Camere. Non riesco a capire se questo:
  • serve a impantanare la Riforma dimostrando l’inadeguatezza dei parlamentari
  • serve a massacrare la riforma consentendo al Governo furbacchione di dire “La proposta era buona e questo risultato è colpa vostra”
  • serve a mettere ciascuno di fronte a responsabilità precise scardinando gli alibi, anche dell’opposizione.


E ora? Potessimo passare attraverso un bel dibattito parlamentare migliorativo e poi alla fase operativa, tutti ne guadagneremmo. E' chiedere troppo?

lunedì 21 luglio 2014

Quando la professoressa è lesbica.

È una storia che non ho mai raccontato, che era finita nel magazzino ordinato dei ricordi assieme a tanti aneddoti, che era lì forse per essere inserita nella vita di un personaggio dei miei romanzi futuri. L'episodio dell’insegnante di Trento inquisita in ragione del proprio orientamento sessuale l’ha fatta tornare a galla e, nell’umidità appiccicosa di questa estate romana, ve la propongo come raccontino della sera.

Stella viveva ad Anversa, la sua città natale. Insegnante di Scienze e Matematica in una scuola superiore, aveva da parecchi anni anche l’incarico di coordinare per l'istituto l'orientamento dei ragazzi nelle scelte di studio e professionali. Come me, aveva vinto una visita di studio per comprendere come la Norvegia si impegnasse per combattere l’abbandono scolastico.
Era lesbica e non ne faceva mistero. Amava l’Italia, parlava un discreto italiano e mi aveva raccontato che ci era stata “con la mia fidanzata”.
In quel periodo stavo scrivendo un racconto per la mia raccolta People from Ikea che aveva come protagonista proprio una donna omosessuale. La simpatica Stella che leggeva in italiano mi parve un’occasione imperdibile per chiedere un’opinione sulla trama e le atmosfere create. Lei ne fu lusingata; trattò l'inedito con delicatezza senza però nessuna remora nello stroncare le mie ingenuità e forse anche pregiudizi in materia. Le due serate passate con lei, con una birra sotto le stelle, a parlare, prima del mio libro e poi delle nostre vite mi sono ancora preziose.
“Insegno in una scuola ebraica di Anversa. È frequentata da figli di famiglie fondamentaliste. Meno male che ho a che fare solo con numeri e formule…  Sai, da noi la musica non religiosa è del tutto proibita, niente Beatles, Madonna né U2. I programmi di storia non sono allineati con quelli ufficiali olandesi. Niente Shakespeare o Jane Austin e altra letteratura moderna”.
Davanti alla mia mandibola incredula e penzolante ha aggiunto “I matrimoni sono ancora combinati e le ragazze dell'ultimo anno non parlano d'altro.”
“Ma, possono comportarsi così?” la interrompevo io.
“Sono venuti gli ispettori del ministero e hanno abbastanza realizzato la situazione, senza però approfondire né intervenire."
"Li hanno pagati per farli tacere?" chiedo io con ottusa mentalità italiota.
"No, la comunità ortodossa ha detto chiaramente che se vogliono che il mercato dei diamanti resti a Anversa e non migri, ad esempio, a New York, su cose come questa devono chiudere due occhi e una bocca.”
“Come fai a stare in un posto così?” le chiesi, sottintendendo anche, ma non solo, al suo orientamento sessuale.
Rise, amaro. “Devo pagare il mutuo…” Poi aggiunse: “Comunque lo sanno che sono lesbica, da pochi mesi, credo tramite una ragazza che si è diplomata alcuni anni fa e che mi ha visto in un locale”. Finì la birra, “Non ne hanno mai parlato direttamente ma mi hanno messo all’angolo: i genitori non vengono più al ricevimento parenti, alcuni ragazzi cambiano marciapiede se mi vedono per strada. Anche i colleghi sono diventati gelidi; molti sono indifferenti alla mia omosessualità ma, diciamo pure, parlare con me non è consigliabile.”
“Una situazione difficile…”
Sorrise, “Mi spiace solo per i miei ragazzi. Per come saranno, per come alcuni soffrianno. Per le gioie della vita che sono destinati a perdere. Io ora voglio solo arrivare alla fine dell’anno scolastico per non dargliela vinta: di scuole ad Anversa ce ne sono tante... poi ho insegnare lì mi impediva di prendere una decisione serena in merito alla proposta di matrimonio che mi ha fatto Marja.”

