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venerdì 6 aprile 2018

Cosa sono e come cambieranno il turismo le Esperienze di AirBnB

Da parecchi anni mi occupo di sharing economy e social innovation. Per capirle e per cogliere le conseguenze di questi cambi di paradigma in termini di competenze per i lavoratori e gli impatti sull’economia. Oltre al leggere libri e frequentare convegni cerco di provarle. Ho condiviso auto, bici, moto, case; fondo e lavoro in spazi di coworking; faccio social cooking, uso ogni piattaforma almeno una volta.

Il mondo della condivisione ha molti vantaggi e molti limiti. Sono pratiche sostenibili per l’ambiente, rispondenti a bisogni di esperienza più che di possesso, divertenti, capaci di creare relazioni. Vedo però anche bene come spesso favoriscano un’economia in nero, lavoretti precari, concorrenza selvaggia e sregolata.
Si tratta di trasformazioni epocali, sotto i nostri occhi e vanno gestite al meglio per il valore che possono creare per singoli e comunità. E' impossibile reprimerle.

Occorre che la politica ne colga le opportunità per sanare per tempo le possibili distorsioni. In quest'ottica gli scontri tassisti-Uber o albergatori-AirBnB/Booking  si  potevano risolvere prima del nascere.

Oggi come una suocera stonata, sono di nuovo a scriverne sperando di non dover mai pronunciare “Io l’avevo detto…” quando il fenomeno sarà di nuovo sfuggito di mano.

Quattordici anni fa passai una giornata di luglio splendida  in mezzo al nulla della brughiera irlandese a far biglietti di Natale in carta, metallo, legno e altro, a casa di una signora molto creativa che non rinunciò a rifilarci il the delle cinque. Pagai il mio e uscii dalla mia (allora inconsapevole) prima esperienza di turismo esperienziale.
Poco più di un anno fa AirBnB ha lanciato le sue ‘Experiences’ sulla piattaforma già più usata al mondo per affittare camere o appartamenti. Sono subito un successo pazzesco con una crescita spaventosa. Hanno iniziato con poche città: Milano, Roma, Firenze, Venezia… da oggi è possibile offrire questi servizi  in tutta Italia.

Per capire, ho lanciato la mia Experience tre settimane fa e ho già ricevuto una decina di prenotazioni. La prima cliente è stata con una giornalista tedesca che su di me ha fatto un’intera puntata per un programma radiofonico nazionale. Mi sono divertito, ho imparato tanto, lei era soddisfattissima, io lo rifarò. Insomma… l’effetto è quello di una bomba e sposta di molto quello che può significar viaggiare.

Oltre che da seri giocherelloni come me, le Experiences sono offerte da un variegato movimento di appassionati, esperti della materia, disoccupati che si reinventano, piccoli imprenditori, storyteller con sacro fuoco del racconto, hobbisti che magari per 50 euro ti offrono una giornata con gli aquiloni al parco, l’osservazione delle starne sul Tevere,  un giro con bici vintage, fare gli gnocchi con la nonna, fare il pane con i migranti, contare i passi del dinosauro sulla montagna, la nottata col fantasma nel castello, la cena bendati, un minicorso di fotografia al parco, la pesca del merluzzo albino.
Tutte cose bellissime, nuove e rilassanti, che in una giornata a Roma o a Busto Arsizio possono tranquillamente sostituire un giro al museo, la coda per tirare la moneta a Fontana di Trevi, e talvolta pure una visita al Palatino intruppati in un gruppo.
Alcune esperienze esistevano già sul mercato e oggi hanno una piattaforma mondiale per moltiplicare il proprio bacino d’utenza; la stragrande maggioranza dell’offerta nasce proprio perché esiste la piattaforma. 
Ho capito che:
  • Le Esperienze scalate nella dimensione globale ribaltano il turismo per come lo conosciamo, aumentano spesso la qualità del legame col luogo, liberano cretaività, spingono allo slow turism e a permanenze più lunghe.
  • Metteranno in grande difficoltà il sistema professionale delle Guide Turistiche, Guide Escursionistiche e Guide Alpine, tutte categorie a cui si accede con determinati requisiti e che verranno scosse alle fondamenta.
  • Sono reali opportunità di socializzazione e rientro nel  mercato per chi non ha lavoro, ha competenze, sa qualche lingua, ama il suo territorio.
  • Sono anche una opportunità per gli hotel, i tour operator che sapranno cogliere il senso di un’offerta così diversa e integrativa,
  • L’offerta ‘tradizionale’ più intelligente le sta già inserendo con nuovi format  in cui si ripensa come luogo di scoperta, in un confronto dove le visite valgono il senso che esse assumono per i visitatori.

