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giovedì 8 marzo 2018

Donne e Uomini, Vittime e Carnefici, Passato e Futuro.


L’ultimo a finire sui giornali è stato un italiano, un carabiniere che ha preso la pistola, ha sparato alla moglie, ucciso le figlie e si è suicidato. Un omicidio premeditato fin nei più piccoli particolari.
Nei prossimi giorni ci sarà la sentenza per l’omicidio ugualmente premeditato di Michela, una nostra amica, da parte del suo partner, un manager bancario. Michela era una donna radiosa, un’insegnante molto impegnata nell’educare studenti e studentesse al rispetto e alla giustizia tra i sessi.
La stragrande maggioranza di questi reati avviene per mano delle persone più vicine e fidate. Quasi sempre uomini incapaci di affrontare la realtà e la vita. Inermi di fronte alle difficoltà proprie e a quelle della coppia. Alcuni in cerca di una madre nella partner, tutti inabili alla costruzione del futuro assieme. Uomini convinti del possesso,non abituati alla sconfitta, così come all’uso della ragione.
Come ben si sa, non sono né il reddito né il livello scolastico a inquadrare il fenomeno, né a darci spunti per combatterlo.
Gli uomini coinvolti in atti di violenza ragionano male, vivono male, pensano male. Qualcosa dentro di loro non funziona, o ha smesso di funzionare negli anni o non si è mai acceso. Parliamo di adulti, e  dunque la colpa è loro. Trattano le donne come oggetti di proprietà, o nel mito incatramato della coppia perfetta hanno annegato proprie imperfezioni con cui non hanno mai fatto i conti.

In questi fatti, i rotocalchi cercano la causa scatenante, l’alibi, i fantasmi del passato, gli amanti misteriosi. I media fanno il possibile per razionalizzare i ‘fatti’ o scaricano tutto sul ‘raptus’ e la ‘follia’. Non puntano mai il dito alla Colpa. Vi è un chiaro rifiuto a portare la riflessione su milioni di persone, perlopiù uomini, che dovrebbero fare i conti col proprio essere adulti per darsi un modo diverso di vivere le relazioni affettive.
Sul tema, nella nostra cultura è diffusa una superficialità giustificabile col non voler porre mai le domande che contano. Perché succede? Ci si arrende davanti a risposte troppo complesse e – soprattutto - scomode.

Per quel poco che ho vissuto e conosciuto, ho contezza che per quanto il panorama delle relazioni appaia a volte desolante le donne di oggi stiano in Italia molto meglio delle nostre nonne, ed è da questo che vorrei partire per smantellare la tesi del raptus.

È il caso di ricordare come le nostre nonne (se avete 50 anni) o bisnonne (se ne avere 20-30) hanno in genere avuto delle vite di coppia di merda. Sia lette con i nostri parametri che con i loro: zero affetto, zero complicità, tante legnate e tante corna. Non amano parlarne, non vogliono; siccome era inevitabile, le hanno educate a non parlarne mai: occhi bassi e mente a Dio.
Se vi capita, fate loro domande perché spesso la loro intelligenza aspetta solo di dimostrare quanto non fossero fesse ma piuttosto tenute al giogo.
Dall’alba dei tempi fino al dopoguerra – pochi anni fa - gran parte dei matrimoni erano combinati dalla famiglia, un’altra bella fetta erano riparatori, altri ancora casuali nati grazie al parroco, alle inserzioni sui giornali e simili. Qualcuno d’amore, lo concedo, vere perle rare. Anche quelli d’amore avevano quasi sempre uno schema chiaro nei ruoli di forza e nelle regole che segnavano la distanza del maschile dal femminile. Le nostre nonne erano considerate donne degne dallo Stato e dalla Chiesa solo se si riproducevano parecchio. Questi parti numerosi rispondevano a necessità socio-economiche e ottenevano anche il risultato di tenerle impegnate e con la testa bassa, lontano da libri e civiltà. Oltre a quello dovevano gestire casa, cucinare, educare i figli, etc.
Gli uomini dovevano lavorare e portare a casa soldi, fecondare le mogli e quando ‘serviva’ sfogarsi con le prostitute. Questi criteri li rendevano bravi padri di famiglia.

Era così, punto. Un ordine millenario sancito da necessità ed equilibri di forza. Poco da dire e recriminare. Chi ci provava finiva all’indice se non schiacciata dagli schiaffoni. Era la regola in tutti i matrimoni. Non bello da raccontare. Un po’ come il fatto che in quegli anni quasi tutti erano fascisti e antisemiti, parlo sempre dei nostri nonni e nonne, e oggi che riabbiamo i fascismo alle porte si ritiene ancora indecoroso parlarne, per rispettare la memoria posticcia fissata nelle foto in bianco e nero in bugiardi album di famiglia. 