NdA: il racconto è vero e si riferisce alla situazione specifica di una scuola e una comunità locale non a un popolo o a un paese. In Israele iI diritto garantisce ai gay la maggior parte dei diritti matrimoniali riconosciuti alle coppie eterosessuali, inclusa l’adozione. Anche se la piena ufficialità del matrimonio omosessuale non è ancora stata sanzionata, vengono riconosciuti i matrimoni omosessuali contratti all'estero.
Israele ha anche una delle più alte percentuali di popolazione favorevole all'equiparazione completa delle coppie gay a quelle etero, col 61% che sostiene l'introduzione del matrimonio civile per le coppie dello stesso sesso (dati 2011).

mercoledì 27 febbraio 2013

La Prima Pagella: Complementi di educazione per genitori (caso 8)

È questo il periodo dell'anno in cui le pagelle del primo quadrimestre diventano parte del patrimonio familiare.
È un momento di verità, in cui il mondo dovrebbe prendere atto del fatto che il nostro pargolo possieda l’X Factor. Peraltro, conclusione a cui noi siamo tautologicamente arrivati già il giorno dell'ecografia morfologica. Ergo, sappia far di conto, di parola, di sport, danza, disegno, progettazione infrastrutturale, conduzione radiotelevisiva. E non venga scambiato per un banale esserino scontroso, distratto, incendiario, visionario.


Per quanto a noi paiano parte integrante dell’avvicinamento all’età adulta, i voti e le pagelle non sono un obbligo universale: in Svezia fino a 13 anni non ci sono voti e fino a 16 non si ripete mai l’anno scolastico; in Germania stanno discutendo l’abolizione della bocciatura, e così via.
Le loro ragioni vanno dall’evitare i traumi che i ragazzi subiscono nel confronto con gli altri alla riduzione dei costi che il sistema deve affrontare nel bocciare qualcuno.
Qui da noi sono un momento di verifica dei bambini e – indirettamente – dei genitori.
Già perché poche cose ricadono dai figli ai padri come le insufficienze in geometria o condotta. Il cordone ombelicale, come un lazo, è sempre lì, e si stringe intorno al collo quando il mondo si permette di considerare i tuoi pargoli come esserini capaci di volere e danneggiare.
E i genitori, tirati in causa nella valutazione della carne della loro carne, per svicolare lo fanno diventare un momento di valutazione dei docenti, della didattica, della scuola, del ministero, del governo e dell’intero sistema planetario. Qui la difesa dell'onore della tribù non esclude colpi bassi, forature di gomme e lettere ai Provveditorati.
Questa è la tensione naturale tra giudicati e giudicanti che vibra intorno alla pagella.

In prima elementare la pagella ha una articolazione tale che il bambino non riuscirebbe a distinguerla da una fattura del vostro gestore telefonico. Una decina di materie dai titoli buoni per l'INVALSI ma criptiche per la maggior parte dei genitori si qualificano con voti che si inseguono lapidari per le righe. 
Le regole non scritte del buon cuore dicono che: il ‘10’ non si da mai perché è meglio non sbilanciarsi per poi doversi rimangiare l'affermazione; sotto il ‘7’ non si va mai perché le creature vanno abituate al bastone con l'omeopatia; di ‘8’ si allaga il foglio che tanto piacciono a tutti; i rari ‘9’ danno zucchero all’orgoglio dei nonni e predispongono alla gita a Disneyland; i ‘7’ fanno invece riflettere, una ventina di secondi. 
Una pagina intera a parte è dedicata al voto di religione (il mio ha preso un enigmatico ‘Distinto’ che è come dire di una ragazza che è ‘Carina’). 
Poi c’è il giudizio esteso, la vera sostanza di tutta la manfrina. Come scanner, gli sguardi dei genitori scorrono e pesano quelle sintesi che, pur in Era Twitter, sono spesso più brevi dei 140 caratteri che ti aspetteresti per minimo contrattuale. Si tratta di un ottovolante linguistico che abbonda di ‘attento ma lento, ‘vivace ma creativo, ‘adeguato e distratto’. Il più delle volte ti danno idea che tuo figlio abbia personalità multiple e sindromi bipolari.
Al termine della lettura sei dunque indeciso sul mandarlo in analisi o iscriverlo a kung fu per difendersi dai giudizi affettati.
Poi la maestra ti guarda, ha capito il tuo disagio. Sorride, e sottolinea subito “Va tutto bene, stia tranquillo”. La messa è finita: vada in pace, continuiamo così, non facciamoci del male.

Chi volesse confrontarsi con altri temi: