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mercoledì 21 maggio 2014

Zero Reputation: del perché i tassisti non ci sono simpatici.

Ho già scritto dello scontro che vede protagonisti i tassisti e il servizio Uber per il noleggio di auto con conducente. Tutti i giornali ne parlano, pochi a proposito. La diatriba viene semplicisticamente presentata come ‘vecchio’ contro ‘nuovo’ che in un’epoca di rottamazioni allegre fa istintivamente propendere il tifo verso chi brandisce un’App e non un cric. Il tema è mal posto e, al di là delle lecite resistenze di chi vuol mantenere posizioni pagate a caro prezzo, rientra in un più generale bisogno di regole e servizi adatti al XXI° secolo.

Qui però vorrei fermarmi a riflettere di come i tassisti in questa fase paghino la scarsa simpatia del pubblico verso la categoria.
In termini contemporanei potrei quasi dire che la loro reputation  è un disastro, il ranking dei loro servizi è sofferente, la customer satisfation sofferente, il brand della categoria svalutato. E, a mio avviso, queste debolezze potranno essere per loro ragioni di parecchie sofferenze.
A parte che a se stessi e ai loro familiari, la categoria è piuttosto invisa. Ma cos’hanno fatto che li ponga su di un piano diverso da quello dei falegnami, degli insegnanti, dei giornalai o degli architetti?

Nulla di personale ma è diffusa la percezione che tra i servizi taxi imperi la scarsa qualità del servizio. E se il servizio che eroghi è percepito come insoddisfacente è difficile avere solidarietà professionale.
Certo le auto vanno da qui a lì, ma non basta.
L’uso del taxi in questo paese si confronta spesso con sistemi di tariffazione spesso discutibili e iniqui, distrazioni dubbie, carenze in materia di bancomat wifi aria condizionata, radio costantemente sintonizzate su acefali canali da ultras, uso del cellulare alla guida, …
Diciamo che la user experience è sconfortante e il cliente è spesso una variabile indipendente.
La mia personale opinione è che questa sciatteria diffusa sia generata a sua volta dalla autopercezione di essere fondamentali e intoccabili. Forse il sapersi un pubblico servizio fa alla lunga pensare di essere quasi dei dipendenti pubblici. Intoccabili forse potranno continuare a esserlo ma fondamentali non credo.

La loro intoccabilità l’hanno costruita, come tutte le corporazioni, strutturando legami stretti e spesso opachi con la politica. L’esenzione alla ricevuta fiscale concessa da Berlusconi e la contiguità interessata con frange estreme li ha resi indiscutibilmente antipatici. Il blocco alle nuovi concessioni comunali legato alla candida motivazione che c’è un mercato nero da tutelare fa ribrezzo. Il voto di scambio a cui si presta in larga parte la categoria mi allontana da ogni empatia (“a dotto’, visto che la porto in Regione, ce lo dice lei alla Polverini che se non ci da i soldi che ci ha promesso in campagna elettorale per le auto nuove, la prossima volta i nostri voti li diamo a quarcun’altro. Ventimila preferenze almeno”).

Poi, come capita in tutte le corporazioni chiuse, le mele marce non vengono additate e messe all’angolo dagli altri (o dai giudizi degli utenti, se vogliamo essere un po' 2.0) ma tollerate voltandosi dall’altra parte.

Ora sono sotto attacco.
App americane, car sharing, biciclette anche, ne minano alle basi la necessità, a meno che non decidano di confrontarsi e rilanciare. Magari ricostruendo la loro immagine attraverso un atteggiamento diverso verso il mercato... vedremo.
Per manifestare le loro ragioni intanto picchetteranno le stazioni, bloccheranno forse strade, faranno casino, troveranno il politico compiacente a far salire i toni. Con molte ragioni dalla loro parte ma - e mi spiace - con ben pochi cittadini al loro fianco.

sabato 17 maggio 2014

Servono regole per questo millennio, non tassisti incazzati.

Oggi a Milano 300 tassisti inferociti hanno fatto irruzione al Wired Next Festival dove si parlava di futuro e di come tecnologia e Economia della Collaborazione stiano ridefinendo le regole del consumo e della produzione, di beni e servizi. I tassisti volevano impedire a Benedetta Arese Lucini, manager per l’Italia dell’app UBER di parlare in qualità di caso di successo della new economy.