Le cose cambiano. Credo che dopo l’invenzione della ruota, nulla abbia trasformato il mondo come la pillola anticoncezionale. L’appropriazione da parte delle donne del controllo delle loro funzioni riproduttive è il grande punto di svolta, il primo passo per porsi in una relazione nuova con se stesse, l’economia, la famiglia, la coppia.
L’altro elemento centrale è stata la Pace. Le donne sono il motore e la forza maggiore di un periodo di pace, quale quello che per fortuna stiamo vivendo in Europa da almeno 60 anni. Se non occorre prendersi a mazzate la donna sa bene come manifestare la propria intelligenza, ricchezza e il proprio ruolo. L’uomo del '900 non era programmato per la pace.
L’accelerazione fu forte e la miccia del ’68 servì a contarsi, a scoprirsi una forza, a uscire dalla solitudine a rivendicare quello che è dovuto non solo come donne ma come esseri viventi.

Gli uomini? Eccoci.
Per uscire dalla cultura della clava e del conflitto, dopo millenni dobbiamo cambiare i modelli di riferimento. Di certo abbandonare quello dei nonni e in larga parte dei padri. Possiamo funzionare anche disarmati solo se gli uomini che ci hanno cresciuto riusciamo a amarli e rispettarli, consapevoli che ci sono aspetti per i quali non possono essere dei modelli, e che la nostra felicità passa anche nell’essere diversi da loro. Non può essere altrimenti anche perché le donne che incontriamo sono contemporanee e in tutto diverse dalle nostre madri (meno male, aggiungo).
Il mondo che voglio è un altro, la pace è troppo importante, le donne sono immensamente interessanti per non coglierne il valore.

Dobbiamo anche imparare a litigare con loro. Perché è umano, serve, capita. Ce ne sono pure di stronze, prevaricatrici, crudeli. ‘Come un uomo’ verrebbe da dire. A questi conflitti va applicata la ragione e la giustizia e, se ci vedono perdenti, devono essere un insegnamento, come ogni altro fallimento nella vita.
Chi non ci riesce, chi questo non l’ha capito, si ammala di rancori e rabbia. Diventa vittima di sé stesso e genera vittime attorno a sé.

Dunque. Non parlate più di follia, raptus, pazzia, non ci credo. Basta scuse! La violenza è l’arma dei perdenti. Come faceva ogni giorno Michela, insegniamo alle donne e agli uomini – fin da ragazzi e ragazze – a cogliere la forza negli altri, a valorizzarne la differenza e a identificare i comportamenti deviati rifiutando anche le piccole violenze che, se accettate, autorizzano implicitamente questi criminali a atti sempre più distruttivi e umilianti.

giovedì 21 febbraio 2013

Non voglio il rimborso dell'IMU ma dei venti anni di civiltà che ci hai rubato.

Non potrò mai fare l’analista politico. Ci sono fenomeni che non riesco a capire, e altri che capisco fin troppo bene e dunque mi fanno perdere la freddezza che serve a fare le analisi di cui sopra.
Quindi non sono neppure più capace a far ragionare chi secondo me ha comportamenti umanamente  illogici. Come votare Berlusconi. 

Per me infatti resterà per sempre un mistero come sia possibile votare ancora Berlusconi nel 2013, dopo i vent’anni in cui lui, le sue televisioni, i suoi misfatti, incompetenze, bugie seriali, disordini morali, leggi ad personam, hanno ammorbato l’Italia sino a trasformarne la morale pubblica e privata e le categorie di giudizio, lasciandoci tra rovine e campi minati di cui non saremo facilmente in grado di fare la bonifica.
Il suo totale disinteresse per la ‘cosa pubblica’ (collegato alla massima cura dei suoi interessi privati) ha poi demonizzato un patto sacro e legittimo tra cittadini che sono le tasse.
Le tasse sono belle, sì, sono bellissime perché sono la solidarietà fatta materia.
Lui le condannate e sempre e solo alzate, tutelando gli evasori, ma solo per alimentare i privilegi della sua corte e pagare con i nostri soldi i propri errori. In parallelo ha scientificamente smontato l’educazione, università, sanità, ci ha lasciati allo sbando all’arrivo dell’Euro e ci ha portati a un passo dalla catastrofe nel 2011.
Per mia disgrazia, o fortuna, viaggio molto e da venti anni vengo deriso in ogni nazione per la presenza di B. sulla nostra scena politica. Ammetto che ciò mi pesa.
Nella maggior parte dei paesi civili un uomo così, col suo potere e interessi, datosi alla politica per evitare il carcere, neppure si sarebbe potuto candidare (a meno che non alienasse le sue proprietà o le desse in gestione a terzi col blind trust). Sarebbe bastato lo 0,1% dei suoi reati contro la morale, il fisco, la cosa pubblica, ma anche solo le cose dette (perché altrove le parole sono importanti) per cancellarlo per sempre dalla scena, in quanto indegno di rappresentare i cittadini.

giovedì 13 settembre 2012

Il papà manager (assente): Complementi di educazione per genitori (caso 2).


