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lunedì 12 agosto 2013

Italia 2013. Estate in un Paese anormale.

Come forse parecchi di voi, sfrutto le vacanze anche per ragionare su cosa stia succedendo in Italia. Cerco di fare chiarezza delle condizioni di fondo della nostra società. Sapete, odio vivere ‘a mia insaputa’.
Dall’estero sono subissato da domande di stranieri che vedono il nostro Paese molto più nudo di quello che ci immaginiamo. L’incredulità che li faceva sorridere dal 1994, la grassa ironia sul presidente scopaiolo, sono ormai superate da un misto tra la pietà e la preoccupazione.
Ritengono indegno che in un momento di crisi così profonda gli abitanti di un paese civile (che loro amano spesso più di noi) siano ancora ostaggi del ventesimo secolo e scoprono come i tumori nella nostra democrazia siano profondi.
Io non so”, potrei parafrasare Pasolini. Io non conosco i mandanti delle stragi né chi sta dietro alle riforme volutamente mai riformiste. Nel mio piccolo, colgo però molte evidenze che messe una vicina all’altra disegnano un quadro possibile forse non lontano dalla realtà.

In un paese normale (non virtuoso né di particolare moralità) gente come Verdini, Formigoni, Polverini non siederebbe in Parlamento ma su una panchina al parco, se non su uno sgabello di qualche carcere sovrappopolato. Personaggi come Calderoli e Bossi sarebbero cacciati dai locali pubblici.  Tristi figuri come D’Alema, Santanché o Rutelli verrebbero avviati a lavori socialmente utili. Teorici della fuffa come Di Pietro, Cacciari o Grillo sarebbero eclissati sul nascere dall’ombra di chi le idee le ha davvero. Ma così invece non è.

In un paese normale, specie se con l’acqua alla gola come il nostro, le cose da fare sembrerebbero ovvia conseguenza di quelle che andrebbero anche dette con maggiore frequenza (e non solo nello spazio opportunista di un comunicato stampa).

  • Dire che le riforme del mercato del lavoro sono puri esercizi di stile se non si ha il coraggio di definire politiche di sviluppo parrebbe logico ma purtroppo abbiamo più giuslavoristi disoccupati e aspiranti stregoni che fiducia per chi ha idee su cosa fare di questo Bel Paese. A forza di fantasticare su chimere come il reddito minimo dimentichiamo di costruire il nesso tra reddito e lavoro. 
  • Dire come occorra investire sul Made in Italy, sulla cultura, sul turismo, sull’enogastronomia, sulla meccanica di precisione, sulle energie alternative sembrerebbe pleonastico ma rimane nel libro dei sogni. Dire come occorra dare un taglio all’acciaio, alle lavorazioni inquinanti, alle opere inutili, alla costruzione di autostrade maremmane, all’edilizia indiscriminata, sarebbe già un passo, poi occorrerebbe agire di conseguenza.
  • Dire che occorre introdurre meritocrazia, trasparenza e qualità nella Pubblica Amministrazione  ha l’ovvietà della sciocchezza, eppure non si sente da nessuna campana. Dire che ai pochi bravi e motivati vadano riconosciuti i meriti e resi i pilastri di un rinnovamento che non deve neanche per forza passare per il taglio di teste, è solo parte del buonsenso che nessuno frequenta.
  • Dire che occorre che tutti paghino le tasse (anche per pagarne meno tutti), e fare in modo che ciò sia possibile, usando il buon senso e qualche banale sistema di intelligence è nell’abc del bilancio della massaia ma purtroppo le massaie non diventano mai ministri.
  • Dire come occorra abolire ogni incentivo alle imprese per passare invece a rendergli la vita più facile diminuendo la pressione fiscale, i bizantinismi normativi, e snellendo burocrazia e procedure, è talmente banale che lo dice pure Confindustria, forse però solo per schiarirsi la voce.
  • Dire che l’avere svariati corpi di polizia, con innumerevoli livelli di comando, deleghe sovrapposte, uffici, distretti e sistemi ottocenteschi impedisce agli stessi di funzionare e di rendere conto alla collettività. Una follia questa dispendiosa e pure pericolosa.  Semplificare parrebbe solo un’applicazione del buon senso ma, si sa, i diritti sono di chi li ha è può difenderli anche con le armi.
  • Dire che la scuola e l’università debbano assumere un ruolo e un’importanza degna alle sole istituzioni capaci di plasmare il nostro futuro collettivo è il minimo per un paese che si definisca ‘civile’ e se immagina il domani guardi ai nipoti e non ai Gratta e Vinci.
  • Dire che la nostra incapacità di programmazione e spesa dei Fondi Europei è seconda solo all’assenza di un progetto per il futuro e all’incapacità di decidere  spingerebbe a rivedere logiche e organigrammi. Significherebbe ascoltare per decidere, magari scontentando qualcuno. Ma ciò è impensabile senza coraggio.
  • Dire che i diritti di tutti vanno tutelati fa sempre figo ma poi occorrerebbe smetterla con i distinguo quando tra questi  ‘tutti’ si vogliono mettere anche i carcerati, i profughi, gli omosessuali, i rom, giusto per citare alcuni.
  • Dire che l’assenza di coraggio, di capacità, di idee, sia da addebitarsi a fattori esterni come ‘la crisi’ è riduttivo e fuorviante. Sappiamo fare poco ma dedichiamo molto del tempo disponibile a costruirci alibi che ci assolvano dalle responsabilità politiche e da quelle storiche.  

