Da più di un anno sono iscritto come cuoco a una piattaforma
di Social Eating. Nel mio caso si tratta di www.eatwith.com , nata in Francia, ce ne sono comunque diverse.
Ho fatto finora 6 cene. Sempre due commensali, tranne nell’ultima
che erano quattro. Per loro era sempre ‘la prima volta’ in un contesto del
genere, età tra i 35 e i 50, benestanti, amanti della convivialità. Si tratta di cenare a casa di sconosciuti di cui si sa qualcosa attraverso i
meccanismi di creazione di fiducia tipici dei social, con cui la naturale
riservatezza viene compensata dalla curiosità e dalla sensazione di poter
vivere qualcosa di unico. Qualcosa di totalmente diverso dal ristorante.
Adoro cucinare, ho spesso amici a tavola, sperimento anche quando
ceno da solo, cerco anche da sempre di capire come il cibo e la convivialità
generino dinamiche di relazione, accoglienza, affetto, comprensione. Ovviamente
in quei casi miei invitati sono ospiti,
al massimo si presentano con una bottiglia di vino o una vaschetta di gelato (oltre
che con un paio di amici invitati a sorpresa).
Nel socia eating invece le persone pagano per mangiare a
casa tua. Tu fissi il prezzo e la piattaforma che mette in contatto e gestisce
le transazioni ci aggiunge un 10% per il proprio servizio.
Il perché lo fanno e perché, le persone cucinano può a
grandi linee dividere il modello in due grandi categorie:
I social chef PULL
Il mio caso. Mi sono iscritto al sito con le mie credenziali
social, ho descritto l’ambiente della mia cucina, il fatto che a tavola
potrebbero ritrovarsi anche i miei pupetti, ho messo le foto di un po’ di
piatti possibili a titolo di esempio. Non faccio nulla di attivo, mi limito a
segnare le giornate in cui posso ricevere ospiti. Sono anche disponibile a
farli cucinare con me o a ipotizzare un giro mattutino al mercato assieme. Ogni
tanto mi arriva un amail “Pascale vorrebbe cenare da te il 27, accetti?”
Se tutto questo (unito alle recensione degli ospiti
precedenti) convince qualcuno, mi contattano. Se posso, il profilo di Pascale
mi convince, le sue eventuali richieste
sono di senso (es. ben accetti celiaci, astenersi vegani), accetto. Allora discutiamo
(poco) di menù e di quello che vogliono e
li aspetto nella sera e all’ora concordata.
Il prezzo è il costo degli
ingredienti per tutti i presenti al tavolo. Siccome poi offro assaggi, grappini
etc, il costo è spesso solo una parte del rimborso alla spesa.
I miei ospiti (massimo 4) arrivano assieme e tra loro
si conoscono sempre, sanno che sarò a tavola con loro con la mia famiglia a parlar di cinema, di Italia, viaggi, a dare consigli su
come godersi Roma, sui nuovi percorsi di Street Art a Roma, a rispondere
domande sul costo degli affitti nella mia zona, sulla provenienza dei porcini
che ho accoppiato al pesce spada, sui quadri che ho alle pareti.
Il cibo sarà una sorpresa per tutti i presenti.
Lo faccio non più di una
volta ogni due mesi, perché voglio dare il meglio, perché non è un gioco e loro
si meritano l’accoglienza di uno non annoiato, perché la mia famiglia deve vivere
la novità dell’ospite con entusiasmo. Sanno infine che faccio tutto questo anche
per poter parlare un po’ il francese, difficile da praticare a Roma.
I social chef PUSH
Sono cene più organizzate e che vanno molto di più incontro al mercato.
Ragionano dunque di
comunicazione, programmazione di cene, stagionalità.
Sulla piattaforma, una italiana perfetta allo scopo è anche www.gnammo.it , chi apre la propria casa a
ospiti presenta la cena, in una data da sé scelta, per un prezzo da fissato,
per un menù esplicitato per intero dal principio. Spesso si tratta di eventi aperti
a numeri maggiori (anche fino a 15-20 partecipanti).
Anche in questo caso, la reputazione conquistata con
precedenti cene favorisce la scelta e rassicura tutti. L’organizzatore rimanda
l’evento creato dalla piattaforma attraverso i propri social e con le proprie
mailing list. Vi è dunque un importante lavoro di comunicazione non presente
nel caso precedente da cui spesso dipende la riuscita della serata.
In questa tipologia il padrone di casa è straimpegnato e la
regia della serata deve essere più accorta e complessa, dedicando il tempo a
tutti, includendo i timidi etc. In molti casi questo è favorito dal fatto che le
cene sono a tema, o c’è l’ospite di riguardo (architetto, attore, …), magari
qualcuno suona.
Sono cene conviviali, dove i commensali tra loro spesso non
si conoscono e, anzi, usano l’occasione per allargare la cerchia delle
relazioni, sia in ambito professionale che amicale. Per questa ragione è più
bassa la presenza di stranieri, al tavolo si parla spesso italiano.
Responsabilità,
fiscalità, rapporti con i vicini di casa? E’ tutto poco definito nel
dettaglio. Sia chiaro: non si fa ristorazione ma si invitano persone a casa.
Finché non c’è
guadagno in chi ospita, si tratta di un contributo al costo della spesa. Per
chi invece guadagna e lo fa spesso esistono i commercialisti, le leggi e la propria coscienza.
Come per AirBnB, si stanno sviluppando forme assicurative ad hoc.
Come molte pratiche di Sharing
Economy, il social eating intercetta bisogni e necessità reali e la realtà è anni avanti
alla normativa, agli interessi corporativi, ai vuoti discorsi su certo turismo ‘esperienziale’ fatti dagli esperti di fuffa.
Porta turisti nelle periferie e riempie di ricordi i carnet di viaggio. È bello,
e mentre lo fai ti rendi conto che è intelligente, utile e mischia le idee
generandone di nuove.