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lunedì 3 settembre 2018

Tu avresti chiuso il ponte? Non ci credo.


Siamo nel 2014, in una relazione si dice che il Ponte Morandi è in condizioni critiche, che vi sono segnali di debolezza, che forse è a rischio. Alti dirigenti pubblici e privati non affermano le stesse cose, perlomeno non con la stessa urgenza. Alcuni tecnici sono d’accordo con loro, per altri bastano i lavori che si stanno facendo. Qualcuno vuole costruire una strada alternativa per sgravare il traffico sul ponte, utile magari il giorno che il ponte andrà rifatto, tra qualche decina di anni; alcuni comitati di cittadini si oppongono con forza.
Oggi eccoli in migliaia a berciare che qualcuno avrebbe dovuto chiuderlo per 2-3 anni di lavori, bloccando e stravolgendo la logistica in città. Chi lo avrebbe chiuso? Con quali coraggio e diritto? Lo avessero davvero fatto, voi che oggi fate i censori e i mugugnoni avreste detto che la chiusura era esagerata, che bloccava l’economia, che i ponti non crollano, che serve solo a far lavorare le aziende amiche della politica e a bruciare denaro pubblico, etc.

Intervenire... si dovrebbe.

A Napoli decine di migliaia di cittadini abitano follemente in zona a rischio eruzione del Vesuvio. Da decenni la politica oscilla tra fasulli piani di evacuazione, ipotesi di spostamento, scientifiche preghiere a San Gennaro e ampie di distribuzioni di tarallucci e vino. A Messina centinaia di persone sono in abitazioni provvisorie e malsane nate dopo il terremoto di inizio ‘900; molte trasformate abusivamente e oggetto di compravendita, eredità; il nuovo sindaco ha minacciato le dimissioni perché a nessuno in consiglio comunale interessa sistemare la cosa. A Taranto l’Ilva produce più tumori che utili, va superata ma nessuno ha la forza e le idee per imporre un modello alternativo, anche solo di dire la verità. A Roma, decine di ordinanze hanno sancito l’obbligo di abbattimento di decine di ville abusive sull’Appia Antica, non è però una priorità per l’amministrazione che si caga sotto solo all’idea di scontentare qualcuno. La Calabria è una regione persa, e solo una extradose di realismo, unione e coraggio potrà farla tornare in questo mondo, sempre che a qualcuno interessi davvero. Da sempre un lavoratore in cassa integrazione o mobilità a cui venisse offerto un lavoro e rifiutasse, perderebbe il suo sussidio; è una clausola mai applicata: chi dovrebbe farlo, l’operatore precario dei centri per l’Impiego col rischio di trovare le gomme della sua auto bucate all’uscita dall’ufficio? Quando un sito di previsioni meteo scrive che a Rimini o Sanremo pioverà nel weekend, e poi non capita, i comuni e il Codacons minacciano denunce ai siti per aver sbagliato e aver dirottato altrove i turisti.

Affrontare la realtà comporta decisioni impopolari.
Le decisioni impopolari sono possibili solo ai politici di grande spessore, sostenuti da cittadini che non pensino solo al proprio culo e portafoglio e abbiano visione di lungo periodo. Perchè la scienza spesso nelle sue conclusioni è probabilistica e indifferente ai meccanismi della democrazia, alle statistiche di gradimento, agli umori della piazza, ai like.

Se vuoi credere che si possa tutt’assieme diminuire le tasse, dare reddito a tutti, far funzionare scuole, autostrade e ospedali pubblici, tollerare l’evasione fiscale e il lavoro nero, chiudere un occhio su criminalità e inefficienza della pubblica amministrazione, allora dobbiamo provare a ragionare assieme passo passo su quello che è reale, sui sogni e gli incubi, sulle somme, le sottrazioni, le divisioni. Se non riusciamo a spostare l'attenzione da noi, la nostra felicità, al massimo dai nosti figli, alla felicità dei figli degli altri non avremo chance di un futuro migliore ma solo solitudine e paura da proiettare contro i più deboli.

Tu avresti nel 2014 chiuso il ponte? Per favore, parliamo d’altro… 

martedì 14 agosto 2018

Il Ponte, aorta di una città.