Se però non vengono pensati come parte di un più complessivo sistema turistico legato al terriotrio le Esperienze rischiano solo di alimentare un precariato già molto diffuso.
In fondo si tratta di nuove forme di autoimpresa e in tal senso occorre che si creino le condizioni perché questo insieme di attività venga esercitata al meglio, con chiarezza fiscale, certezze per clienti e operatori, senza finire però per strozzare di regole la creatività innata dell’offerta.

Visto che state facendo il Governo, mettete un po' di attenzione anche all'Esperienza (vostra e nostra ;-)

domenica 8 marzo 2015

Quali negozi aprono, quali chiudono e quali ammiccano a un futuro sconosciuto.

Adoro le dinamiche di apparizione e chiusura dei negozi nel quartiere. Seguono leggi di mercato, sogni di improvvisati negozianti, la disperazione di altri. 
Come in uno zoo metropolitano, le vetrine diventano aperture sulle vite e metafora di cosa succede nella società.
Guardo, annoto, mi stupisco. Voglio socializzarlo perchè dalle vostre parti succedono di certo cose simili (o completamente diverse), in ogni caso fatemi sapere.

Questa è una panoramica delle apparizioni negli ultimi 6 mesi, dalle mie parti, in un quartiere come tanti di Roma:
  • Sale scommesse: 6 aperture nel raggio di un chilometro. Ambienti di impostazione ambulatoriale frequentati da musi lunghi, facce tese, frasi smozzicate, voci basse, da una popolazione di ansiosi che si aggira per queste sale dispensatrici di illusioni. Sono tutte arredate in modo essenziale, vere sale d’attesa che qualcosa accada mentre la vita si prosciuga.
  • Mescita di vino: 3 aperture nel raggio di un chilometro. Direttamente da cilindri d’acciaio in bottiglie di plastica riciclate, ogni tipo di vitigno si concede ai bicchieri del quartiere. Se ti metti in ascolto, senti franare sulle ginocchia le poche enoteche di zona che provavano a fare cultura alcolica e oggi si trovano a combattere contro la Falanghina a 1,90, l’Aglianico a 2,20 il Prosecco a 3 Euro il litro. Prosit e Amen.
  • Forniture all’ingrosso per estetisti e parrucchieri: 2 aperture. La sensazione è che gran parte della parruccheria avvenga ormai nelle case, con tecniche fai-da-te, in saloni occulti evadi-le-tasse. Belli e possibili.
  • Fruttivendolo Alimentari Bangladesh: 2 aperture. Gentili e ordinati, gli unici a ricordare il nome dei miei figli, con un bell’italiano cantilenante. Hanno skype acceso in un pc sul retro del negozio, puntato su qualche villaggio a seimila chilometri posto a pochi centimetri sopra il livello degli acquitrini. Frutta e ventura.
  • Bar tavola calda Siciliana: 2 aperture. Quello della ristorazione regionale sta diventando un fenomeno interessante e di grande piacere per la gola. La Sicilia in questo stravince, anche per la ricchezza oggettiva della propria offerta;    
  • Auto lavaggio a mano: 2 aperture. Basta un ex negozio in disuso e un rubinetto per lanciarsi in questa attività che per 10 euro ti lustra l’auto. La sensazione è che siano basi per lo spaccio di qualcosa…
  • Gelaterie: 2 aperture. Entrambe ‘diverse’ dal solito. Una strabio, con gusti di tendenza come la ‘mela annurca con miele di gelsomino e cannella delle Egadi”, fighetta e nel complesso ingannevole. L’altra del tutto senza personale, con macchine che erogano in automatico gusti plastificati, topping colorati e cancerogeni. A entrambe diamo al massimo un anno di vita.
  • Pellicceria: 1 apertura. Fantascienza pura. Direttamente dagli anni ’80 ha aperto una pellicceria. Non so se sia uno scherzo, una copertura della Digos, la tana di un nostalgico dello zibellino annoiato. Operazione talmente bizzarra che credo sia già nei tabelloni di scommesse delle Sale di cui sopra.  
  • Alimentari Italiano: 1 apertura. È uno spazietto che ricorda un negozio cuneese anni ’70 con l’omone in grembiule bianco, la pasta sugli scaffali e gli affettati sono il grande vetro del bancone. Se taci, senti già le asfaltatrici dei supermercati attorno caricare i serbatoi per annientarlo in allegria.
  • Scuola di cucina, piano strada: modaiola e colorata, con l’aula cucina che si vede dalla strada. È per lo più vuota, ed è presto per dire se possa funzionare. Ci sono corsi base di questo e di quello, anche per bambini con le mani in pasta. La sensazione è che le persone guardino in tv i Masterchef perchè il tempo del pornosoft è finito e, così come Gloria Guida era un'icona irraggiungibile, anche le ricette acrobatiche di questi cinghialoni vestiti da chef rimangono un esercizio teorico. Scuola di cucina, piano strada, anche per te la vita sarà dura.


domenica 25 novembre 2012

Perché tanta attenzione attorno al cibo e alla cucina?


