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domenica 25 febbraio 2018

Il futuro che vogliamo, a nostra insaputa.

Remo ha due figli da poco maggiorenni e mi guarda, sconsolato, “Sono ragazzi fantastici, anche impegnati. Il problema vero è che con loro non litighiamo mai. Intendo sulle cose importanti, cose come la politica, il futuro, il lavoro, la coppia. Una volta fissata la paghetta settimanale tutto il resto va da sé… non hanno una visione del mondo diversa dalla mia: proprio non hanno una visione del mondo di cui sentirsi responsabili.”
La difficoltà a immaginare il futuro è il limite di una generazione e di un’epoca. Non parlo di pessimismo ma dell’oggettiva difficoltà a immaginare come saranno le cose  5 o 10 anni. Chi lo sa? Io guardavo mio padre, gli zii, nonni e prendevo su di loro le misure di quello che volevo e non volevo ‘essere da grande’. Oggi è inimmaginabile ipotizzarsi a 20 anni di distanza. Certo, tutti d’accordo su Pace e Amore ma poi? Quale Pace? Quale Amore? Con quale significato?

Il modello è forse quello falso e modaiolo dello startupper? Patetico. Quello dell’influencer? Peripatetico. O quello dell’ingegnere che se non emigra si ritiene il nuovo operaio della catena di montaggio?
Più di venti anni di ammollo nel berlusconismo hanno azzerato gli anticorpi a una generazione o due. Siamo autoimmuni alle nostre coscienze. La colpa è sempre di qualcun altro. Il fine giustifica i mezzi. Tre quarti dei cantanti che passano in radio usa meno di 3000 parole perché, come i politici, hanno capito che la lettura di un bugiardino è oltre le capacità (e la voglia) di quasi tutti i loro ascoltatori. La politica gemma furboni, cretini e pupi bidimensionali  come Renzi e Di Maio, berlusconiani a loro insaputa, con la voglia di piacere, tutta tattica e zero strategia (B. la strategia l’aveva e si riassume nel fare politica per salvarsi da inchieste e fallimenti).  

Il Paese come sta? In Italia non ci sono mai stati così tanti occupati (nella storia); economia e fatturati aziendali sono in decisa crescita; criminalità in calo costante e importate. Da decenni non venivano legiferate riforme sociali così importanti e incisive. I clandestini sono in deciso calo. Le infrazioni comunitarie dimezzate. Eppure…
Eppure gli urlatori hanno uno spazio immenso, tra bugie e verità distorte, e chi le cose le ha fatte ha quasi timore a ricordarle. Ho tra le mani il volantinone delle 100 cose che il PD si propone di fare nella prossima legislatura e lo trovo confuso e infelice, quasi timoroso di dire “Siamo di sinistra. Riteniamo che l’interesse collettivo venga prima dell’individuale. Che la paura si combatta con la conoscenza e non con i muri. Che le tasse vadano pagate come dovere. Le case abusive abbattute. Le regioni governate dalle mafie, liberate. I dipendenti pubblici premiati per il loro lavoro quando è meritevole e cacciati quando fanno i furbi. Gli istituti di cultura italiana all’estero potenziati. I nostri cervelli (in fuga o no) coccolati. Gli insegnanti valutati, oltre che assunti e ben pagati. Gli stipendi dei parlamentari dimezzati. Gli imprenditori sostenuti, soprattutto se investono in economie sostenibili.”
La paura va combattuta con argomenti: il tempo indeterminato è finito, defunto, stop, chiaro?  e i migranti possono essere una risorsa determinante come lo sono in molti Paesi. La tecnologia è un toccasana per mille cose e una criticità in altri contesti, che si possono gestire se non si interviene sempre in ritardo. La Scienza non ha a che fare con la democrazia, e i vaccini non portano l’autismo.
Per vivere in questo futuro ci sono parecchi modelli di intervento che escludono la pistola ad ogni famiglia.
Il futuro comunque rimarrà un’incognita e dunque i venditori di risposte facili non valgono un lettore di tarocchi al luna park.

Il 4 si vota e mai come questa volta vedo la discesa in un trampolino per il salto con gli sci, nel mese di agosto. La mia amica Barbara, che vota da San Francisco, crede che l’eventuale vittoria di questa destra becera non ricompatterà affatto le opposizioni come sta accadendo in USA perché “Con la vittoria di Trump, qui siamo rimasti scioccati a livello viscerale. In Italia nessuno si scioccherebbe. È  questo il problema. Lì tutti si adattano.”

