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domenica 7 marzo 2021

Se la pandemia fosse un film.

Non si può continuare a dire che l’emergenza giustifica la disattenzione al Fattore Umano in questa pandemia. Si riconduce la perdita di lavoro, le morti, l'anafettività, la mancanza di libertà personali a fattori tecnici. Da mesi, tutti gli interventi si concentrano su fondi, ristori, vaccini, mascherine, sussidi, banchi: tutte dimensioni economiche, logistiche e sanitarie legittime ma insufficienti a sostenere la coesione sociale.


Già, la coesione sociale è la forza  che ci unisce nelle avversità, che mantiene i più sfortunati in relazione con la comunità e con le opportunità, che non spegne la speranza, che alimenta sogni e motivazioni. È il motore che muove a risolvere i problemi e non solo a competere per il proprio pezzo di pane.

Occorre una politica che riconsideri il ruolo della compassione, dell'empatia, il sostegno morale e psicologico, il corpo inteso non solo come oggetto da salvare dal virus ma patrimonio, protagonista, luogo della psiche.

Mi pare di vivere in un brutto film tutto muscoli e scazzottate, dove la regia non presta nessuna attenzione alle emozioni, e se non cambia la trama non prevedo lieti fine. Nella migliore delle ipotesi: saremo tutti vaccinati e arrabbiati perchè impauriti e soli.  

A volte mi sembra un film dove ciascuno decide quale genere debba avere la trama.

  1. Se amate il film d’Azione, vi consiglio di trovarvi a Roma ogni sabato verso le 18. In Piazza del Popolo va in scena la rissa tra bande adolescenti ben vestite e gioiosamente desiderose di far qualcosa di fisico, fico, instagrammabile e raccontabile nei fuori onda della didattica a distanza. Sono ragazzi isolati, impauriti, assenti dal discorso politico. Sembra quasi che nei talk show vi sia un dictat che imponga di non parlare mai di loro, del fallimento del sistema educativo, della solitudine. L’intero fondo Next Generation EU da noi è stato ribattezzato Recovery Fund, perché la parola ‘Generazione Futura’ suona forse scandalosa. Sono lì, senza scuola, palestre, serate, spazi propri, scoperte, sessualità. Stanno cambiando, come noi adulti ma senza la memoria sul passato: alcuni si interrogano sul futuro e attivano strategie di resilienza; altri scelgono l’isolamento, alcolico e virtuale; c’è chi viola le regole; chi si organizza per dire no; chi vuole solo essere ascoltato.
  2. Se amate il genere Paradossale invece fate finta di essere un alieno messo di fronte alla DAD in una scuola impreparata, abbandonata, non formata, non tecnologica, isolata da anni di politiche scellerate, corporazioni antistoriche, dove tutto è scaricato su alcuni professori volenterosi avviluppati da regole folli. Un mondo incapace di organizzarsi, che ha buttato l’estate a comprare banchi monoposto invece di dotarsi di infrastrutture e competenze digitali, che ha blaterato di uso di musei, parchi, cinema e teatri per far lezione e poi si è arresa e lascia cadere gli ultimi nel baratro dell’abbandono scolastico.
  3. Se comprendete il Surrealismo osservate da vicino quei musei e teatri e cinema che sono stati chiusi nonostante si fossero ben attrezzati per garantire servizi in maniera conforme, a differenza di autobus, negozi e centri commerciali insicuri e affollati. In Canada e in Inghilterra i medici possono prescrivere arte e musei per curare ansia e solitudine con la bellezza; da noi è stato avvilente sentire che senza turisti non serve tenerli aperti, offendendo la Storia dell’Arte, le migliaia di persone che lavorano nel settore e i milioni di italiani che credono che la cultura serva a trovare risposte, a godere, e non solo a fatturare tramezzini e cartoline made in China.
  4. Se sbavate per l’Horror invece provate a pensare cosa potrà succedere alla fine del blocco dei licenziamenti e alla fine della cassa integrazione: misure di certo doverose che hanno sospeso in una bolla centinaia di migliaia di persone e non si sono poste il problema di mantenerne accesi i cervelli, formarli alla transizione digitale, ai temi della sostenibilità. Migliaia di negozi chiudono e noi vediamo solo le merci spostarsi su Amazon, perdendo di vista chi le vendeva, chi presidiava il territorio, chi ha ceduto il progetto di una vita alle offerte delle mafie e degli usurai.
  5. Se amate la Distopia, buttate un occhio critico alla diffusione dello smart working senza regole. Con la fine dell’orario di lavoro, il controllo a distanza, la distanza dal senso delle proprie attività, l’assenza dello scambio, la mortificazione dell’innovazione, la ricerca delle scuse per andare ogni tanto in ufficio. Un mondo muore e mille micromondi cercano di trovare un equilibrio. Il sindacato boccheggia perché la perdita della relazione annulla la corporazione, e l’immaginazione è stata anestetizzata da decenni. 
  6. Se non disdegnate il genere Romantico, infine, immaginate come la fine del contatto stia influendo sulle nostre capacità affettive. Ovviamente è l’ambito in cui le regole sono meno rispettate e quello di cui non si parla, per pudore e ipocrisia. In Austria e Francia il governo ha proprio detto: se siete soli individuate due persone che decidete di frequentare, la vostra ‘bolla’. In tre per parlare, sostenersi, ridere, litigare e fare l’amore: perché siamo umani e non bisogna dimenticarlo.
Tanto è impossibile cambiare canale.

sabato 22 agosto 2020

Evidenze utili dal pianeta Austria

Le mie vacanze in Austria, all’apparenza pigre e paciose, portano sempre a considerazioni che sono utili per capire l’Italia. 

Gli highlight del 2020 sono stati:

  • Ricchezza: la vedi, la percepisci, traspare da gesti, abbigliamento, negozi, status simbol, superfluo che diventa necessario. È diffusa, al punto che qui la sinistra non esiste quasi perché non saprebbe davvero cosa rivendicare di più; il massimo che si possono permettere sono i Verdi. Il welfare è incredibile, così come i contributi alle famiglie. L’occupazione è quasi piena e la povertà la vedi quasi solo in relazione al disagio esistenziale (solitudine, separazioni, alcool e simili). La corsa al bio, all’organic, al tofu, al naturale è spasmodica e quasi ridicola; circolano bici elettriche da 4000 euro ovunque; Porche e Tesla come taxi in città; sensazione massima di sicurezza e tranquillità sempre. Nessuno però metterebbe un vestito di seconda mano, accetterebbe un prodotto usato (a meno che non sia una borsa fighissima, fatta con teloni di camion riusati e costi almeno 250 euro). L’evasione fiscale è quasi inesistente.  Certo, hanno i loro scandali finanziari, sessuali, aziendali ma ancora se ne vergognano se vengono beccati, come accadeva da noi prima di Berlusconi.   
  • Arredo urbano: le città sono facili, comode. Le persone sono rispettose del bene comune e questo consente arredi urbani bellissimi, panchine in legno, fontane di acqua fredda, nebulizzatori dall’alto nelle piazze più frequentate e più calde, un’infinità di spazi pubblici per il gioco e lo sport ad ogni età. Ci sono talmente tante ciclabili che immagini che qui Cappuccetto Rosso avrebbe attraversato il bosco in monopattino.
  • Croci: a bordo strada, sulle statali, ogni tanto trovi piantata una smagliante croce bianca. Ho pensato fosse qualcosa di analogo a quanto (abusivamente) si fa in Italia per ricordare qualcuno che in quel tratto è morto. No. È invece una nuova campagna per la sicurezza stradale che parla visivamente e sembra dirti “Ricordati che devi morire… e se non rallenti potrebbe capitare proprio qui”. Creatività e potere di condizionamento.
  • Semafori LGBT: a Vienna, in centro, alcune decine di semafori pedonali sono stati modificati e al posto dell’omino stilizzato abituale in questi casi si trovano: donne, coppie etero, coppie omo nelle versioni uomo-uomo e donna-donna. Mi è stato detto che fu fatto in occasione della finale Eurovision di alcuni anni fa. Poi, gradito dalla popolazione, è rimasto. Simpatico e simbolico.
  • Comunicazione:  vivono abbastanza in una bolla a cui sono stati abituati negli anni della Cortina di Ferro e che gli viene ancora bene per tenere fuori ogni elemento sgradito e dialogare solo con chi vogliono, con chi reputano pari o con chi pagano per i suoi servizi. L’altro giorno tra le 3 notizie date da un canale radio nazionale c’era “La famiglia Fritz ha trovato in cantina un serpente non velenoso lungo 20 centimetri”. Credo si colleghi direttamente al loro benessere: stanno benissimo e non vogliono sapere perché.
