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lunedì 28 novembre 2016

Referendum: La Filastrocca del Sì e del No.

Sì, domenica voterò.
No, non vi dico cosa.
Sì, mi vergogno della scelta.
No, non sarebbe diverso votassi altrimenti.
Sì, è un quesito pasticciato.
No, non dovremmo essere chiamati a votare su cose così.
Sì, sarebbe stato un po’ meglio l’avessero spacchettato in più domande.
No, non ho capito l’impatto di un voto o dell’altro.
Sì, ho letto tanto, ho studiato, ho fatto domande.
No, non mi influenzano le conseguenze per il governo.
Sì, vedo impresentabili in ogni schieramento, e anche brave persone.
No, non ho seguito alcun dibattito televisivo.
Sì, ho trovato utile leggere le opinioni dei costituzionalisti.
No, non mi filo cuochi, sportivi, cantanti e amici su Facebook.
Sì, penso ogni giorno al futuro dei miei figli, al mio, al nostro.
No, non lego il futuro a questo referendum, e nemmeno a questo Paese.
Sì, mi sento truffato.
No, il voto non si spreca mai.
Sì, ho paura.
No, non abbastanza da spegnere il cervello.

giovedì 22 maggio 2014

Votate, perché solo in Europa l'Italia si può coniugare al futuro.

Non avrei mai pensato di sedermi un giorno per scrivere un appello al voto europeo.
Per certi aspetti l’avrei giudicato inutile perché ovvio (siamo Europei? Mica devo ricordarlo io!), dall’altra è talmente evidente che senza l’Europa saremmo spacciati che l’affluenza dovrebbe essere fin maggiore di quella legata alle nostre elezioni politiche nazionali. Scrivo però perché in queste settimane ho colto un livello del dibattito infimo e disinformato, lunghe diatribe che nulla hanno a che fare con la UE, capipopolo ignoranti e supponenti.

Io sono cittadino europeo e solo grazie a questo posso avere un’opinione sul mio paese, posso capire cosa vi succede, posso fare confronti amarlo odiarlo, impegnarmi nel cambiamento. 

In Europa viaggio e passo confini ormai invisibili, mi alimento di conoscenza, sapori, informazioni e idee che germogliano in stati e lingue diverse dalla mia. Sorrido della Generazione Erasmus che ha scoperto se stessa grazie all’Europa unita. Provo orgoglio per l’amore incondizionato che gli altri Stati hanno per l’Italia e mi si ghiaccia il sangue a ascoltare le loro analisi su di noi, lucide e informate più della media di noi italiani. Vedo spesso opportunità (per me e per tutti) che l'Italia non dà e, sentendomi cittadino europeo, non vedo l'approfittarne come emigrare ma solo come coglierle. Mi godo inoltre la pace che l’Europa ci garantisce e comprendo quanto sia costata.

Come cittadino europeo ho passato venti anni a cercare di non vergognarmi quando tutta l’Europa vedeva bene come il nostro Re fosse nudo, non solo davanti alle minorenni ma davanti alla Storia, al buon senso, al progresso.
Negli stessi 20 anni ho mille volte ringraziato chi ha lottato perché fossimo nell’Unione e nell’Euro perché è solo grazie alla nostra appartenenza europea che abbiamo avuto un minimo di leggi, regole, politiche. 
Non sono state tutte perfette per noi? Può darsi, ma la colpa è nostra: siamo da tempo l’ultimo vagone del treno (per scelta e decisione nostra) ma meno male che al treno eravamo attaccati.

Votare è di fondamentale importanza perché è puerile dire che tutto fa schifo e tutti rubano. Anche io sono contro l’Europa delle banche ma solo votando si può fare qualcosa per costruire diritti (e doveri) comuni, servizi sociali diffusi e democratici, opportunità e innovazione, un superamento dei criteri di austerità che in mancanza di altre idee ci bloccano qui, al palo.       

Vedo con terrore l’ipotesi che ci sganciamo dal convoglio proprio ora che il sistema di potere che ha cariato il Paese forse è alle corde (per motivi anagrafici e giudiziari).

È il momento di  guadagnare posizioni sul treno, di avvicinarsi fino a unirsi ai piloti e ai navigatori. 

Per farlo occorre competenza, positività, toni pacati e idee chiare. 
Prima di tutto occorre votare.

martedì 16 luglio 2013

Ho incontrato una Snowden all'amatriciana.

Aveva delle tette così esplosive che avrebbero da sole meritato un posto al Louvre degno delle 'O' di Giotto ma presto le dimenticai, travolto dall’interesse per il suo lavoro, per me, ai limiti dell’incredibile e della legalità.
La chiamerò Laura. L’ho conosciuta in un pub qualche anno fa. Quella calda sera d’estate la mia attenzione oscillò per un po’ tra le sue tette e quello che diceva, e ero incredulo per entrambe. Per inquadrare simpaticamente il suo lavoro usò dapprima parole vuote ma suggestive tipo “Mi occupo di business intelligence”, “Cose da web semantico”, “Analizzo big data” poi incalzata, e forse lusingata, dalla mia conoscenza del ramo – e da qualche birra di troppo - svelò via via maggiori dettagli.
“Ad esempio”, mi disse. “Lavoriamo molto in periodo elettorale, nelle zone in cui il risultato è incerto, dove magari 1000 o 100 voti fanno la differenza per un seggio.” Si prese una seconda birra bianca, “Noi sappiamo tutto  di ogni elettore.”
“Di chi?” dissi, ingenuo.
“Anche di te”, rise. “Sappiamo che auto hai, se l’hai pagata e come, che ristoranti frequenti, gli hotel. Ogni cosa sulla tua casa, le tue multe, i tuoi debiti. Seguiamo e incrociamo le informazioni dei tuoi conti, del tuo gps, della carta di credito, il bancomat, gli acquisti on line, le donazioni a Emergency, musica scaricata, ebook letti.”
“Ma è legale?” balbettai.
Laura oscillò tutta sullo sgabellino del bancone prima di parlare. “Le singole basi di dati sono acquisite in modo abbastanza legale. Sono in vendita e noi li usiamo. Niente lo vieta, a oggi. La qualità dei risultati dipende solo dalla capacità dell’analista nell’incrociare i numeri. La potenza di calcolo non è più un problema.” Lo sguardo di Laura scintillava: quello era il suo campo.
“Sono un matematico” le dissi per farle capire che potevo apprezzare le sue confidenze per il valore che avevano. Lei sorrise.
“E cosa potete fare con questi dati?”
“Tutto”, era molto sicura di sé. “Prevedere comportamenti di acquisto o di voto, che poi sono la stessa cosa, e simulare gli effetti di azioni di condizionamento. Possiamo sapere se sei interessato a un corso di inglese, un massaggio, un viaggio a Bali con sessioni di yoga.”
“Quindi più uno e poveraccio e più voi siete disinteressati a lui?” provai a sdrammatizzare.
“Non noi. I nostri clienti. Comunque anche i poveracci votano…” e la sua anima sociale, si vedeva, non era legata alla difesa delle garanzie democratiche ma alla forza del mercato. “E poi”, aggiunse Laura illuminando gli occhi color miele, “i poveracci sono quelli che interessano di più alle polizie. Sono quelli che fanno casino e disturbano i mercati. Sono utilissimi anche loro.”

È come del porco: dei dati personali non si butta via niente.