Rabbrividisco perché otto giorni fa ho scritto su questo Blog un post sull'Economia della Collaborazione che mi ha stupito per accessi e condivisione, che cito:
Scontri più o meno espliciti sono all'orizzonte: Albergatori contro AirBnB, Ristoratori contro CookeningTassisti contro Uber, distribuzione alimentare contro Food Assembly, banche contro Social Lending e così via, ... qualcosa andrà distrutto, posti di lavoro andranno persi e altri creati, tante cose andranno regolamentate molti dovranno cambiare pelle per continuare a stare sul mercato. Le corporazioni e i monopoli sono tutte destinate a essere travolte dal mercato che cambia.

Non faccio vaticini, né leggo i fondi di caffè. Osservo e sommo, talvolta sottraggo il rumore di fondo di chi si ostina a sottovalutare la potenza dell’innovazione dal basso. E' il mio mestiere.

Ciò che per Wired è una best practice, per Mario Rossi tassista a Lampugnano è una minaccia epocale, una minaccia di estinzione.
Un mondo nuovo è alle porte, che preme per stravolgere regole e consuetudini, corporazioni e monopoli. Se dopo il risibile tentativo di fermare la musica liquida chiudendo Napster servivano altre conferme che i muri si aggirano, ecco che ce le troviamo in casa. Le agenzie di viaggi sono state decimate da Internet, le Poste hanno cambiato pelle, l’editoria si deve reinventare. I tassisti devono trovare un modo per far parte del mondo che verrà o cambiare mestiere. Uber deve rispettare le regole sostenendo le proprie ragioni nel cambiare.

Perché in questa partita:
  • Non ci sono buoni né cattivi, il mercato vive di vita propria.
  • C’è il passato e il futuro, quelli sì.
  • Ci sono i diritti dei consumatori ad avere servizi di qualità, sicuri e a prezzi equi.
  • C’è il diritto della collettività a esigere  il pagamento delle tasse da chi produce reddito.
  • C’è la fine della divisione tra privato e professione.
  • C’è il disvalore del possesso quando ci basta l’uso.
  • C’è la follia del consumo messa a confronto col riuso, il riciclo, il risparmio.
  • C’è una sfida epocale a cui è chiamata la Pubblica Amministrazione.
Stamattina lavorando a un’ipotesi di piano per lo sviluppo di un ecosistema collaborativo su base regionale scrivevo (scusate la seconda autocitazione, ma questa è perlomeno inedita):


Finora la Pubblica Amministrazione è rimasta passiva rispetto a tali dinamiche, non facendosi permeare (nei processi decisionali, normativi, organizzativi) dalla rivoluzione culturale in atto, senza recepirne l’effettivo potenziale in termini di semplificazione dei processi, progettazione di servizi, creazione di valore per i territori.
Le pubbliche amministrazioni non possono più governare solo in nome dei cittadini, ma se vogliono mantenere credibilità e senso devono farlo con i cittadini che diventano una fonte di energia, talenti, risorse, capacità e idee.
Il settore pubblico è di fronte a una sfida storica: può facilitare lo sviluppo dell’economia della condivisione o osteggiarlo.
Può togliere auto dalla strada, evitare ridurre e rivalutare i rifiuti, includere gli esclusi; mettere a disposizione luoghi, informazioni, competenze perché  acquisiscano creino nuovo valore per la collettività.”
Il ruolo della PA diventa quello di supportare la nascita e l’integrazione di un ecosistema con:
  • Adeguamento della normativa per favorire la transizione da un modello economico all’altro, ammortizzando l’impatto del nuovo paradigma, dando certezze alle imprese e alle startup;
  • Sostegno alle sperimentazioni, con un’attenta analisi di impatto e una rapida messa a sistema laddove auspicabile.
  • Messa a disposizione di luoghi fisici (anche oggi male/sottoutilizzati) dove si sviluppino attività aventi i cittadini come co-progettisti e protagonisti di scambi di idee, talenti, tempo.
  • Promozione di spazi virtuali. Dunque sviluppo e sostegno a piattaforme on line, dove condividere e/o scambiare tempo, talento, libri, auto, spazi verdi, parcheggi, attrezzature, ricette, consigli medici, camere sfitte, libri, energia pulita.
  • Identificare, sostenere, valutare, App a valenza civica in grado di dare soluzioni a bisogni collettivi attraverso strumenti diffusi come smartphone e tablet
  • mettere a contatto esperienze e persone, anche grazie a facilitatori che includano i più deboli, che spingano al dialogo tra generazioni e tra generi, che sorveglino il rispetto della legalità e dei valori democratici e della libertà di espressione.
Le cose succedono anche se non vogliamo. 
Se le affrontiamo con saggezza possiamo  guadagnarci tutti. 

venerdì 9 maggio 2014

Economia della Condivisione, futuro e altre serie amenità collegate.