  • Covid19: sono disinteressati al tema. È quasi imbarazzante. Annunci roboanti su esercito alla frontiera col mondo e poi i loro numeri sono peggiori degli altri. La cosa interessante è che (a differenza dell’Italia) la comunicazione è tutta schierata a sottovalutare la cosa. Ad esempio: il numero dei casi oggi a Vienna è il triplo di Milano ma non li mettono mai in relazione; sono molto meno attenti a mascherine e simili appena si esce dalle città; da noi ogni giorno si pubblicano i dati per regione, per ASL, per tipologia… qui niente, solo un dato generale in un occhiello a pagina 6 senza confronti.
  • Psicofarmaci e Mastiti: le statistiche ufficiali legate al Covid19 riportano che nelle case di riposo è stato ridotto del 30% l’uso degli psicofarmaci da quando sono vietate le visite dei parenti; le stesse statistiche dicono che è andato a 0 il numero delle mastiti nei reparti ospedalieri da quando è stato vietato la visita alle donne che hanno appena partorito da parte di parenti e amici. Dati su cui riflettere.
  • Red Bull: cosa c’entra? Vi dico una cosa che non sapete: Mateschitz, il padrone della Red Bull è anche padrone di mezza Stiria e di tanta Austria e Germania. Un personaggio da profilo basso. Oltre all’azienda del toro rosso possiede montagne, laghi, autodromi, riviste nazionali, squadre di calcio in mezzo mondo, isole ai Caraibi, ristoranti di lusso. Un plurimiliardario ritenuto illuminato che proietta su un paio di generazioni austriache l’immagine Red Bull di una vita energizzata, edonsta, spensierata e facile.  Se glielo faccio notare, dai loro sguardi capisci che non si rendono conto di come i Mateschitz siano pericolosi, in un paese così piccolo hai la sensazione che possa diventare un vero ‘governo-ombra’.
  • Italia: ci vogliono bene, molti imparano la nostra lingua. È sempre un calore bello che mi fa anche sentire un po’ in colpa perché dopo tanti anni il mio tedesco è ancora piuttosto basico. In questi giorni, sono passati da “Vacanza in Croazia!” a “Tutti in Italia perché la Croazia ci ha raccontato bugie sul virus!”.
  • Alpeggi: anche qui però in molti sono rimasti a far vacanza in zona. Cosa c'è di meglio che andare in montagna e dormire in alpeggio? Uno dei temi caldissimi è stato quello delel famigliole con i completi firmati da 2000 euro, le bici da 4000 e i bastoncini da passeggio in carbonio che hanno invaso le valli sfraccicanden i cabbasisen a malgari e montanari che si sono assai arrabbiati: le mucche non gradiscono, i cani di città fanno casino nei pascoli, ... tornate a casa vostra insomma! 
  • Qualità della vita altissima: oltre la metà delle persone incontrate a Vienna non possiede auto di proprietà perchè in città non serve; una coppia di amici che si è trasferita lì 3 anni fa dopo 27 anni a Roma conferma “La qualità della vita è altissima, tutto funziona, tutto è semplice.” Passo e chiudo.

giovedì 21 aprile 2016

Addio a quel geniaccio di Prince.

Prince era un genio, io non lo sono di certo.
Mi piaceva tantissimo e forse neppure saprei dire perchè.
Forse perchè sapeva di essere un genio.
Ho visto un suo concerto a Milano nel '91 e potrei raccontare per ore il tema della serata per ognuno dei miei cinque sensi.
Anni fa, ho scritto un episodio del mio libro "Mangia!" (FBE Edizioni) in cui lui c'entra parecchio e mi fa piacere riproporlo per chi ama le piccole storie.