Avremo il futuro che ci meritiamo, anche a nostra insaputa. 

lunedì 12 febbraio 2018

Vedi, piccolo, questo si chiama ‘Fascismo’.

Vedi piccolo, questo si chiama ‘Fascismo’.
Quando uno dei migliori direttore museali spiega a una signora poco informata che gli uomini sono tutti uguali, che molti egiziani sono cristiani, che esiste un mondo reale oltre alla voglia di sangue immigrato, e il partito di lei risponde che quando vincerà le elezioni licenzierà tutti i direttori di musei, si chiama Fascismo. Eliminare per primi quelli che pensano meglio e magari in modo diverso, è una delle tecniche del Fascismo: il Fascismo adora i mediocri e ha paura di ogni novità.

Sai piccolo, quest'uomo appassionato mi ha fatto pensare... la settimana scorsa ho lavorato con con un gruppo di ungheresi che raccontavano come lì il presidente eletto abbia per prima cosa cambiato tutti i direttori di teatri e musei. Per paura della cultura, perchè libera le idee. Una signora intelligente mi ha confidato sottovoce “L’unica cosa che spero per mia figlia diciasettenne è che se ne vada prima possibile dal paese,” e mentre lo diceva aveva le lacrime agli occhi. Sì perché diventi diverso appena osi di ritenerti libero, e dal Fascismo vieni cancellato. Sì, questo si chiama Fascismo e mi rifiuto di pensare che per te sia meglio andartene per affermare che i tuoi sogni non sono in vendita.

Perché in Ungheria hanno eletto quel brutto presidente? Bella domanda piccolo. Perché per loro ha abbassato il prezzo del gas e della luce, fermato l’aumento del pane, aumentato le pensioni, distribuito lavori socialmente utili a spese dello Stato, perché gli ha tolto la paura di non arrivare a fine mese spostando l’attenzione dai suoi furti e dalle ruberie dei suoi amici a nemici deboli come gli immigrati e scomodi come i laureati.
Sì, questa è la vecchia tattica del Fascismo: far finta all’inizio di essere buono per poi trasformarti in carne da polpette. Funziona così: darti da mangiare se smetti di pensare; darti la luce se vivi ne buio; e poi chiederti in cambio di girarti dall’altra parte quando ti dicono che per farti continuare a mangiare devono bastonare il giornalista che racconta le storie, l’insegnante che spiega la Shoah, il genitore che si oppone alla tua divisa, il tuo amico perché è gay, la tua amica perché scrive libri che a loro non piacciano.   

A scuola hanno detto che bisogna stare attentissimi ai malintenzionati? Sta' attento ma anche calmo. Adesso ti svelo un segreto che può capire solo chi come me e te ama la matematica: l’Italia non è mai stata così sicura. Il numero di omicidi, di rapine, di cose brutte fatte a grandi e bambini, è diminuito tantissimo in questi anni. Così come gli incidenti stradali, di treno e aereo. E sappi che gli zingari non hanno mai rapito i bambini, zero. Gli immigrati integrati invece, che sono la maggioranza, pagano la pensione dei nonni. I numeri poi dicono bene come vaccini riducano drasticamente le morti ingiuste di bambini come te e gli antibiotici salvino la pelle a tutti.  Questi sono numeri, non favole, perchè la scienza non è fatta di opinioni ma di certezze costruite con fatica. La scienza non semplifica mai, il Fascismo sì.
È che ad alcune persone piace la paura perché così possono evitare di pensare al futuro, che è cosa faticosa anche se magnifica, e poi, se vuoi, con la paura di tutto è anche più facile diventare Fascisti potendo dire sempre “Io non sono fascista ma…”

Sarai Fascista anche tu? Non lo so. Puoi decidere da solo cosa fare del tuo futuro. Anzi, devi. Se ti chiedessi di credermi solo perché sono tuo padre sarei ugualmente Fascista. Ti chiedo di prenderti il tempo per capire cosa è meglio per te e per tutti vivendo a occhi aperti, con una buona dose di scetticismo, con speranza e curiosità, amando le persone, guardando se le donne sono felici (sono sempre un buon indicatore di antifascismo), stando sempre attento a non trasformare le tue paure nelle armi di qualcun altro. 