Quello che ho scritto fin qui non è parte di alcuna fine analisi di cui non sarei all’altezza. È semplicemente ovvio.
Ma allora, perché non si agisce di conseguenza?
Qui vale la pena ragionare con più calma. Vedo tre questioni prepolitiche che ci pongono tra i paesi a ritardo di sviluppo democratico  
  • Il punto di equilibrio su cui fanno perno tutte le attività di quella che definiamo “politica” è il ricatto. Da quello morale a quello economico, da quello professionale a quello sessuale. Nel Pdl quasi tutti ricattano B., ciascuno per la parte di esperienza avuta con lui, e dunque lui non può prescinderne per galleggiare anche se evidentemente li schifa e preferirebbe farne pasto per le proprie piante carnivore. D’altronde si è scelto lui dei complici che sono diventati ricattatori o degli incapaci da ricattare a sua volta con l’incubo di farli tornare nell’anonimato che gli è proprio. A sinistra il ricatto è forse meno grossolano, più bizantino, passa per le belle parole e schiva idee e posizioni ferme, al massimo dispensa ‘opinioni’, merce in perenne trasformazione e ottima per galleggiare in assenza di proposte.  

  • L’incompetenza è considerata un valore. A destra la competenza non è richiesta tranne che agli avvocati che devono difendere il capo, accusando il Paese di essere causa e mandante dei suoi reati, e costruire i dossier di cui ai ricatti precedenti. A sinistra la competenza è vista con sospetto da chi ha letto qualche libro una ventina di anni fa, quando ancora sembrava utile che un politico ne capisse di qualcosa, e ritiene ancora che quello che ha letto rappresenti la realtà. Il fatto poi che la competenza sia talvolta prerequisito per l’autonomia di pensiero mette in crisi tutti gli schieramenti. Quando l’incompetenza è unita a una certa flessibilità sui valori morali, ecco che il candidato è ideale per essere clonato ai posti di responsabilità. Sono ovunque banditi gli intellettuali, che spingendo il ragionamento nella complessità del reale possono mettere in discussione obiettivi e strategie; si preferiscono i consulenti, robot prezzolati al servizio di disegni di piccolo cabotaggio, e gli opinionisti, megafoni a intensità variabile di chi li arruola. 

  • Sono altri a governare. È il punto di arrivo. Perché non è vero che il paese è ingovernato, anzi. Più passano i mesi più il disegno di chi ci governa diventa evidente. Non sono un complottista, solo un osservatore. In un’Italia debole e immobile che affama fasce sempre più ampie di popolazione tutto è in vendita. Il prezzo è giusto per chi ha i soldi per acquistarla. Per le mafie, tutte, a prescindere dal nome. Con la loro smisurata disponibilità di denaro si prendono bar, musei, ristoranti, isole, palazzi, sanità, università, panifici, grandi marchi, supermercati, aeroporti, anime. Lo fanno in centro e in periferia, sotto casa mia e vostra. Tutto è alla portata se hai disponibilità cash infinita per comprare, magari in nero da qualcuno con l’acqua alla gola, volente o nolente. L’opinione pubblica, depravata anche per necessità e alienazione, è fin contenta di sapere che nelle sale degli Uffizi si potranno organizzare matrimoni o che parte dei suoi magazzini si potranno svuotare per far spazio a un casinò. I reperti vanno così all’asta e i sogni sono messi in vendita col gioco d’azzardo. Magari vi è sfuggito, ma sappiate che nel 2012 il giro legale del gioco in Italia è stato di oltre 80 Miliardi, oltre 1.300 euro a testa, infanti compresi. Direi che il compromesso Pd-Pdl con la benedizione di Monti e Grillo sia dunque l’ideale per non disturbare il timoniere.