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Con Isabella ci eravamo dati appuntamento davanti al portone di Roberto. Di lì a poche settimane saremmo stati entrambi laureati e quella sera lui ci aveva convocato per darci il regalo. Ci presentammo a mani vuote su sua esplicita richiesta: desiderava tenere sotto stretto controllo ogni minimo dettaglio.
Suonammo all’ora convenuta.
Roberto ci aprì indossando un impeccabile grembiule in tessuto di Fiandra. Disse subito: «Scegliete un colore: porpora o giallo?»
Isabella volle il porpora. A me il giallo andava benone.
La tavola era apparecchiata con tovaglie di lino, bicchieri di cristallo, sottobicchieri in rame e posate preziose, per due persone.
Ci sedemmo. Davanti a me c’era un iris giallo e un calice di champagne. Per lei, un iris porpora e un cassis alle more, rigorosamente porpora anch'esso.
«E tu non mangi?», chiese Isa a Roberto.
«La serata è vostra. Qualcuno deve fare il lavoro in cucina.»
Avremmo pasteggiato senza di lui. Avrebbe fatto avanti e indietro dalla cucina per tutta la sera. Cominciò portando pane, acqua e vino porpora per lei, vino bianco (giallo) per me. Poi la cena prese il via e io ebbi pennette allo zafferano mentre a Isabella fu servito un risotto ai mirtilli.
La conversazione divenne subito frizzante. Avevamo da raccontarci cosa ci aspettavamo dall’avere finalmente una laurea in tasca, delle vacanze che stavano per arrivare. Ridemmo dei fidanzati assenti che Roberto ci aveva rigorosamente vietato di portare e che essendo sabato sera erano piuttosto incazzati.
Al momento giusto arrivò una trota gratinata al forno per me e un piatto di arrosto alle prugne per lei. Rabboccammo varie volte i bicchieri e provammo, senza successo, a coinvolgere Roberto nella discussione. Si defilò dalla sala schivando ogni lusinga. Col passare del tempo fu lui a guadagnare spazio nei nostri discorsi. Pur essendone i protagonisti diventammo il pubblico della cena da lui progettata.
«Finito?», riapparve molti bocconi e molte parole dopo, intenzionato a portare via i piatti e preparare la scena al dolce che, sapevamo, non poteva mancare.
Sorridemmo, abbandonati alle volontà dell’amabile burattinaio.
Mi posò davanti una coppa di gelato all’arancia guarnita da una semisfera di caramello intrecciato. Per lei ci fu una vaschetta di porcellana in cui era adagiato un aspic alle more con violette candite.
Affondammo i nostri cucchiai. In silenzio. Molte volte.
Mentre mi inebriavo di quella delizia, lo immaginavo in cucina appoggiato al tavolo che ascoltava il nostro silenzio sapendo di aver ottenuto quel che voleva. Sapeva di averci regalato quello che desideravamo, pur non sapendolo: una serata di sogno e verità.
Sbriciolai il caramello nel gelato mentre lui certamente godeva dell’averci rapito dalle nostre vite per tenerci in ostaggio nel suo mondo fatato.
Riprendemmo a parlare dopo il dessert.
Quando rientrò in sala, avevamo appena deciso di andare assieme a vedere Prince a Milano. I nostri rispettivi partner storcevano il naso davanti ai virtuosismi funky di quel geniaccio della musica nera che invece, scoprimmo quella sera, mandava un visibilio sia me che Isabella.
Roby sparecchiò e ci disse «È il momento del regalo».
Lo guardammo perplessi, «La cena è stata il più bel regalo che potessi farci!»
«C’è dell’altro. Cercate…»
«Dove?» chiesi.
«Davanti a voi.»
Davanti a noi non c’era nulla che assomigliasse a una scatola o a un pacchetto. Isabella alzò il suo calice e prese in mano il sottobicchiere. Lo girò. «A me piace regalare emozioni. Roberto». Era inciso sulla basetta di rame. Il mio era identico. «Bellissimo, grazie”, disse Isabella.
«È solo il biglietto. Cercate ancora.”
Non era rimasto davvero nulla, solo i vasetti di cristallo che contenevano gli iris.
«Ci regali il vasetto?», chiesi.
«No, quello è di mia madre. Ma ci sei abbastanza vicino.»
Afferrai il fiore. Spostai i suoi lunghi petali e capii: un taglierino affilato aveva aperto un nido nel pistillo e dentro c’era qualcosa.