Roberto, una delle persone che più hanno influenzato la mia predisposizione al cibo fatto e mangiato, mi ha chiesto “Ma, secondo te, perché oggi c’è questa attenzione spasmodica alla cucina e al cibo?”. Roberto ama la dialettica, le domande retoriche e anche quelle a trabocchetto ma stavolta era onestamente interessato.
“Lo chiedi tu, a me?” avrei voluto rispondere, “tu che mi hai fatto capire 30 anni fa che per un uomo il cucinare non è affatto disdicevole ma addirittura opportuno?”
“Non rispondermi subito”, ha aggiunto, “poi ne parliamo”. E di questa utile non-fretta lo ringrazio. La domanda è rimasta lì, appesa nel fresco di quest’autunno soleggiato, e ora le parole cominciano a scendere, vogliose di essere fissate su carta.
Nella Società dell’Incertezza (cfr. Z. Baumann) sono ormai poche le dimensioni dell’essere che possiamo illuderci di poter controllare completamente. Non lo sono il nostro lavoro, né le aspettative per il futuro, non lo è il progetto di vita dei nostri figli, né quello che respiriamo. È perfino diventato difficile essere conformisti perché il modello del ‘gregge di pecore’ è stato sostituito con quello dello ‘sciame di storni’  in cui non è chiaro chi guida e in un attimo puoi ritrovarti ai margini del gruppo.
Il cibo dunque rimane una delle poche aree in ci si ha la sensazione di poter esercitare il libero arbitrio, e che è dunque espressione di quello che siamo, dei valori che propugnamo, del mondo che desideriamo. Detto così sembra quasi un tema politico, e infatti per molti lo è. Mangiare bio, a km 0, vegano, acquistare al GAS o al Farmer’s Market diventano anche scelte di fede.
Di conseguenza, questa attenzione collettiva a uno dei pochi temi in cui possono sussistere reali innovazioni di prodotto, processo, relazioni, l tema lo rende appetibile J per il mercato, i guru, le mode, i media, generando un’offerta di esperienze senza precedenti.
Elementi-chiave per la comprensione del fenomeno, a mio avviso sono:
  • La paura: il mondo è inquinato nel merito e nella morale e il cibo è un prodotto di quel mondo. Mangia pulito, sicuro e giusto!
  • L’amore: per il territorio, per gli animaletti che prima di finire in padella devono aver avuto una esistenza felice e razzolante, per i nostri pupi che tra un ovetto con sorpresa e un compleanno al fast food devono mangiare più biologico dello sciamano amazzonico
  • La passione: facili sono i paralleli tra cibo e socialità/sensualità. Il cibo è talvolta un sostituto, un rivale, ma anche un fantastico companatico dell’affetto. Precede, include e completa la seduzione, è un preliminare che può dare maggiore soddisfazione e qualità del sesso stesso.
Quello che mi colpisce è che, come per il sesso, il mercato ha scientemente depurato il cibo da ogni romanticismo per mercificarlo, specializzarlo, personalizzarlo, frustrarlo.
Cosa c'è nei reality sul cibo e la cucina se non altari su cui viene santificata l’ansia da prestazione davanti a giudici la cui durezza e insensibilità recitate non hanno da invidiare al rapporto popolar-sado-masochista del celebrato ‘Cinquanta sfumature…’? 
Ecco poi le cucine a vista dei ristoranti di grido, il Teatro della Cucina del Gambero Rosso, gli show dal vivo di Eataly, vere e proprie evoluzioni degne di porno-show d'alto lignaggio.
Molta enfasi e attenzione attorno al cibo è equivalente nell’immaginario del pubblico a vera pornografia, accessibile questa però anche coi bambini che giocano in soggiorno; e i superchef sono al pari di star superdotate.
Come accade nella pornografia, nessuno degli spettatori si ritiene però poi all’altezza di quello che vede e il piacere finisce e si completa nell’immedesimazione e nel sogno.
Infatti la conseguenza è a vincere è il mercato delle prestazioni a pagamento e pochi, pochissimi, cucinano davvero, per il piacere di farlo, per sentire nelle mani il profumo del timo o dell’aglio, per misurare l’attenzione delle papille altrui alle stranezze, così come alle certezze. Perché il timore del confronto e della novità blocca l’ego troppo conformista, come quello troppo spaventato per utilizzare il proprio libero arbitrio.. 

domenica 29 luglio 2012

Neri ma non abbronzati, squisiti ma non italiani, richiesti ma non voluti.