Possiamo continuare a consumare, inquinare, muoverci, sprecare, isolarci, fregarcene dell’eredità che lasceremo? La domanda è retorica ma la risposta può essere molto pratica.
Ho passato tre giorni al OuiShareFest di Parigi, il Festival dell’Economia Collaborativa, dove amministratori pubblici, grandi aziende, piccole start up, filosofi, smanettoni dell’open source, sognatori e costruttori di futuro si sono dati appuntamento per raccontarsi che si può e si fa.

Amministratori pubblici hanno raccontato come il settore pubblico possa facilitare un’economia della condivisione che tolga auto dalla strada, eviti riduca e rivaluti i rifiuti, includa gli ultimi, metta assieme le diverse informazioni in modo che acquisiscano nuovo valore. A Seul, Berlino, Amsterdam (e anche Bologna) si parla di Sharing City (che forse è la via più equilibrata alla Smart City di sapore tecnologico ma poco vicino alle persone).
La ministra francese alle politiche digitali ha detto con franchezza “Le comunità e le persone sono in cerca di SENSO. Compito della politica è costruire questo senso. Voi potete aiutare molto”. Sottintendeva anche che le migliori idee e comportamenti possano venire con credibilità solo da chi fa, sbaglia, corregge, affina.

L’amministratrice delegata di Castorama ha spiegato come sempre meno gente comprerà trapani poiché quello che serve davvero è solo il buco. Ecco che allora loro affitteranno le attrezzature, metteranno a disposizione dei laboratori attrezzati dove si potrà andare a farsi la mensola o la porta, incontrare appassionati come voi, imparare dai più esperti. E renderanno pubblico il design dei loro prodotti in modo che chi vuole possa riprodurre con stampanti 3D. Non hanno paura di perdere mercato? No, sanno che sarà l’opposto perché la fantasia dei clienti inventerà nuove destinazioni per i loro prodotti. Da fornitori di prodotti molte aziende diventeranno abilitatrici di processi.

Un giovane nepalese ha descritto come funziona la sua scuola per figli di indigenti: uno dei due genitori paga la frequenza lavorando per la scuola due giorni al mese in attività contadine o artigianali ottenendo prodotti che verranno venduti per sostenere la scuola.

Quello di Parigi non era un ambiente naif, né new age, né di sinistra, né di destra.
Era un consesso molto pratico che vedeva come inevitabili certi processi e come sia il profit che il no profit dovessero fare i conti con il cambio di paradigma economico e di comportamento dei mercati.
Scontri più o meno espliciti sono all'orizzonte: Albergatori contro AirBnB, Ristoratori contro Cookening, Tassisti contro Uber, distribuzione alimentare contro Food Assembly, banche contro Social Lending e così via, ... qualcosa andrà distrutto, posti di lavoro andranno persi e altri creati, tante cose andranno regolamentate molti dovranno cambiare pelle per continuare a stare sul mercato. Le corporazioni e i monopoli sono tutte destinate a essere travolte dal mercato che cambia.

L’Economia della Collaborazione era di certo nel DNA dei nostri nonni, di chi nella tradizione contadina e nella penuria di risorse del dopoguerra trovava naturale e logico utilizzare tutto, riparare, risparmiare perché consapevole che un futuro poteva e doveva esistere. Questa certezza di un futuro ‘a prescindere’ è diventata talmente nostra che abbiamo sostituito l’essere con l’avere.