Conosco almeno cinquanta persone che potrebbero fare il ministro meglio di chi è oggi investito del farlo. Alcuni si chiamano Stefano, Paola, Giorgio, Angelo, Silvia, Roberta, Michele, Giovanni, Paolo, Massimo, Francesca, Mariella, Andrea, Valter, Ines, Guido, Isabella, Alessandro, Barbara, Diego, Luana. Filippo, Ferruccio, Silvia, Alessia. Hanno cognomi che non conoscete e non conoscerete mai.

Non sono ricattabili, sono competenti, hanno visto il mondo, conoscono l’Italia, sanno gestire e dialogare e dunque non hanno nessuna delle caratteristiche adatte a evitare la ripresa, a lasciare il paese in mano alle mafie. Molti di loro sono nel pieno della loro capacità intellettuali e  professionali, hanno idee, pensano in grande, saprebbero cosa fare. Nel frattempo lo fanno per se stessi e molti, quando li incontro, li vedo sempre più distanti dal Palazzo e più vicini ai confini. A loro insaputa, inclusi nel solo grande progetto governativo che funziona fin dai tempi del vate Licio Gelli, quello di eliminazione morbida dei cervelli non allineati, quello che a Berlusconi diede la tessera P2 numero 1816. 

martedì 30 luglio 2013

Sarà l’estate del ‘Fare’.

Questa è a detta di tutti l’estate del ‘Fare’. Diventa più problematico definire del ‘Fare’ cosa.
A me il ‘Fare’ affascina più di tanti altri verbi fumosi. Provo allora a mettere in fila cosa questo significhi, e a darne una lettura che trasmetta il valore di questi tempi.
Innanzi tutto non riesco a non pensare ai 3.200.000 disoccupati che hanno poco da ‘Fare’. Sono flessibili, si sa, e possono magari Fare melina, Fare tardi la sera (tanto la mattina possono dormire), Fare la coda all’ambasciata americana per ottenere la Carta Verde, Fare quello che possono per tirare avanti, Fare corsi di formazione senza sbocco, Fare finta che tutto vada bene, Fare quello che gli dicono, Fare il contrario di quello che vorrebbero, Fare ombra ai propri desideri.
Intanto Papa Francesco ha deciso di ‘Fare’ una bella gita fuori porta a Lampedusa e ha ribadito la linea del Vangelo su accoglienza e solidarietà. Ci ha messo tanta forza che metà della politica cattolica si è arrampicata sulle pissidi per non ammettere di aver usato quelle pagine della Bibbia per accendere il camino. Poi è andato a ‘Fare’ la scampagnata in Brasile, tenendosi ben stretta la borsa, sollevando più di un “Ohhh!” stupito tra chi pensava che favelas e povertà fossero fuori moda nel 2013. Francesco, vuole anche Fare chiarezza sullo IOR ma chissà se glielo faranno Fare.
A Londra due giovinastri incoronabili hanno deciso di ‘Fare’ un bambino a lungo innominato che ha generato una ola che dalla sala parto è arrivata alle bianche scogliere di Dover. Stampa, tv, media, hanno già provato a Fare santo subito il pupetto reale, probabile sovrano nel 2060 con delega su Kingdom Centauri ai confini della galassia.
Il nostro governo poi ha chiamato un provvedimento Decreto del ‘Fare’. Semiotica e Scienze della Complessità stanno cercando di capirne le ragioni. Poi si è lanciato nel Fare il lifting alle Provincie, prova a Fare molto fumo sulle sigarette elettroniche, decide di Fare fuori il cinema italiano, dimentica di Fare qualcosa (di sinistra, destra, sopra o anche di sotto) per i 3.200.000 di cui sopra oltre che aprirgli il wi-fi gratis.
Agli evasori e alle mafie invece si concede di continuare a Fare quello che vogliono. E' a loro che lasciamo Fare il miglior Made in Italy.
Gli editori quest’anno però non sono riusciti a Fare uscire il libro dell’estate. Sì, provano a Fare cassetta con titoli labirintici come ‘La cattedrale del profeta misterioso’, ‘ I papiri stropicciati del Mar Morto’, ‘Scusa se ti sogno al mare’, ‘Un sogno buio come il latte’, ‘Vi ho visto Fare un nano in marzapane’. Ma gli italiani leggono sempre meno, e non perché devono Fare tutti l’esame della vista. Già... i sospiri goduti che l’anno scorso ci hanno fatto Fare le ‘50 Sfumature’ stavolta non tracimano più da sotto gli ombrelloni dove si nota invece una ripresa del Fare le parole crociate: 2 Euro di certezze e grande catalizzatrici nel Fare gruppo. “3 verticale: Produrre, Costruire, Dar vita a qualcosa”. “Fare!” appunto. Anche se non siamo molto capaci.