Nel mio percorso di gavetta genitoriale, dopo l'incontro con la nonna sussidiaria di qualche tempo fa, trovo oggi rilevante questa discussione avuta col padre manager.
Lui è un dirigente di alto livello che ha da poco superato i 60 anni. Mentre mi parla gesticola continuamente. Con me si è sempre molto aperto, gliene sono grato perché mi dà spunti di riflessione e neanche so perché lo fa. E' sempre incuriosito dalla mia scelta di fare molto il papà, a volte credo quasi che mi studi, o attenda il mio ripensamento, o chissà cos’altro. Di colpo mi dice: “Sai, credo di essere stato un padre molto assente e che questo abbia provocato danni profondi nei miei figli, e nella mia famiglia in generale”. La figlia grande ha 30 anni, il maschio 25. “Li ho lasciati in carico a mia moglie, una donna dura, religiosissima. Li ha educati lei. Io intanto guadagnavo in giro per l'Italia. Tanto. Avevo in testa il dovere di assicurargli un benessere duraturo e ricco. Gli ho comprato una casa ciascuno, e una casa al mare. Gli ho pagato ogni cosa”. Mi ha guardato come se fossi stato uno di loro: “Non ho fatto bene. Ho sbagliato. E ora è tardi”.
Non avevo nulla da dire.
“Tutta l’educazione, le basi che determinano come sarai da adulto, si concentra nei primi 5 anni dei bambini. A 10 hai già finito il tuo lavoro vero. Quello che viene è il raccolto o invece una inutile rincorsa a tappare buchi…” e ha proseguito lungo la strada delle occasioni perse. “Mia figlia è diventata una fondamentalista religiosa come la madre e si scontrano continuamente senza ascoltarsi. Il maschio è ateo e disinteressato a noi. Mia moglie ha il pallino della medicina naturale e loro si curano anche il raffreddore cogli antibiotici. In casa c’è sempre una tensione che ti vien voglia di uscirne… ma non posso dare la colpa a mia moglie, la colpa è solo mia che sono uscito troppo quando ci dovevo essere”. Ho solo annuito, prendendo nota.

domenica 20 maggio 2012

Sulla perdita della nostra innocenza.

Quello che mi fa più rabbia è la perdita dell’innocenza, la mia.
Non riesco più a pensare a un attentato mafioso o anarchico come tale, come a una violenza voluta da qualcuno per i propri interessi e per attaccare noi, che siamo lo Stato, che siamo il Paese e che siamo i buoni mentre loro, i cattivi, vogliono il dominio del terrore, come la Spectre dei fumetti.
Quando incontro gli austriaci, gli americani, i norvegesi, i tedeschi, mi rendo conto come loro credano che ci sia uno Stato che li difende, che pensa a loro, che fa i loro interessi, che ne accompagna benevolmente le vite quotidiane. Io non ci credo più, e questo mi fa arrabbiare, vorrei ci fosse un diritto all’innocenza.
Ho fessurato la mia innocenza a 9 anni quando le BR hanno gambizzato il papà di due miei compagni di classe alle elementari, un uomo giusto. L’ho spaccata pochi anni dopo sotto l’impatto  della bomba alla Stazione di Bologna, i cui echi macabri sono tuttora nella mia testa. L’ho spazzata via con le due autobombe destinate a Falcone e Borsellino, che mi hanno lasciato orfano della giustizia. Ne ho calcificato eventuali germogli rimasti coi fatti del G8 di Genova, una follia che mi impedirà per sempre di guardare a una divisa come a un simbolo di sicurezza. 
E allora nella mia testa l’attentato al manager dell’Ansaldo a Genova, la difficile reintroduzione del falso in bilancio, la bomba davanti alla scuola di Brindisi, il finto tentativo di suicidio di Bernardo Provenzano, il secondo turno delle amministrative, il PDL che perde il 40% dei voti in Sicilia, Beppe Grillo e il suo frinire scomposto, il Vaticano che non riesce più a tenere sotto controllo le bave dei propri interessi con la mafia e la banda della Magliana, diventano un gigantesco quadro di malaffare dove – come nella scena finale di Magnolia -  tutti cantano la stessa canzone stonata pur non conoscendosi, e non partecipando alle stesse malefatte, senza conoscersi ma rispettando il male reciproco come necessario.
Io questa canzone agghiacciante, stracciata dalle grida, schizzata di sangue e ipocrisia non la vorrei sentire mai più.
So che non cesserà solo perché lo voglio ma solo se io, con voi, con molti che mai conoscerò parteciperemo alla costruzione del futuro che vorremmo.
La mia innocenza ormai è andata nel vento, quella dei miei figli può ancora mettere radici.