In tal senso, la crisi ha aiutato a ristabilire un ordine di valori. E la tecnologia ha reso la possibilità di scambiare e condividere un fenomeno di massa, a partire dalla merce più preziosa: le idee. Soprattutto è così possibile condividere e scambiare con chi è con noi in sintonia anche se non lo conosciamo e non lo conosceremo mai.
Perché qui non si tratta di risparmiare ma di cambiare totalmente una cultura che vorrebbe far coincidere il consumo con la felicità. È semplicemente insostenibile dal punto di vista ambientale, sociale e economico (Già sentito? Oltre che il buonsenso, le stesse cose le dice anche la Strategia Europa 2020).
Anche perché come ha detto l’AD di Bla Bla CarSe una buona prassi non è scalabile, allora non è importante e non porterà a nulla”.

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Che poi i tassisti e Uber si sono scontrati davvero, otto giorni dopo... di questo ne parlo qui

mercoledì 30 aprile 2014

Parte la Garanzia Giovani. Viva i giovani! Ma soprattutto, lunga vita alle Garanzie!

Si tratta di una azione massiccia di contrasto alla disoccupazione giovanile, fatta di interventi spesso consueti attuati con strumenti ordinari dopati da una straordinaria dotazione economica in un contesto confuso e complesso. Sono 2 miliardi da spendere in meno di un anno e mezzo... fantascienza
Si avvia il Primo di Maggio e nei fatti per ora succede assai poco. Tolti forse il Piemonte e la Puglia nessuna Regione ha pensato a qualcosa di nuovo da offrire ai suoi utenti. Qualcuno rinforza sistemi esistenti che danno discreti  risultati (Lombardia, Toscana) e altri si accodano sperando che passi anche questa. Nei fatti se ne riparla tra qualche mese. Intanto iscriviamoci al data base.

Io, giovane disoccupato, mi iscrivo tramite il sito web del Ministero o della Regione, anche non la mia, al programma. Verrò chiamato entro 4 mesi dal Centro per l’Impiego e lì profilato e un po’ orientato, forse riattivato. Mi verrà proposta della formazione, forse un tirocinio, se sono fortunato il servizio civile, alcuni specialisti potranno favorire il mio ingresso nel mondo del lavoro.
Non vivo su un altro pianeta. Come operatore del settore abituato a osservare da vicino processi e organizzazioni mi viene da considerare:

Sulla Politica sul Lavoro in generale: la GG è un pannicello caldo che se non viene accompagnato presto da vere politiche di sviluppo che individuino i settori economici e lì concentrino investimenti, attenzioni, deburocratizzazione, si raffredderà appena finiti i soldi, e avremo messo su l’ennesimo nefasto ammortizzatore sociale. Che riformino pure il Senato e la Giustizia ma che facciano uno sforzo a immaginare un paese attrattivo dove sia bello e redditizio vivere e lavorare

Sui Centri per l’Impiego: funzionano a corrente alternata in tutta Italia. In media, peggio dove la disoccupazione è più alta. Dipendono dalle Province e dalle loro agonie di enti morenti. Hanno piante organiche incomplete e più precari al loro interno che tra i loro clienti.
I pochi bravi e bene organizzato fanno già le cose indicate in Garanzia Giovani e non ti fanno aspettare 4 mesi per avere i servizi. Vorrebbero magari strumenti più moderni (tipo un repertorio nazionale delle professioni, un sistema di incrocio domanda/offerta degno del primo mondo, un quadro istituzionale che gli consenta di erogare assieme servizi e indennità (carote e bastoni), un quadro normativo che li promuova e li valuti).
Gli altri sono strutture abbandonate dalla politica e dalle stesse direzioni di riferimento. Qualcuno vorrebbe incorporarli alle Regioni o a qualche Agenzia Nazionale. Sono abbandonati anche dagli utenti che li disertano per evitare perdite di tempo.   