La logica della complessità, ci dice che dopo l’estate del ‘Fare’ dovrebbe arrivare l’autunno del ‘Baciare’, di ‘Lettera’ a Babbo Natale per l’inverno poi, e ‘Testamento’ finale col logo della BCE in primavera, dove poi dal letame nasceranno i fior e il ciclo ripartirà dal ‘Dire’ che è sempre un piacere. 

martedì 16 luglio 2013

Ho incontrato una Snowden all'amatriciana.

Aveva delle tette così esplosive che avrebbero da sole meritato un posto al Louvre degno delle 'O' di Giotto ma presto le dimenticai, travolto dall’interesse per il suo lavoro, per me, ai limiti dell’incredibile e della legalità.
La chiamerò Laura. L’ho conosciuta in un pub qualche anno fa. Quella calda sera d’estate la mia attenzione oscillò per un po’ tra le sue tette e quello che diceva, e ero incredulo per entrambe. Per inquadrare simpaticamente il suo lavoro usò dapprima parole vuote ma suggestive tipo “Mi occupo di business intelligence”, “Cose da web semantico”, “Analizzo big data” poi incalzata, e forse lusingata, dalla mia conoscenza del ramo – e da qualche birra di troppo - svelò via via maggiori dettagli.
“Ad esempio”, mi disse. “Lavoriamo molto in periodo elettorale, nelle zone in cui il risultato è incerto, dove magari 1000 o 100 voti fanno la differenza per un seggio.” Si prese una seconda birra bianca, “Noi sappiamo tutto  di ogni elettore.”
“Di chi?” dissi, ingenuo.
“Anche di te”, rise. “Sappiamo che auto hai, se l’hai pagata e come, che ristoranti frequenti, gli hotel. Ogni cosa sulla tua casa, le tue multe, i tuoi debiti. Seguiamo e incrociamo le informazioni dei tuoi conti, del tuo gps, della carta di credito, il bancomat, gli acquisti on line, le donazioni a Emergency, musica scaricata, ebook letti.”
“Ma è legale?” balbettai.
Laura oscillò tutta sullo sgabellino del bancone prima di parlare. “Le singole basi di dati sono acquisite in modo abbastanza legale. Sono in vendita e noi li usiamo. Niente lo vieta, a oggi. La qualità dei risultati dipende solo dalla capacità dell’analista nell’incrociare i numeri. La potenza di calcolo non è più un problema.” Lo sguardo di Laura scintillava: quello era il suo campo.
“Sono un matematico” le dissi per farle capire che potevo apprezzare le sue confidenze per il valore che avevano. Lei sorrise.
“E cosa potete fare con questi dati?”
“Tutto”, era molto sicura di sé. “Prevedere comportamenti di acquisto o di voto, che poi sono la stessa cosa, e simulare gli effetti di azioni di condizionamento. Possiamo sapere se sei interessato a un corso di inglese, un massaggio, un viaggio a Bali con sessioni di yoga.”
“Quindi più uno e poveraccio e più voi siete disinteressati a lui?” provai a sdrammatizzare.
“Non noi. I nostri clienti. Comunque anche i poveracci votano…” e la sua anima sociale, si vedeva, non era legata alla difesa delle garanzie democratiche ma alla forza del mercato. “E poi”, aggiunse Laura illuminando gli occhi color miele, “i poveracci sono quelli che interessano di più alle polizie. Sono quelli che fanno casino e disturbano i mercati. Sono utilissimi anche loro.”

È come del porco: dei dati personali non si butta via niente. 

mercoledì 10 luglio 2013

Un cuore di panna per meeeeeeeeeeeeeeeeee!