Con dita ansiose sventrammo i nostri fantastici iris finché vennero alla luce due strepitose ametiste. Ovviamente gialla per me e porpora per Isabella.

domenica 25 ottobre 2015

Cos’è e come funziona il Social Eating.

Da più di un anno sono iscritto come cuoco a una piattaforma di Social Eating. Nel mio caso si tratta di www.eatwith.com , nata in Francia, ce ne sono comunque diverse.
Ho fatto finora 6 cene. Sempre due commensali, tranne nell’ultima che erano quattro. Per loro era sempre ‘la prima volta’ in un contesto del genere, età tra i 35 e i 50, benestanti, amanti della convivialità. Si tratta di cenare a casa di sconosciuti di cui si sa qualcosa attraverso i meccanismi di creazione di fiducia tipici dei social, con cui la naturale riservatezza viene compensata dalla curiosità e dalla sensazione di poter vivere qualcosa di unico. Qualcosa di totalmente diverso dal ristorante.  
Adoro cucinare, ho spesso amici a tavola, sperimento anche quando ceno da solo, cerco anche da sempre di capire come il cibo e la convivialità generino dinamiche di relazione, accoglienza, affetto, comprensione. Ovviamente in quei casi  miei invitati sono ospiti, al massimo si presentano con una bottiglia di vino o una vaschetta di gelato (oltre che con un paio di amici invitati a sorpresa).
Nel socia eating invece le persone pagano per mangiare a casa tua. Tu fissi il prezzo e la piattaforma che mette in contatto e gestisce le transazioni ci aggiunge un 10% per il proprio servizio.
Il perché lo fanno e perché, le persone cucinano può a grandi linee dividere il modello in due grandi categorie:

I social chef PULL
Il mio caso. Mi sono iscritto al sito con le mie credenziali social, ho descritto l’ambiente della mia cucina, il fatto che a tavola potrebbero ritrovarsi anche i miei pupetti, ho messo le foto di un po’ di piatti possibili a titolo di esempio. Non faccio nulla di attivo, mi limito a segnare le giornate in cui posso ricevere ospiti. Sono anche disponibile a farli cucinare con me o a ipotizzare un giro mattutino al mercato assieme. Ogni tanto mi arriva un amail “Pascale vorrebbe cenare da te il 27, accetti?”
Se tutto questo (unito alle recensione degli ospiti precedenti) convince qualcuno, mi contattano. Se posso, il profilo di Pascale mi convince, le sue eventuali  richieste sono di senso (es. ben accetti celiaci, astenersi vegani), accetto. Allora discutiamo (poco)  di menù e di quello che vogliono e li aspetto nella sera e all’ora concordata. 
Il prezzo è il costo degli ingredienti per tutti i presenti al tavolo. Siccome poi offro assaggi, grappini etc, il costo è spesso solo una parte del rimborso alla spesa.
I miei ospiti (massimo 4) arrivano assieme e tra loro si conoscono sempre, sanno che sarò a tavola con loro con la mia famiglia a parlar di cinema, di Italia, viaggi, a dare consigli su come godersi Roma, sui nuovi percorsi di Street Art a Roma, a rispondere domande sul costo degli affitti nella mia zona, sulla provenienza dei porcini che ho accoppiato al pesce spada, sui quadri che ho alle pareti.  
Il cibo sarà una sorpresa per tutti i presenti.  
Lo faccio non più di una volta ogni due mesi, perché voglio dare il meglio, perché non è un gioco e loro si meritano l’accoglienza di uno non annoiato, perché la mia famiglia deve vivere la novità dell’ospite con entusiasmo. Sanno infine che faccio tutto questo anche per poter parlare un po’ il francese, difficile da praticare a Roma.