Sulle azioni di GG: le azioni proposte dalle linee nazionali sono le stesse di sempre. Non ho nulla da aggiungere, soprattutto in relazione alla loro limitata efficacia. Mesi di lotte tra parti sociali e consultazioni tra lobby hanno prodotto schemi triti e elementari che faranno fare buoni affari agli enti di formazione, alle agenzie per il lavoro, e poco più. Per fortuna che qualche Regione ci mette del suo e prova a affrontare la realtà.
Per essere costruttivo, mi inoltro tra le righe delle (poche) Regioni che si sono esposte con delibere o bandi in materia di servizi da erogare.
Recependo obtorto collo le indicazioni della nuova programmazione del FSE 2014-2020, vengono qua e là esplicitate condizioni innovative (es. dalla Delibera 223/14 Reg. Lazio) “Formazione mirata all’inserimento lavorativo- Il rimborso [all’Ente di formazione] fino a 4.000 euro riconoscibile, in fase di prima attuazione, per il 40% a processo e per il 60% a risultato (in caso di successiva collocazione nel posto di lavoro entro 60 giorni dalla conclusione del percorso formativo). Tuttavia, trattandosi di una prima sperimentazione sia per la tipologia di intervento formativo sia per le modalità di rimborso, la Regione si riserva la facoltà di modificare tali percentuali sulla base dell’andamento della misura e degli esiti del monitoraggio.” È un primo passo, benvenuto, timido, in cui non si fa nessun riferimento alla durata/tipologia della ‘collocazione’. Anzi, ci si affretta a indicare come “Per il contratto di lavoro conseguente è prevista l’erogazione del bonus occupazionale.” E dunque la Formazione può stare tranquilla, dico io.
L’idea di pagare in base ai risultati, oltre che avere anni di ritardo rispetto a nazioni più responsabili, è pure applicata in maniera scolastica e si vede bene quando è applicata ai servizi di Sostegno all’Imprenditorialità, dove leggiamo  “L’importo [dei servizi di consulenza] sarà riconosciuto per il 40% a processo e per il restante 60% a risultato (effettivo avvio dell’attività imprenditoriale).” È evidente a tutti come un bravo consulente debba prima ti tutto valutare con durezza il business plan di ogni start up che gli si presenti davanti ma qui più sarai bravo nel tuo lavoro e meno euro vedrai J

Cosa manca, secondo me:
  1. L’ottimo approccio dell’orientamento ai risultati e all’impatto può funzionare bene se la bontà dei risultati vincerà sulla standardizzazione del processo. Mi spiego: la formazione così come è ha un'evidente efficacia, così come gran parte dei servizi per l’impiego. Mettere una marea di soldi sul pezzo sperando che vecchi soggetti e metodi possano dare nuovi risultati va contro ogni logica. Occorre più flessibilità sui servizi erogabili, quasi una liberalità nei processi.
  2. Altro grande buco antistorico è aver rinunciato da tempo a costruire un senso di solidarietà nazionale e generazionale sul tema, in cui le aziende e chi il lavoro ce l’ha si sentano responsabili della creazione di opportunità per gli esclusi e possano anche partecipare con le proprie competenze, tempo, relazioni al progetto GG. Qualcuno potrebbe farlo per responsabilità sociale, altri perché credono nell’Economia della Condivisione, nell’Innovazione Sociale. È possibile farlo.  
  3. Poco si vede anche di come considerare questi giovani un valore e non un soggetto da trattare. Nessun rilievo è dato alla collaborazione tra di loro, tra ‘peer’, alla progettazione di contesti che li motivino a rafforzare le proprie competenze sul campo elaborando un progetto personale e professionale e, nello stesso tempo, partecipare attivamente allo sviluppo del proprio territorio. Nessuno in GG stabilisce legami tra la potenzialità di migliaia di italiani adulti e l’uscita dalla crisi generale, e il modo in cui può avvenire.      In questa direzione l’unico esempio di rilievo che ho colto viene da “Tutti i giovani sono una Risorsa” di Regione Puglia, sviluppato in Bollenti Spiriti e che sarà anima anche di GG.
  4. Senza possibilità di successo è un’organizzazione che continua a mettere al centro il servizio e non l’utente. Una volta ‘smistato’ verso la formazione, la creazione di impresa, il servizio civile, …, la palla è passata ad un altro che fa il suo e può fallire o riuscire con gli strumenti che lui ha. A fallire o riuscire è invece il giovane. Non si vede la figura di un tutor/responsabile del processo globale del giovane, con cui possa parlare una volta la settimana, che a metà di corso di formazione inutile gli proponga un tirocinio in un altro settore o che se la business idea viene demolita gli proponga di fare un’analisi di mercato all’estero con una mobilità internazionale
  5. A quest’ultimo punto aggiungo che non si vede un processo di premialità dei Servizi per l’Impiego pubblici, che siano valutati in base alla loro efficacia. Con parametri di SROI (Ritorno Sociale dell’Investimento). E che tale valutazione arrivi al singolo operatore  a cui concedere premialità sulla base dei successi legati ai ‘suoi’ utenti.

