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venerdì 18 gennaio 2013

Al cinema con i bambini: Complementi di educazione per genitori adulti (caso 6).

Ero schierato in posizione centrale nel cinemone semiperiferico romano assieme al mio pupo gongolante. Nell’aria, fetore di pop corn d’ordinanza, risucchi di cocacola e scartare di caramelle;  io speravo solo che le successive due ore passassero  presto. Di lì a poco il nuovo film di Asterix avrebbe rinverdito i miti di Bud Spencer e Terence Hill con una spruzzata di Stanlio e Ollio. Ma non avevo messo in conto la pubblicità.
In platea, una congrega in libera uscita dalla scuola materna si è sorbita con passione quindici minuti di estratti dall’ultimo violentissimo Tarantino, tette e i culi con bestemmioni parasimpatici dal prossimo dimenticabile film di Fabio Volo, e un paio di altri inutili usi della cinepresa. Era evidente come già a 5 anni non percepissero significative differenze tra il film e la pubblicità.
Poi sullo schermo è apparso lui: mezz’età, barbetta, occhio ficcante più dei cowboy. La platea, a una sola voce infantile ha urlato “Cracco!!”. Mio figlio mi ha guardato perplesso; io ci ho messo un po’ a riconoscere l’uomo con la padella in mano. Gli altri bambini erano elettrici, neanche si trattasse di Totti o di Ben Ten in persona. Il tipo con la barbetta pare sia un mito di Master Chef, lì a pubblicizzare una padella bianca di certo in grado di trasformare molte mie amiche in dee dei fornelli (specie se con la di lui presenza accanto, sopra o sotto). Ho già espresso qui la mia opinione in merito alla pornografia di molta passione gastronomica contemporanea, e il cracco sullo schermo non ha fatto che confermarlo.
Buio in sala.
I bambini al cinema non sono affatto peggio dei loro genitori: parlano, commentano, si alzano, chiedono l’ora, l’acqua, se il film che stanno vedendo è in 3D o no, se il giorno dopo possono saltare scuola. A loro però non squilla il cellulare, forse solo perché tutti quelli che potrebbero chiamarli sono dentro il cinema.

Asterix e Obelix è risultato abbastanza adatto alle aspettative dei bambini, e a quelle dei genitori che non corrono il rischio di dover spiegare alcunché, né di far seguire dibattito. Ha una trama sgangherata ma simpatica, il placement di prodotto è limitato, la violenza è poca, i riferimenti al sesso sono solo per chi è in grado di capirli.
Tra gli ultimi 10 film che ho visto coi pupi l’unico davvero pensato per loro parlava di Puffi; gli altri, Disney e Dreamworks, erano tutti confezionati strizzando occhi e portafogli ai genitori, e dunque pieni di riferimenti, battute e paradossi in grado di far sentire adolescenti i quarantenni e dare un’accelerata a infanti che devono al più presto diventare consumatori perfetti.

All’uscita mio figlio ha chiesto - serio - "In cosa il cinema è diverso dalla televisione". Già il fatto che me lo abbia chiesto risponde da solo a molte domande sulla crisi del cinema stesso. Ho provato a rispondergli ma con lui la retorica non attacca. A casa, il giorno dopo abbiamo visto assieme "ET".
Non ha mosso un dito per tutto il film e la sua bocca è stata una O perfetta per oltre un’ora. “Questo è il cinema” gli ho detto alla fine e finalmente ha capito.


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