Per motivi che non vale la pena approfondire talvolta capita che cose e mondi che non si appartengono mandino segnali convergenti su temi che di norma non ci tangono e che poi, di colpo, diventano urgenti da sviscerare.
Nella stessa settimana ho comprato un libro francese di ricette moderne, c’è stata l’apertura delle Olimpiadi Londra 2012 e mi sono messo a scrivere un progetto nuovo. Che c’azzeccano? Per me c’azzeccano e mi va di scriverne.

1)      Nel libro “Recettes minute a la cocotte” di cucina francese acquistato a Colmar, con grafica e descrizioni da inturgidire le papille più riottose, sono raccontate 100 ricette che mettono naturalmente sullo stesso piano il Coq au vin, pilastro della gastronomia francese con la tajine d’agnello, il curry al pollo con spinaci, la feijoada, e non lo fanno nel caos ma con grande rigore e passione e nell’ottica di una cucina sana e di qualità. La stranezza è semplicemente che non esiste nulla di simile in italiano e se ci fosse sarebbe roba da sottocategoria “cucina etnica”. In cucina rimaniamo altezzosi e provinciali e non ci mischiamo con chi ha anche molto da insegnarci. Sì, abbiamo la tradizione più valente dell’universo e dintorni ma siamo fermi al palo alle ricette ottocentesche. Contaminazioni e sperimentazioni sono residuali e non potrebbe essere altrimenti vista la poca dimestichezza che abbiamo con usi, costumi, arte, letteratura, tradizioni, pensieri, religioni che non siano la nostra.
2)      L’inaugurazione delle Olimpiadi ha mostrato una Gran Bretagna orgogliosa, giovane, spiritosa, curiosa (si può associare anche solo un aggettivo di questi all’Italia?). Il paragone con lo l’immobile tradizione millenaria di Pechino 2008 era immediato. Nella diretta televisiva 1500 percussionisti e migliaia di volti a Londra appartenevano ai 5 continenti e erano comunque tutti very british. Nella splendida sequenza dei baci importanti non hanno temuto di metterne uno tra donne. Hanno preso in giro la Regina e i suoi cani. Hanno ricordato i minatori. Hanno fatto ballare tutti i colori della pelle. Hanno selezionato un mucchio di persone ‘diversamente belle’ e senza imbarazzo intendo proprio grassi, bassi, goffi, persone disabili, anziani, il coro dei sordomuti, i volti segnati, gli sdentati. Hanno fatto un casting antitelevisivo che da noi non sarebbe ammissibile nemmeno per un talk show di Santoro. E lo hanno fatto con la leggerezza possibile solo in chi è consapevole delle proprie forze e non ritiene che il colore della pelle e il conto aperto dal chirurgo estetico abbiano valore.
3)      Sto scrivendo un progetto che dovrebbe aiutare i decisori a impostare politiche sensate per affrontare le questioni dei flussi d’immigrazione extra-comunitaria in Italia con servizi e azioni adeguate. In particolare affronta il tema della formazione, dello sviluppo di competenze utili a lavorare da noi o nei loro paesi d’origine, il sostegno al rientro lavorativo, allo sviluppo d’impresa con la collaborazione delle imprese e dei governi. Leggo cifre e analizzo strumenti e politiche per ore. Trovo l’evidenza che senza l’immigrazione l’Europa si accartoccerebbe su se stessa, poi mi scontro con un sistema bicefalo che da una parte vorrebbe dare dignità e valore al lavoro e alle persone e dall’altra si rifiuta anche solo di affrontare il tema della cittadinanza, del diritto ai luoghi di culto, del rispetto degli usi e dei costumi.       
Ora frullo bene tutto questo e, fuor di pessimismo, mi viene naturale chiedermi come sia possibile parlare di rilancio, competitività, futuro senza un progetto di cittadinanza che coinvolga ciascuno di noi e consideri tutti sempre risorse e la diversità un valore, anche economico.