I social chef PUSH
Sono cene più organizzate e che vanno molto di più incontro al mercato. 
Ragionano dunque di comunicazione, programmazione di cene, stagionalità.
Sulla piattaforma, una italiana perfetta allo scopo è anche www.gnammo.it , chi apre la propria casa a ospiti presenta la cena, in una data da sé scelta, per un prezzo da fissato, per un menù esplicitato per intero dal principio. Spesso si tratta di eventi aperti a numeri maggiori (anche fino a 15-20 partecipanti).
Anche in questo caso, la reputazione conquistata con precedenti cene favorisce la scelta e rassicura tutti. L’organizzatore rimanda l’evento creato dalla piattaforma attraverso i propri social e con le proprie mailing list. Vi è dunque un importante lavoro di comunicazione non presente nel caso precedente da cui spesso dipende la riuscita della serata.  
In questa tipologia il padrone di casa è straimpegnato e la regia della serata deve essere più accorta e complessa, dedicando il tempo a tutti, includendo i timidi etc. In molti casi questo è favorito dal fatto che le cene sono a tema, o c’è l’ospite di riguardo (architetto, attore, …), magari qualcuno suona.
Sono cene conviviali, dove i commensali tra loro spesso non si conoscono e, anzi, usano l’occasione per allargare la cerchia delle relazioni, sia in ambito professionale che amicale. Per questa ragione è più bassa la presenza di stranieri, al tavolo si parla spesso italiano.

Responsabilità, fiscalità, rapporti con i vicini di casa? E’ tutto poco definito nel dettaglio. Sia chiaro: non si fa ristorazione ma si invitano persone a casa. 
Finché non c’è guadagno in chi ospita, si tratta di un contributo al costo della spesa. Per chi invece guadagna e lo fa spesso esistono i commercialisti, le leggi e la propria coscienza. 
Come per AirBnB, si stanno sviluppando forme assicurative ad hoc.
Come molte pratiche di Sharing Economy, il social eating intercetta bisogni e necessità reali e la realtà è anni avanti alla normativa, agli interessi corporativi, ai vuoti discorsi su certo turismo ‘esperienziale’ fatti dagli esperti di fuffa. Porta turisti nelle periferie e riempie di ricordi i carnet di viaggio. È bello, e mentre lo fai ti rendi conto che è intelligente, utile e mischia le idee generandone di nuove.   

lunedì 27 ottobre 2014

Al ristorante con tanti bambini (caso 12)

Sono davvero simpatici i genitori dei bambini che frequentiamo. È bello prendere con loro un caffè dopo aver lasciato i pupi a scuola la mattina. Siamo anche andati al mare qualche volta, tutti assieme, ed è stato divertente. Allora accettate con slancio la proposta di quello che “Io conosco una pizzeria poco lontano, ideale per i bambini, che la fa con la lievitazione naturale, ha la scelta anche per i celiaci, i vegetariani e per gli allergici alla doppia Z. Organizzo per tutti questo venerdì sera?”

L’appuntamento è alle 8. Ti sembra già tardi per dei bambini di quest'età ma taci perchè per una volta vuoi essere compagnone anche tu. A parte voi, nessuno arriva al ristorante prima delle 8.45. 
Sono previsti 15 adulti e 17 bambini. I tavoli sono stati prenotati rigorosamente separati: da una parte gli over 30 dall’altra gli under 10. La cosa ha una logica che presto si manifesta non come "Così i grandi possono parlare tranquillamente" ma nella forma "Così i bambini possono fare quello che vogliono e i grandi passare il tempo a sparlare degli insegnanti che non lasciano fare ai bambini quello che vogliono". 

Quello che poi tipicamente accade dalle mie parti si articola in Fasi.

Fase 1: l’attesa dei ritardatari. Siamo già oltre le 9. I bambini sono nervosi e eccitati: si sono visti poche ore prima a scuola ma è come se si rincontrassero dopo un anno si leva a Kandahar. Manca ancora qualcuno; tu lo lasceresti al blocco del traffico, al rapimento alieno e ordineresti di corsa ma qualcuno lo giustifica con parole poco convincenti, altri spizzicano pane e grissini. Arrivano acqua, coca, vino scadente che neanche alle nozze di Cana, e nessuno sa esattamente da chi sono stati ordinati.
I bambini stanno ancora seduti e si limitano a urlare senza necessità 

Fase 2: ordinazioni e attesa della pizze. È l’unico momento in cui i genitori ammettono di avere procreato e si attivano per definire quello che i bimbi si porteranno alla bocca (che pare l'unica vera preoccupazione dell'adulto contemporaneo). È un fiorire di “Tesoro, lascia perdere la Capricciosa che poi non la mangi tutta”, “Caro, non l'acciuga che ti viene sete, no le olive che potrebbero avere il nocciolo, no le verdure che non ti piacciono”, “Facciamo che prendi una margherita e poi vediamo…”. Il grosso dei genitori sbraca poi ogni disciplina su pizze con wurstel e patatine, o salciccia e ketchup.
All’improvviso si materializzano due vassoi di olive all’ascolana, supplì, fritti di varia natura ordinati da sconosciuti, che hanno l’effetto di togliere ai nostri piccoli commensali ogni appetito e sono propedeutici al prematuro abbandono di almeno tre quarti delle pizze che verranno.