Scopro adesso che si chiamava Ponte Morandi, per me è sempre stato il Ponte della Nonna Angela.
Sotto le enormi campate c’è tuttora un quartiere di case popolari in larga parte destinate ai ferrovieri emigrati dal sud, arrivati negli anni ’40. Come i miei nonni, appunto. In quei 70 metri quadri hanno vissuto per 50 anni e i loro 13 figli hanno costruito le basi della vita al nord.

Me lo ricordo fin da piccolo. Saprei disegnarlo a occhi chiusi. 
Si vedeva da lontanissimo e avvicinandosi a piedi avevi modo di capire quanto fosse fuori misura ed imponente. Per me era come la presenza preistorica di una civiltà aliena, altissimo sopra le case, espressione di uno stile architettonico particolare. Unico nel suo genere. Forse bellissimo. Di certo l’orgoglio del quartiere e della città.
Era la forma più particolare e maestosa che avessi mai visto: nella mia classifica di bambino si giocava il primato solo con le linee della Michelangelo e della Raffaello, transatlantici di bellezza assoluta, miti dello stesso periodo storico. Per me era il design, la simmetria, la forza della bellezza al servizio dell’uomo.
Crescere lì, a pochi metri, attraversarlo sopra e sotto migliaia di volte, per lavoro, per andare al mare, a trovare amici, in Francia, sulle Alpi, all’aeroporto, dagli zii, dalla mia amica Pina, ha significato per molti (per me) trasformarlo in una icona del quotidiano. Era un vero simbolo. Cento volte più presente, possente e significativo  dell'irraggiungibile Lanterna.

Era da sempre in manutenzione, ristrutturazione o quello che volete. Bastava avere un amico nel settore per sentirsi dire “E’ fatto in calcestruzzo precompresso, non resiste. Va continuamente sistemato. È più complicato tenerlo su di come sia stato costruirlo.” Siccome sono un positivista ho sempre pensato che tutto fosse sotto controllo. Mi sbagliavo.

E ora? Voi che non siete di Genova, non potete capire la domanda. È caduto un ponte, suvvia…

No, è stata tagliata l’aorta della città, la strada che rendeva possibile attraversarla, collegarla con i mercati, portare i turisti, muovere la vita. Il ponte è caduto sulla ferrovia che porta le merci da/per il porto che rischia di strozzarsi e di perdere in un attimo il ruolo che verrà in pochi giorni ridistribuito in Italia e all’estero. Se una città non si muove perde qualsiasi ruolo e opportunità.
Metteteci pure che Genova non è servita dall’Alta Velocità, ha un aeroporto che non è mai decollato, indicatori della qualità della vita molto peggiori del resto del nord, un continuo saldo negativo degli abitanti, è gestita senza idee da molti anni, la principale banca è a pezzi, ha un territorio devastato da anni di incuria, ecco che la sfida diventa epocale. Genova non può farcela da sola.

Ci sono tantissimi talenti, energie capaci di affrontare anche questa, di farsi forza. Ci sono imprenditori validi che guardano all’Italia e ai mercato mondiali. Molti di loro non hanno ragioni di rimanervi se non quelle affettive e di legame con territorio. Se questo disastro non ha anche l’effetto di un elettrochoc allora davvero la fuga di tutto quello che ancora si muove rischia di diventare inevitabile. Invece la città deve diventare attrattiva, per chi studia, chi lavora, chi viaggia, chi cerca un posto diverso da ogni altro. Attrarre per evolvere, per innovare, per non spegnersi.

Che il ponte vada ricostruito subito è indubbio. In questi 3-4 anni sarà imperativo ripensare il rapporto tra città-abitanti-territorio.  Che quest’elettrochoc attraversi l’Università, le categorie, i molti immigrati, i zeneizi doc, chi ha il materasso infarcito di euro e chi porta in dote solo le braccia, fino a chi fino oggi si stava chiedendo la ragione vera dell’essere proprio lì ora. Stop al mugugno.
Questa non è un’alluvione in cui con fatica tremenda si cerca di riportare le cose a come erano prima. Questo è un punto di non ritorno.

In un sera così dolente mi permetto di essere ancora positivo: Genova ce la può fare, Genova non deve crollare.