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sabato 15 dicembre 2018

La famiglia Italia, in Viale Europa 27.


Nel condominio di Viale Europa, la famiglia Italia abita al primo piano. E' un grande edificio, bellissimo, abitato da tante persone, ricco e povero, con i suoi problemi e le sue grandi forze. 

Gli Italia hanno un ampio appartamento che vale almeno  il 12% dei millesimi dell’intero palazzo: sarebbero in grado di orientare tutte le scelte, di aiutare a risolvere i problemi, peccato che alle riunioni non vadano quasi mai e se sono presenti passino tutto il tempo al telefonino o deleghino a votare per loro comparse prezzolate che non hanno idea di dove siano, e pensino solo a chiedere il numero di telefono alle studentesse dell’Erasmus del terzo piano.

Gli Italia escono poco, quindi capiscono anche meno. Sono però iperattivi. Per distrarre i figli che hanno intuito quanto sarebbe meglio conoscere gli altri abitanti il condominio, e tranquillizzare i nonni che si annoiano e parlano solo a quant’era bello quando avevano trent’anni, i denti, i capelli e la pensione regalata, si sono messi a fare  lavori inutili e di grande effetto, come capita nelle migliori gabbie di criceti e negli imperi egizi.

Alza quel muro!” è stato il primo imperativo “Dobbiamo impedire l’ingresso dei gatti randagi dal cortile!” e “Così bocchiamo le correnti d’aria fredda!” e “Impediamo l’ingresso di cibi senza carboidrati!” Poi è venuto  Installiamo un nostro videocitofono!” un bel gadget tecnologico per divertire i bimbi che possano vedere l’esatta posizione dei fattorini prima di lanciare i gavettoni, utile anche a scegliere le badanti in base allo zigomo e i raccoglitori di pomodori in base all’apertura pollice-indice. Ecco poi “Stampiamo i soldi finti come a Monopoli e facciamo finta che siano veri! Siamo ricchi!” cosa che ha divertito un po’ tutti e aumentato per due giorni gli scambi economici nell’appartamento. Ecco allora “Pitturiamo le serrande color cachi!” è stata poi una proposta utile a dare un lavoro inutile ai ragazzi di casa e a lanciare l’hashtag #cachisenzavergogna, per sentirsi trasgressivi e divertire sui social. Infine è arrivato il ferale “Non rispettiamo le regole condominiali! Non ci piegheremo alla dittatura dello zerovirgola!”

Gli Italia sono rumorosi e inaffidabili, si sa, e usano spesso paradossi pensando che grazie alla loro simpatia nessuno li ascolti davvero, però quest’ultima affermazione ha stranito gli altri condomini che hanno cominciato a chiederne ragione, anche perché il cattivo esempio non stigmatizzato è in grado di condizionare anche altre menti semplici nel grande palazzo.
Gli Italia, a cui non manca la fantasia, hanno subito trovato motivazioni fanfaroniche e d’impatto: “Perché in Viale Europa il tempo atmosferico è sempre deciso dagli ultimi piani! Perché non possiamo neppure più russare in casa nostra! Perché siamo belli, furbi e veniamo da lombi nobili e dunque i diritti e i doveri degli Italia sono diversi geneticamente da quelli degli altri! Perché quello che facciamo coi muri in casa nostra, sono solo mattoni nostri, e non ci interessa se siano portanti! Cosa? Dite che c’era un accordo scritto? Di certo a nostra insaputa! Avete ancora da ridire? Noi allora ci infiliamo le dita nelle orecchie e urliamo democraticamente blablabla!  Non vi va bene? Siete fascioidi, antidemocrastici e xanadufobi!
Ecco una montagna di parole sparate a casaccio, scoregge false, rutti utili solo a sollevare polveroni di saliva portatrice di contagio. Con l’obiettivo di convincere i giovani e gli anziani in famiglia che in Viale Europa non li vuole nessuno, che per loro non c’è posto, non c’è aria, non c’è libertà. Per convincerli che sarebbe meglio trasferirsi altrove, in un posto libero dove gli altri non ci saranno, nessuno gli ruba il diritto di piangersi addosso, e non avranno pressioni per guardare al futuro, risolvere i problemi, combattere le mafie, far amicizia e business col vicino di casa, rispettare le leggi ambientali e fiscali. In un posto dove potranno vivere degli ortaggi dell’orto piantato su bei terreni contaminati, ruminare prodotti bioillogici fatti dagli Italia, da maestri del telecomando, orgogliosi della loro bella lingua, anzi liberi di usare un dialetto in cucina, uno in bagno e uno in salotto.