Fase 3: consumo del pasto. È il momento più bello, quello per cui siamo stati progettati e durante il quale l’egoismo può farla da padrone senza sensi di colpa.
Finita la propria capricciosaconrinforzodiprovolaeuovosodo i padri possono alzare lo sguardo verso i figli per pronunciare con tono asettico l’interessato “Non la finisci, vero?” prima di impossessarsi del farinaceo del minore. C’è un po’ di trambusto causato da quarti di pizza planati su abitini firmati o pavimenti piastrellati. Manca sempre una margherita con ananas, mentos e patate fritte che il pizzaiolo si è rifiutato di fare ma che il genitore esige come diritto dell’infanzia.

Fase 4: la coda lunga dell’evento. Le pizze sono finite. L’orologio doppia le 22. L’ammazzacaffè dei genitori sgrassa l’intestino e cola sui dolci confezionati o gli ancora peggiori tiramisù fatti dal pizzaiolo. I bambini sono ormai alla deriva nelle cucine, impazzano tra i tavoli, hanno elevato il livello acustico a quello del reparto carrozzeria della Fiat.
Hanno già indisposto il tavolo dell’addio al nubilato della procace Flaminia che si farà legare le tube, fatto rimandare la passione alla coppietta che è lì per la prima volta, causato lo spegnimento volontario dell’apparecchio acustico a nonno Mario accompagnato al tavolo di fronte per celebrare qualche remota ricorrenza.

Al ristorante con tanti bambini? E' contronatura.


Per chi volesse approfondire alcuni casi precedenti:                     

giovedì 18 aprile 2013

Appuntamento al buio a Matera: cronache da un'innovazione annunciata

Una settimana di co-living con degli sconosciuti? Non mi era mai capitato. Soprattutto ho raramente incontrato un gruppo di persone così talentuose e determinate nel perseguire il sogno di sviluppare lavoro e imprenditoria per dare benessere a se stessi, ai territori e alle comunità in cui operano. Tutto fatto in maniera sostenibile per l’ambiente, per l’economia e per le relazioni sociali. (Tra noi tecnici più  noiosi, questo slancio verso uno sviluppo post-crisi virtuoso e radicalmente differente è definito Social Innovation).
Ve lo narro dal principio: ho partecipato a un contest internazionale e sono stato invitato a vivere una settimana a Matera immerso per 24 ore al giorno con una comunità di innovatori che per qualche motivo mi ha identificato come interessante e utile alla propria crescita.
A questo cenacolo siamo stati ammessi in 10 di tutto il mondo, ospitati in 10 diverse settimane, ciascuno con un’area di competenza differente. Io ero lì per portare la mia esperienza in materia di interventi e progetti di sviluppo dell’economia e dell’occupazione, con un focus particolare sulla nuova Programmazione Europea per il periodo 2014-2020. (Vi sembra noioso? Malfidati, vi sbagliate).

In uno sfavillante inizio di primavera che sapeva già di estate, mi hanno accolto negli spazi di Casa Netural, che ha sede accanto alla Cattedrale di Matera. Da lì domina i Sassi e si fa dipingere ogni sera da straordinari tramonti. Questa associazione esiste da solo 5 mesi, ha già decine di associati e molti più partecipanti agli eventi. La conoscono tutti a Matera, nonostante sia stata fondata da due alieni: Andrea Paoletti – esperto mondiale di progettazione di spazi di coworking arrivato lì da Biella – e Mariella Stella materana, esperta in facilitazione dei processi e rientrata da pochi mesi in città dopo molti anni di vita a Roma. Casa Netural è così conosciuta e osservata da tutti  perché è essa stessa aliena alle logiche che governano il nostro Paese: persegue la qualità, misura l’impatto degli interventi, rifiuta l’assistenzialismo, è aperta a tutti coloro che vogliono scambiare idee, tempo, contatti, visoni.

venerdì 8 marzo 2013

Cartoline da Perugia: pensieri per l’8 marzo dedicati a donne speciali.