L’argomento, mi capite, mi sta molto a cuore. Soprattutto finché vedo più Garanzie per gli operatori che per i Giovani. Gradisco riflessioni, critiche e contributi da parte dei molti colleghi che so attenti a queste note. Di certo ne riparlerò presto.


giovedì 24 aprile 2014

Ho grande fiducia nei mercati di periferia.

Ho fiducia nei mercati. I mercati raccontano molto dell’efficacia delle politiche, sullo stato dell’economia, sulla fiducia dei consumatori.
I miei preferiti sono quelli nelle prime periferie romane, non drogati dai flussi turistici e dai vizi di gola di diplomatici e monsignori, frequentati da famiglie di medio reddito, con le esigenze basilari di tutti e qualche spicciolo in più nel portafoglio per concedersi i gamberoni il sabato o il roast beef per la cena con la suocera.
Se devo credere ai mercati, oggi, 24 aprile post pasqua e presantificazioni, sono molto scettico. A fronte di uno sbandierato recupero dell’economia, di messaggi tranquillizzanti e positivi da parte di chi amministra il paese, mi sono ritrovato con una situazione che anche solo rispetto a un mese fa è radicalmente cambiata:
  • I prezzi. La mozzarella di bufala è scesa sotto il muro psicologico (per noi, non per le bufale) di 10 Euro al chilo. Significa solo che forse ne mangerò di più o che ne vendono sempre meno e i produttori sono col l’acqua alla gola? Anche la porchetta si trova buona a meno di 10 euro al chilo. Il parmigiano reggiano è ormai da tempo tra i 12 e i 14 euro, ben lontano dai fasti di un tempo, e pensare che pure le scorte fatte dagli strozzini dopo il terremoto dovrebbero essere finite. Mettiamoci anche il baccalà bagnato a 10 euro e il filetto a 9.
  • I negozianti. Oggi sembrava di essere in un suk: tutti a gridare i loro prezzi e le meraviglie dei prodotti “Solo io ho le fave di qualità!” “Orate a 10 contro la crisi!” e altre disperazioni del genere. Sono diventati petulanti, non lo erano. Erano gentili e generosi. Ti si aggrappano al sacchetto con la foga di un naufrago. Se guardi nella loro ombra ti pare di scorgere i passi dello strozzino che li tiene alla garrota e attende la rata di fine mese.  
  • I sussurri. “In tutto il mercato sono al massino 3 i banchi che vanno in pari a fine mese” mi diceva uno. “Ma anche i mercati a Genova sono ridotti così?” mi chiedeva Gino il macellaio con cui discetto spesso dell’uso del carciofo con l’agnello o con la stessa coratella “La cosa che si vende di più sono le ali di pollo, due euro al chilo…”. Sussurri che sono un po’ anche grida.
  • La politica. Se ne fa e dice molta nei mercati. “Secondo te, Renzi riuscirà a combinare qualcosa?” mi chiede la fruttivendola dal gran sorriso e gli occhi stanchi. Al banco dei tre laureati-precari-allultimaspiaggia che affettano salami e contano fagioli secchi il discorso diventa programmatico e le riforme si intrecciano con ragionamenti sulla tassa d’occupazione suolo pubblico, la regolamentazione del biologico, la concorrenza cinese.
Se i mercati non mentono, la situazione è molto più nera di quanto ce la raccontano e lassù, sulla tolda dell’Italic, ballano colpevolmente una musica suonata ormai in playback perché l’orchestrina, tutta in cassa integrazione, ha già lasciato il paese.

venerdì 4 aprile 2014

L'ombra di Papa Bergoglio sulle ombre di Woytila.

Trovo molto interessanti le riflessioni di Papa Bergoglio sul fatto che lo accusino di ‘essere comunista’ e lui risponda che ‘il cuore del Vangelo è nei poveri’. Le trovo doppiamente interessanti alla vigilia della santificazione di Karol Woytila, il Papa che al comunismo ha dato la spallata finale e inconsciamente ha aperto l’epoca del pensiero debole. In effetti, fino all’89 si era ancora in un’epoca schematizzabile con Peppone e Don Camillo, chiesa da una parte e comunisti dall’altra. Nel dopo guerra, quando sacerdoti e intellettuali come Don Milani, Capitini, Don Gallo provavano a far notare che le distanze tra i due schieramenti erano spesso solo negli occhi di chi li guardava ecco che i crociati papali (fossero democristiani, lefebriani, opus dei o ciellini) impedivano scientificamente il dialogo sui contenuti.