Itala, la più giovane, che è poco interessata a quelle fregnacce e ha già capito che gli adulti alzano il tono quando devono coprire le loro colpe, e parlano di libertà quando sanno di togliertela, chiede “Com’è ‘sta storia di Zerovirgola? L’avete ritrovato? È diventato dittatore di che?”
Ovviamente lei si riferisce al gattino sparito da qualche settimana, in realtà annegato nello sciacquone dallo zio che non ne sopportava i miagolii notturni e per la cui dipartita ha accusato ad arte lo chat del vicino di pianerottolo.
“Grazie per la domanda, piccola Itala, e non farne mai più. Ciò mi consente di parlare d’altro,” i capifamiglia lo spiegano bene alla famiglia riunita sotto l’albero, “Loro, quelli qui di Viale Europa… Loro i gatti li mangiano. Loro non ci vogliono e neppure capiscono che siamo diversi. Ad esempio, noi volevamo indebitarci verso di Loro spendendo il 2,40% di quello che non abbiamo, ma Loro ci hanno guardato male, allora abbiamo detto subito che sarà solo il 2,04% - che poi è la stessa cosa perché sia sa che qualunque numero moltiplicato per zero dà sempre lo stesso risultato . Ma Loro non sono contenti, mai. Loro sono cattivi e non amano la matematica. E noi siamo buoni e. Semplice, chiaro.” Molti annuiscono.

“E Zerovigola dov’è finito?” la bimba è interdetta dai funambolismi illogici dei capifamiglia.
La doppia sberla biguanciale le arriva da entrambe i capifamiglia mentre il terzo riprende  la scena col telefonino e la posta con #cachisenzavergogna #eallorazerovirgola #unatroiettapresuntuosa #vialeeuropacovodiserpi #primagliitaliaepoiildiluvio #ridebenechihaancoraidenti
Con le mani fumanti in bella vista, i capifamiglia riprendono, “Il regalo che vi chiediamo a Natale è consentirci d’abbattere il condominio in primavera, quando si voterà per il nuovo amministratore.”
“Con noi dentro? Siete scemi?” chiede il cugino Italicchio che gli altri trattano come un animale da cortile perché ha preso addirittura la licenza da geometra.

I dettagli non sono importanti: noi siamo gli Italia! Noi i dettagli ce li pippiamo come farina taragna!" e lo mettono a quota 100, gradi nel forno. "Autorizzateci a imbottire i pilastri di casa con bombe! A cambiare tutto! A mettere la realtà aumentata nell’ascensore sociale! A chiudere la bacheca degli avvisi che spreca carta! A accorciare le divise delle stagiste e a impedirgli di abortire! A malmenare chi vuole rimanere in Viale Europa! A abolire la logica, l’università, la cucina fusion, i rapporti tra condomini consenzienti! Fateci rendere obbligatorio l’uso dell’esclamativo al termine di ogni frase! Autorizzateci a tutto, visto che non ci capiamo niente! E sarete sempre più felici di appartenere a questa famiglia!
(continua?)


Dedicato a Antonio Megalizzi.
R.I.P.

sabato 6 ottobre 2018

Un aborto di civiltà.


Quando le mie due amiche sposate tra loro si sono chieste chi avrebbe portato avanti la gravidanza il tema mi si è presentato diversamente: cosa accadrebbe se in una coppia etero ci si potesse porre la stessa domanda. Io? Te? Ne facciamo uno per uno? Fosse così l’uomo di certo avrebbe opinioni molto più sensate sull’aborto, o semplicemente avrebbe dimostrato scientificamente che comunque è meglio che partorisca la donna. Perché a noi uomini piace governare le vite degli altri.

È davvero forte l’immagine delle donne ancelle in consiglio comunale a Verona. (Consiglio a tutti la lettura del libro o almeno la visione della serie televisiva a cui si ispirano “Il Racconto dell’ancella”di M. Atwood”). Nella storia sono donne costrette alla riproduzione controllata dall’autorità, senza identità ma solo con uno scopo, accudite e mantenute sane anche contro la loro volontà, corpi come contenitori.

Ricordo al corso prematrimoniale l’anziana coppia che ci ha fatto una tirata sull’innaturalità dei procedimenti della fecondazione in vitro. E poi di quando si è ricreduta visto che l'amato figlio ha avuto problemi a renderli nonni ed è ricorso a ogni trovata della scienza, legale in Italia e oltre.
Ricordo la dottoressa di un grande ospedale pubblico che non dava il proprio nome ai pazienti e fissava appuntamento per un ricovero “a mezzanotte” a chi chiedeva di poter esercitare il diritto di aborto nei termine previsti dalla legge.
Ricordo quel pratico ginecologo che spiegava “A Roma… non saprei. Le mie pazienti vanno tutte a Londra, due giorni, servizio impeccabile, vicino all’aeroporto, 1500 euro volo incluso. Tutto pulito e legale, si intende.”
Ricordo anche lo psicoterapeuta che spiegava come - da protocollo - la visita alla donna sia prevista solo prima dell'intervento e che "sarebbe interessante fare qualche studio su come le donne stanno dopo. Forse l'hanno fatto in Svizzera..." Lui, per stare sicuro, prescriveva sia i calmanti che gli antidepressivi.