L’altro ieri ero a Perugia per lavoro. Tenevo un modulo di formazione sui social media a un simpatico gruppo di professioniste che per ascoltarmi rinunciavano pure alla pausa pranzo. Avevamo già riso del mio status di unico uomo nella stanza e delle pizzette esibite a centro tavola che avrebbero avuto solo dopo la formazione. Di colpo molti telefoni hanno cominciato a squillare. Uno, due, tre, e la prassi di non rispondere quando sei in aula è stata travolta da un’ondata di preoccupazione che ha mutato d’improvviso i loro sguardi, fino a quel momento coinvolti, interessati e a tratti divertiti.
Lo stupore per quelle telefonate si è trasformato presto in agghiacciante silenzio e poi in urla, lacrime, abbracci, parole e parolacce, crolli sulle sedie e brividi di paura: due donne, due lavoratrici, ben conosciute e amiche di molte delle presenti, dipendenti della Regione Umbria, erano appena state uccise a sangue freddo da uno squilibrato entrato nei loro uffici con una pistola carica e la voglia di uccidere e uccidersi.

giovedì 13 dicembre 2012

Da oggi in un mondo senza Maria Assunta.


Quel momento doveva arrivare. Lo aspettavo, con qualche brivido. Talvolta provavo anche a immaginarmelo. E ora: eccoci. Poteva essere lei, o lui, o io; in questi conteggi l’ordine è solo la natura del caso. La prima è stata Maria Assunta.
È la prima anima del mio gruppo di amici ‘storico’ che viene a mancare, e per me oggi qualcosa cambia. E' stravolta la vita dei suoi figli, dei suoi fratelli, dei suoi cari che dovranno crescere in un mondo improvvisamente diverso, crudo, meno affettuoso e per molti aspetti incomprensibile.
E mentre, piangendo, scrivo, realizzo che per me finisce quell’invincibilità che in verità non ci appartiene ma che ci cuciamo addosso in gioventù nell’illusione che il futuro non sia che un presente ripetuto all’infinito, con le stesse regole e le stesse certezze.
Maria aveva la mia età. Siamo stati compagni di scuola e di lì in poi abbiamo condiviso molti momenti e molte attività fino a oltre i vent’anni. Feste, campi estivi, scherzi, incontri più seriosi.
Poi le nostre vite si sono dipanate in direzioni autonome andando ulteriormente a arricchirsi di altri incontri, di amori, di figli. Non la sentivo da un po’ ma sapevo che era lì, come lì è tutto quello che gli anni hanno messo da parte per farci adulti. Rivedendoci, a distanza di anni, a noi bastava un sorriso e la vecchia consuetudine risintonizzava i nostri gesti e le nostre domande.
Credo che sia una ricchezza  senza pari quella di poter guardare a un certo gruppo di amici usando naturalmente il ‘noi’ per raggrupparli nello spazio e nel tempo.
No, non sono quelli 'più amici degli altri' (di quelli venuti dopo, incontrati sul lavoro, conosciuti nei viaggi o al corso di ballo) ma sono diversi perché hanno avuto parte di quel momento irripetibile che è la scoperta di noi stessi e della vita.
Per me Maria era in quel ‘noi’. Era una ragazza, pardon, una donna intelligente e autonoma. Sebbene tutti si sia ‘diversi’ per definizione, per me lei era più ‘diversa’ delle altre. La ricordo fiera e decisa anche quando le sue scelte di testa o di cuore facevano scalpore nel perbenismo che smorzava ogni acuto del nostro microcosmo di allora. Grazie a lei e a altri facenti parti di quel ‘noi’ così importante ho fissato i miei valori, definito i miei punti di vista, capito cosa avesse davvero senso e cosa fosse solo conformismo, cosa meritasse la mia rabbia e cosa solo una distratta alzata di spalle.
Da oggi c’è il primo vuoto in quel ‘noi’, uno spazio incolmabile e allo stesso tempo per sempre inviolabile. Perché se il senso del sacro ha qualche ragione di esistere, per me è proprio quella di farci riconoscere l’unicità e il valore perenne di ciascuno.
Maria mi manchi.