Ho uno spirito critico corazzato da una patina di cinismo. Non si accontenta di essere distaccato dai fatti e pignolo nelle valutazioni ma ama mettere un po’ di cattiveria nei giudizi.
Questa serena freddezza mi ha sempre difeso dalle suggestioni facili e dalle infatuazioni di una sera. Per impressionarmi occorre forare strati di scetticismo. Ovviamente, bucata la corazza mi lascio completamente andare e la deriva della ragione diventa totale.
Nonostante molti altri amori mi abbiano accarezzato il cuore, sono stato soggiogato in tenera età dalla seduzione del Cornetto Algida.
Lei era la ragazzina che pubblicizzava il cuore di panna che il Cornetto raccoglie. Capelli castani, occhi neri. La conobbi in un spot e ciò mi bastò. Per trenta secondi fummo io e lei, lei e me, io sul divano e lei nel monoscopio, e furono i tormenti, le gioie e la passione.
Era sdraiata sulla spiaggia. Morbida, con indosso un costume scuro. Improvvisamente qualcosa attirava la sua attenzione. La ricordo voltarsi, con la canzone di sottofondo che sussurrava: «Se quello che cerchi, è un cuore da amare» (Sì, sì, lo cerco. Oh, come lo cerco!). I suoi occhioni scuri e le lentiggini. «Un piccolo cuore per farti sognare» (Che piccolo cuore e che belle piccole tette, e all’uso neanche troppo piccole!). Veniva poi lo sguardo stupito e innamorato di lei verso di lui (uno sfigato qualsiasi che avrei potuto essere io). La musica in crescendo «un sogno d’estate. Un cuore di panna troveraiiiiiii».

E i due correvano uno verso l’altro e poi si abbracciavano (e io sorridevo ogni volta come uno scemo). Finiva sempre che mangiavano il Cornetto e io in quel trionfo di gelato non riuscivo più a distinguere quali fossero i preliminari, quale il climax, quale il messaggio. Allora, appena potevo, lo compravo e lo mordevo: era strabuono, più imitato della Settimana Enigmistica e del ciuffo di Elvis Presley.
Ancora oggi, quando la corona di cioccolato e nocciole o quel culo appuntito ripieno di fondente mi scrocchiano tra i denti, mi chiedo come possa ogni volta ripetersi quell’emozione. Allora chiudo gli occhi, penso alla moretta con le lentiggini, e mi sazio della certezza che l’esistenza del Cornetto sia la sua prova di fedeltà eterna.

martedì 25 giugno 2013

Un mondo diverso è possibile (con i soldi Europei?)

Evito solitamente di parlarvi del mio lavoro, perché è molto tecnico e piuttosto noioso per chi non abbia un'ora di tempo per ascoltare e una malsana passione per la complessità. Può bastarvi sapere che da venti anni lavoro con le Istituzioni e la Pubblica Amministrazione nel costruire servizi per il lavoro e dello sviluppo economico attraverso Fondi e Politiche Europee. Nonostante ciò, penso valga la pena continuare a leggere :-)

Fin dall'inizio mi sono scontrato con il fatto che le Istituzioni in media non desiderano né idee né novità. Con le mie orecchie ho sentito funzionari strapagati dire in pubblico e senza pudore  "E' 20 anni che finanzio l'innovazione e non ho ancora capito di cosa si tratti."
In fondo, ci sono stati anni (almeno fino al 2008) in cui gli sprechi di soldi pubblici facevano notizia per pochi minuti perché il sistema economico funzionava nonostante le inefficienze, in parte addirittura le alimentava ad arte per falsare il funzionamento dei mercati e l'ingresso di concorrenti non graditi.