Ricordo la coppia che usava l'aborto come metodo anticoncezionale, e la ragazza che ha dovuto farlo come unica via d’uscita da una situazione impossibile e dopo 30 anni ancora elabora il lutto. 
Il tema è di una complessità comprensibile solo con l’amore per le donne. Invece a parlare d’aborto è sempre una gamma di uomini aspiranti alfa col cervello in versione beta, non testato sul mondo reale ma governato solo sull’algoritmo dei loro desideri.

E l’idea di una “Città a favore della vita” mi ricorda il ridicolo pronunciamento ormai fuori moda di “Comune denuclearizzato”. Li ricordo i cartelli in paesini insignificanti: Melegnate, Cuzzolo sul Lento, Acquastretta, Grullo Superiore tutti ‘denuclearizzati’ perché - si sa - la radioattività rispetta le delibere, i confini catastali e il voto della maggioranza. E quando le Giuliette e i Romei dei consiglieri comunali avranno bisogno di una interruzione di gravidanza cercheranno un Comune che si dichiari a 'sfavore della vita' motivando con “la mia situazione è speciale…”, “dipende…”, “è per il bene della madre…”, "Sono giovani, hanno fatto uno sbaglio," aggiungendo "Posso avere il nome di quella clinica di Londra?"

“I diritti civili non sono nel contratto di Governo” ha detto giorni fa uno di questi sfascisti, chissà se su quello straccio di carta velina hanno messo la Libertà.

domenica 27 maggio 2018

Come l'andare o meno in Turchia diventi un fatto di coscienza.


Ci sono delle possibilità teoriche che quando si verificano mettono in discussione i fondamenti del pensiero.
Non so voi ma io ho dei luoghi dove non vado e non andrei per una forma di obiezione passiva a quello che lì succede. Sono ben conscio che di paradisi in terra non ne esistano e che l’Italia è l’ultimo posto a qualificarsi come tale, tuttavia ci sono contesti dove l’ingiustizia è talmente istituzionale e conclamata che anche il solo fatto di recarmici come turista mi darebbe disagio e imbarazzo, quasi fosse una connivenza con chi quel sistema organizza e da quel sistema si arricchisce.

Questo valeva, ad esempio, per il Sudafrica ai tempi dell’apartheid; vale tuttora per Israele e la sua politica; mi impedisce di considerare la Cina una destinazione ludica; vale da un po’ di anni per la Turchia dove un regime dittatoriale rade al suolo i diritti del proprio popolo e di molti attorno.
Tutto è limpido finché di questo ne faccio una riflessione teorica, tanto per supporre, poi accade che… un amico caro che non vedi mai e con cui vorresti tanto passare più tempo ti propone “Ho un posto libero per andare assieme 5 giorni a Istanbul, in un hotel storico, è già tutto pagato, devi solo dire di sì.  

Lì comincia il mal di pancia: mai stato a Istanbul, desideroso di passare tempo con l’amico, affascinato dall’Oriente e dalla cultura bizantina, sento già i profumi e il bel rumore dei mercati.
Ci si aggiunge che durante una docenza incontro una corsista turca a cui confido il mio disagio nel rispondere all’invito. Lei obietta con un dolcissimo sorriso,  Ma in questo modo isoli le persone. Il turismo ci fa vivere ed è il nostro unico contatto col mondo esterno. Noi non siamo Erdogan.”
E il mal di pancia continua, qualcosa è lì bloccato senza andare né su e né giù. So che la complessità della geopolitica è tale da non poter mai considerare le cose del tutto bianche o nere. Un altro amico mi obbietta che Erdogan è l’unica soluzione ragionevole ai problemi di quella regione ben diversi dai nostri. So anche che però questo accomodare tutto con la ragioni pura rischia di creare un alibi a tutto.

Alla fine ho detto di no, ringraziando di cuore per l’invito. Le mie vacanze possono essere avventurose, e ne ho fatte parecchie di quel tipo, però non ignave. 
Non sei un giornalista né un fotoreporter, né ci devi andare per lavoro, mi sono detto. 
Lì non si divertono, e io non mi divertirei a scattare foto e comprar souvenir.
La parte più egoista di me se ne è pentita il giorno stesso che ho deciso, la parte più riflessiva si è compiaciuta, giacciono tristi e sconsolate. 

Mi sento a volte come uno che così giudica senza conoscere, poi mi convinco che la conoscenza non debba essere solo quella diretta, sempre e comunque parziale; poi mi dico che tutto è sempre parziale e soggettivo; poi aggiungo che vista la quantità di giornalisti e scrittori tenuti illegalmente nelle carceri turche, la mia rinuncia alle magnifiche moschee del Bosforo è il minimo sindacale per manifestare la mia opposizione a quel regime.

Insomma sono qui a lacerar la mia giacchetta comoda, e anche solo per scrivere questo post ci ho messo un mese. Però serviva a capirmi, per chiedere aiuto a chi sulla complessità abbia per caso qualche idea utile a fare delle scelte.