Papa Giovanni Paolo 2° è stato fulcro della svolta. L’apice della vittoria per la chiesa e l’inizio del tracollo.

Karol Woytila è stata ai miei occhi una figura estremamente complessa: un uomo forte, un innovatore nella comunicazione e nel linguaggio, un oscurantista conservatore nei contenuti. L’essere polacco gli ha probabilmente dato motivazione e slancio nel combattere il comunismo ‘alla russa’ ma quella foga ideologica gli ha impedito di comprendere come esistesse una modernità che trovava la chiesa legatasi stretta al palo con le proprie mani.

Nel suo pontificato ogni voce di dissenso è stata epurata, dalle comunità o dei seminari, dai telegiornali e dai pulpiti. I rapporti con le altre religioni cattoliche sono stati rasi al suolo. Il dissenso con Papa Re era proibito.
Lo riconosco, ha fatto quello che poteva: forse non si poteva umanamente dare la spallata definitiva al muro di Berlino e al tempo stesso costruire la Chiesa sulla libertà di coscienza dei fedeli. In quel momento gli serviva una chiesa di combattimento con truppe e movimenti che si muovessero all’unisono. Era un vero crociato. Ricordo nel mio piccolo, in quegli anni ho fatto la scelta dell’obiezione di coscienza al servizio militare e l’ambiente più ostile l’ho trovato nella parrocchia, nei preti, negli amici più credenti.  

Ma la sua vittoria è stata la sua sconfitta: crollato il comunismo sono venute meno gran parte delle ragioni per essere religiosi. Perlomeno tutte quelle basate sulla paura, sul ‘noi e loro’, su presunte diversità che erano spesso solo simmetrie. La superstizione e i pregiudizi non bastavano più a credere e di alternative ne sono state costruite poche.

La chiesa non era pronta a camminare sulle sue gambe e a Papa Woytila non interessava, lui aveva vinto. La sua era una spiritualità di certo sincera ma fuori dal tempo, buona per lui ma inaccessibile ai fedeli che, disorientati dalla mancanza di un nemico, si sono trovati nella condizione di dover combattere contro nemici interiori molto più reali dei comunisti ma molto meno facili da affrontare.
Di lui rimane l’insuperabile capacità massmediatica, la figura iconica, l’ostentazione quasi didattica del dolore, il funerale più partecipato della storia dell’uomo, e poco più. Non ne colgo nessuna eredità reale.
Per risalire a un Papa che ha toccato le anima si parla ancora di Giovanni XXIII.
Tra pochi giorni verranno entrambi santificati. Da estraneo a questi processi mi viene solo da dire: Buffo destino il loro, così diversi e ora assieme, chi ha per la prima volta portato la chiesa a guardare avanti col Concilio Vaticano II e chi l'ha riportata alle crociate riaprendo alle messe in latino e chiudendo ogni modernità di pensiero.

La santificazione passerà come tutti i riti.

Rimane poi Bergoglio.
Bergoglio sta a Woytila come una rondine agli abissi marini.
Si tratta ora di capire se la chiesa preferirà volare o inabissarsi ancora.

martedì 1 aprile 2014

Dalle Riforme sempre annunciate alla Loggia P2.0

A trent'anni di distanza dal parziale smantellamento della Loggia Massonica P2 mi sento a disagio quasi come in quel nero periodo del nostro paese. 
Questo demagogico sbandieramento di tagli (alle Province, al Senato, alla PPAA, etc.) mi pare realizzato in assenza totale di vere idee sulla forma Istituzionale e sul destino socio-economico del Paese [da parte di Renzi, illuso di essere vincitore] o, viceversa, con un’idea precisa di dove si sta andando a parare da parte di chi regge ancora il bastone [mister Berlusconi e la sua banda di loschi figuri diplomati alla scuola della P2 originale].
Se accanto a tanti tagli spesso solo di facciata e poco argomentati ci mettiamo la proposta di una legge elettorale farsa che non restituisce al cittadino alcuna possibilità reale di scelta, ecco che Gelli e i suoi amichetti sbancano la democrazia anche nell’era di Internet.