Vi informo ufficialmente che sta succedendo qualcosa di finora impensabile. Per la prima volta le torri d'avorio della politica e della burocrazia hanno calato i ponti levatoi e stanno chiedendo di portare a loro idee e soluzioni. Cercasi anche strategie e tattiche. Magari anche spiegazioni e pacche sulle spalle. E' un fiorire di Concorsi di Idee, Tavoli di Partenariato, Coprogettazione, Coinvolgimento. Non sanno che pesci prendere, hanno capito che qualcosa deve cambiare, che almeno occorre dare questa sensazione, che gli unici soldi veri sono quelli Europei. Il problema che in Europa si sono stufati di considerare l'Italia tra i paesi in cui il denaro  si usa come foraggio e non come seme. Da Bruxelles hanno detto chiaramente che qui da noi ci sarebbe bisogno di un modello di sviluppo differente, magari più equo e efficace.
Bello, vero? Abbiano annuito. Purtroppo ormai però il sistema stesso a cui si rivolgono è disabituato a pensare, risolvere, lavorare per obiettivi, affrontare questioni reali. C'è un analfabetismo dei fondamenti  della coesione sociale, dello sviluppo del territorio, della felicità, del mercato del lavoro, che lascia sgomenti prima ancora che preoccupati.
Le rappresentanze delle Imprese e dei Lavoratori, disabituate a questa apertura nel merito dei contenuti, non sanno cosa dire e chiedere tranne che ammortizzatori sociali, incentivi, aiuti a fondo perduto. Sono consapevoli di un mondo che affonda e al massimo riescono a immaginare salvagenti, ma mai rotte da seguire per raggiungere porti sicuri e terre sognate. Frequentando i tavoli e i luoghi dove si dovrebbe sviluppare questa rinnovata partecipazione capisci subito come il 'sistema delle rappresentanze' non rappresenti più nulla: le aziende non si iscrivono più alle associazioni di categoria così come i sindacati sono polmoni senz'aria. Ma i riti prevedono che chi decide consulti loro per deliberare i propri interventi. Ai tavoli di discussione vengono sbandierate ingenue utopie che alternativamente si possono chiamare "Reddito minimo garantito" o "Privatizzazioni", che stanno all'uscita dalla crisi come una caramella balsamica sta a una polmonite.
Nessuno che parli mai di mercati che cambiano, di giovani talenti da valorizzare, di come i consumatori si comportino differentemente, di specializzazione dei territori, di economia della condivisione, di internazionalizzazione del pensiero e dei mercati. Nessuno che applichi il realismo al futuro per renderlo sostenibile in tutti i sensi.
Ascolti le università proporsi come risolutrici di problemi: fate fare a noi l'analisi del contesto economico, la rilevazione dei fabbisogni formativi delle imprese, la progettazione degli interventi, la programmazione della formazione, la valutazione exante, expost, come se una qualsiasi di queste funzioni fossero state capaci di svilupparla per se stessi, per i propri corsi di laurea che generano illusioni e vedono il mercato del lavoro da un altro sistema solare.

C'è bisogno di idee. Qualcuno le ha, alcuni li vedo e li conosco, ma qui nessuno si fida di nessuno. Poi, manca la fiducia che in questa ricerca di idee e soluzioni ci sia vera voglia di fare e cambiare, da parte di un sistema facilmente incapace pure di capire le proposte che gli fai e senza il coraggio di realizzarle.
Sappiatelo: le idee e i progetti costano fatica, sforzo, rinunce. Chi ha idee di valore vorrebbe magari avere qualcosa in cambio e non metterle lì per un generico "bene della società", per  qualcuno che quasi certamente si farà bello senza neanche un "grazie". Altrimenti le porta altrove, le rivende o le insabbia nell'accidia fino a farle diventare rimpianti per la collettività. 
Come stiamo diventando brutti. Lo so. Non me lo dite che me o dico già da solo.

giovedì 13 giugno 2013

I Saggi di fine anno: Complementi di educazione per genitori (caso 9).

Tratterò qui di quella serie inevitabili di eventi paraeducativi che con la scusa di rendere visibile al genitore le fasi della crescita dei suoi bambini, servono nei fatti a giustificare come mai il corso di musica per un infante di 6 anni costa come le rate dell’utilitaria, il corso di teatro per un salamotto di 4 come un palco stagionale all’opera, la danza per una goffa pupottola come l'intera caldaia di cui stai rimandando da 3 anni la sostituzione.
Sono eventi importanti che si svolgono in gran parte nelle scuole, poi nelle palestre, centri sportivi e altri luoghi solitamente inadatti a umani alti più di 110 centimetri.
Le indicazioni principali che l’esperienza consiglia  sono:

Bisogna esserci: gli/le insegnanti mettono così tanta enfasi nell’evento che il trauma nel bambino per una vostra assenza è ogni volta paragonabile a quello che voi provereste se vostra madre fosse dalla parrucchiera invece che davanti alla tv nel momento del vostro atterraggio su Marte.  