Perché mi seguiate nel ragionamento, riporto sotto alcuni dei Principali punti del piano della P2 detto anche “Piano di Rinascita Democratica” (tratto da Wikipedia):

•             La nascita di due partiti: "l'uno, sulla sinistra, e l'altro sulla destra. Allo scopo di semplificare il panorama politico.
•             Controllo dei media. Eliminazione della libertà di stampa e di pensiero allo scopo di controllare, e in questo modo influenzare l'opinione pubblica; nonché l'abolizione del monopolio della RAI e la sua privatizzazione. (L'abolizione del monopolio RAI era avvenuto prima della scoperta della loggia, con la sentenza del luglio 1974 che liberalizzava le trasmissioni televisive).
•             Fine del Bicameralismo perfetto : ripartizione di fatto, di competenze fra le due Camere (funzione politica alla Camera e funzione economica al Senato.
•             Riforma della magistratura: separazione delle carriere di P.M. e magistrato giudicante, responsabilità del CSM nei confronti del parlamento.
•             Riduzione del numero dei parlamentari.
•             Abolizione delle Province.
•             Abolizione della validità legale dei titoli di studio.
Licio Gelli sostiene che la coincidenza di talune parti del "Piano" con i programmi dei partiti attuali non sarebbe casuale. In un'intervista dell'ottobre 2008 ha affermato che, sebbene tutte le forze politiche abbiano preso spunto dal Piano (tanto da indurlo a reclamare ironicamente i diritti d'autore), Silvio Berlusconi è l'unico che può attuarlo.
Lascio a voi le riflessioni su quanto di questo è stato fatto, quanto è in itinere, quanto è nei programmi di medio termine sbandierati da destra e da sinistra.
Renzi fa bene a tentare scrollarsi di dosso il morso immobilizzante di sindacato e confindustria ma non pare finora aver messo sul tavolo nessuna proposta di peso.

Al di là di un po' di caciara intorno alle mirabolanti e discutibili potenzialità dell'Expo 2015, non si vedono scelte di politica economica degne di tale nome: nessuna priorità sul dove investire i soldi pubblici (vogliamo impegnare i 4 spicci pubblici per  essere la Florida d'Europa? il centro del Mediterraneo? produttori di vino pagnotte e sciarpe di seta? puntare sull'export? Decidete qualcosa! E poi vedremo di indirizzare solo lì i fondi, formare le professioni idonee, etc)

Criminalità, conflitto di interessi e evasione fiscale rimangono poi grandi temi non pervenuti al tavolo del negoziato politico. Sono troppo di sinistra? A me paiono solo necessari a una società civile in cui la libertà e l'equità viaggino assieme allo sviluppo e alla felicità degli abitanti e delle imprese.
In effetti sono temi scomodi. Per essere affrontati davvero occorrerebbe spiegare ai cittadini, avere la loro fiducia, coinvolgerli nella pianificazione, controllo e magari realizzazione degli interventi, che siano essi di educazione o di contrasto attivo al malaffare.
Per non parlare dei temi cosiddetti temi ‘etici’. Per quanto ancora potremo eludere la necessità dei matrimoni omosessuali, dello ius-soli, di una legge sulla procreazione assistita che sistemi quella che fa acqua da tutte le parti, di un fine-vita dignitoso? Per non parlare del bisogno di umanizzare le nostre leggi (e i luoghi) legate all'immigrazione.

L’ispirarsi a Blair, così evidente in Renzi e nella sua “terza via”, tiene poco conto delle differenze tra UK e Italia, della loro cultura democratica, della libertà di stampa, della eticità della BBC, della capacità che ha un popolo di indignarsi se un ministro anche solo usa l’auto blu per fare la spesa ho ha copiato la sua tesi di laurea. 
Qui da noi, ogni liberalizzazione e semplificazione se non accompagnata da educazione e controllo civico si trasforma in un’arma in più dei forti sui deboli. E la democrazia scivola via.
E con la scusa della crisi e della panzana che "l'Europa ci chiede..." la P2.0 è sempre più vincente.