Occhio all’effetto ‘scarrafone’: il/la vostro erede farà più o meno quello che ci si aspetta da un minore della sua età, inclusa una certa propensione a dimenticare tutto, smoccolarsi, andare fuori tempo, annoiarsi almeno quanto voi. Ma non lo noterete, sarà invece tutto bellissimo. L’evento sarà di una banalità prevedibile come i superlativi che poi userete descrivendolo ai nonni e parenti. (“Devi vedere come balla!”, “E’ un attore nato!”, “Un talento naturale!”, “La migliore del suo corso”)

Foto e video: il comportamento dei genitori (specie dei padri) dotati di smartphone, video, fotocamere, nell’epoca della riproducibilità dell’immagine segna questi eventi come veri set. A essi l’oblio non è consentito. Alla memoria non è concesso il dono di rendere tutto memorabile davvero. Il mezzo diventa il messaggio. Senza  la foto il travestimento da antico romano non vale nulla, l'investimento nel tutù non viene ammortizzato, il balletto non è esistito. Le immagini sfocate e mosse della banalità infantile saranno poi la base dei vostri racconti densi di superlativi e esclamativi.   

I Bambini: non vedranno l’ora che sia finita, non vorranno rivedere le foto, né fare le foche quando chiederete di ripetere il saggio in presenza di estranei. Il fatto che dobbiate esserci non vi autorizza però a considerare l’evento più importante di un qualsiasi altro giorno, per loro ugualmente importante. Mi raccomando, fate in loro presenza complimenti anche agli altri bambini affinché quello che coltiviate in tutti sia autostima e non narcisismo.



Per chi volesse approfondire i casi precedenti: 

mercoledì 12 giugno 2013

Non di soli spremiagrumi vive il design.

Alessi, noto marchio del design italiano, ha lanciato in questi giorni il progetto “Buon Lavoro – La Fabbrica per la Città”, un’iniziativa promossa in collaborazione con il Comune di Omegna, che prevede la destinazione di un significativo numero di ore di lavoro dei dipendenti ad attività di utilità sociale sul territorio, da oggi fino a novembre 2013. La scelta strategica di mantenere una parte rilevante della produzione in Italia, che la Alessi ha fatto nonostante la crisi, comporta anche la necessità di gestire il difficile equilibrio tra domanda e offerta produttiva.
Ci sono stati i periodi di vacche grasse e ora l'azienda vive un certo rallentamento del mercato. 
Licenziare? Mettere in Cassa Integrazione? No, affatto.
In una reale ottica di condivisione del valore creato col territorio di appartenenza,  286 i dipendenti – operai, impiegati e dirigenti - hanno volontariamente deciso di aderire all’iniziativa, quasi l’85% del totale. Ognuno di loro ha destinato al progetto da 1 a 8 giornate di lavoro normalmente retribuito, per un totale di circa 9.000 ore al servizio della comunità locale, da realizzarsi tra giugno e novembre.
Le principali attività che vedranno coinvolti i volontari Alessi riguardano l’intervento di tinteggiatura e riordino degli oltre 3.000 mq della scuola De Amicis; la manutenzione ordinaria degli spazi pubblici, dei giardini e dei parchi del lungolago; l’affiancamento degli operatori sociali nell’accompagnamento a bambini, anziani e disabili.
Proprio in quest’ultimo ambito nasce, inoltre, un progetto nel progetto: la creazione all’interno degli spazi della fabbrica di un laboratorio artigianale per utenti disabili, un’iniziativa a lungo termine, gestita da educatori e coadiuvata dai volontari della Alessi.

Ok, lo ammetto, il mio feticismo è assai limitato e lo spremiagrumi di Philippe Starck è in questa breve lista, ma l’iniziativa della Alessi a mio avviso apre nuovi scenari in materia di Responsabilità Sociale di impresa e di integrazione tra i contesti sociali e produttivi. Qualcosa di vero dopo la tanta fuffa destinata solo al marketing vista in questi anni.
E non c'è solo il valore che il territorio riceve ma anche quello che dà: immagino operai, artigiani, manager, designer, che di queste attività outdoor e outfirm fanno tesoro e colgono stimoli per fare meglio il proprio lavoro. Potrebbero nascere anche nuovi progetti e prodotti.  

Questo tipo di iniziative andrebbe incentivato e in qualche modo incluso nei requisiti di accesso a strumenti quali la  Cassa Integrazione in Deroga, ad esempio. 
Qualcuno dirà che in Italia certe cose non si possono fare... io dico che occorre iniziare e farsi illuminare dai risultati.