(Riprendo a scrivere su questo blog dopo quasi un anno di pausa. Non è una bella notizia però, significa che ci sono cose che non riesco più a tenermi dentro, che mi preoccupano oltre misura, sulle quali non mi basta il confronto con la famiglia e gli amici  e che mi impongono di allargare lo sguardo a nuove soluzioni prima che i pensieri diventino paure)

giovedì 9 giugno 2016

E se l’innovazione non portasse voti?

Torino, Milano, Bologna, Trieste: le quattro città star nell’innovazione, i veri passanti della la cintura che tiene ben stretta l’Italia ai processi europei di sviluppo sostenibile, la quintessenza stessa della parola Smart City.
Molti amici innovatori vi lavorano ogni giorno. Con le loro attività sviluppano nuovi processi di creazione del valore per sé e spesso per i territori, contribuiscono a politiche pubbliche di avanguardia, tessono reti che liberano energie. Lì hanno a disposizione infrastrutture efficienti e tanti spazi di qualità che funzionano a loro supporto. In alcune di queste città stanno mettendo a punto prassi amministrative, innovazioni normative e fiscali fondamentali per dare a tutti le possibilità che meritano.  
Lì ci sono il bike sharing, il car sharing, social housing, orti urbani, le tagemutter, i teatri e i festival, le università di punta, qualcosa di nuovo succede ogni giorno. Insomma sono città davvero nel XXI° secolo. Lo percepisco dai racconti di chi ci vive, di chi ci è andato a vivere proprio per queste ragioni. Quando passo per quei posti ne sono convinto anche io. “Questo a Roma non lo faremo mai…” mi dico abbacchiato. “Vorrei vivere qua…” aggiungo non di rado.
Poi si vota.
Si aprono le urne e Fassino/Sala/Merola/Cosolini trovano molto meno consenso del previsto, sono in seria difficoltà (tra 10 giorni vedremo quanta) da competitor che non hanno finora dimostrato nulla, che talvolta  invocano un generico ‘nuovo corso’ per la paura del nuovo e del diverso, che sanno però rispondere ai bisogni di chi vota.
Io rimango perplesso ma i commentatori televisivi mi spiegano che “Non c’è da stupirsi del risultato perché l’amministrazione uscente ha lavorato malissimo, è sotto gli occhi di tutti da anni: zero dialogo con i cittadini, modi autoritari, abbandono delle periferie.” Allora volgo lo sguardo agli amici che ci vivono, confuso, chiedendo ragione di queste ambigue narrazioni.
Lo so, ogni città ha una storia a sé, ma 4 casi diversissimi col medesimo problema forse fanno un caso.
Al di là delle profezie che si autoavverano, occorre forse davvero chiedersi: l’innovazione paga alle urne? Oppure spaventa perché dimostra a tutti come i tempi siano cambiati anche se non si vuole? O perché dimostra che l’inglese è più importante del dialetto, che la velocità vince sulla stabilità, che la distanza non impedisce la comunità, che il territorio non è un tavolo da gioco insensibile ai nostri capricci? O manca qualcosa nei nostri interventi che dia senso anche elettorale al valore degli interventi?
Forse sviluppare spazi di coworking, regolamenti inclusivi, orti urbani, piattafome di collaborazione, percorsi virtuosi per l’inclusione degli immigrati, se da una parte richiede alla pubblica amministrazione nel terrorizzante ruolo di ‘abilitatrice’ dall’altro cala sul cittadino maggiori responsabilità, un ruolo forse non sempre richiesto e spesso non compreso. 
Se è questa la strada che vogliamo percorrere, forse, è ora di pensare modi, spazi e tempi in cui affrontare da cittadini elettori questa evoluzione del contesto che muta anche il patto sociale di chi vive in una città.    
C'è anche un altro aspetto: e che gli innovatori non votino? Che ritengano di non aver bisogno della politica, di lobby, di rappresentanza. Magari rimandando a un  generico ‘appena ho tempo’ il loro impegno in un mondo che percepiscono come inefficiente, parassita, se non inutile. 
Ad esempio nel mito distorto delle start up trovo mille persone che vogliono cambiare il mondo e nessuna il quartiere. Cuori d’oro che si impegnano per l’artigiano pachistano e non colgono la desertificazione delle botteghe del rione.  
Lo ammetto, io stesso mi chiedo ogni volta con maggiore fatica ‘se’ votare ancora prima di ‘chi’.
Sono domande da porsi. Perché se molto è politica (come lo sono molte ore delle nostre giornate al lavoro, in aula, su Skype, come genitori, consumatori, …) è anche vero che il sistema meno imperfetto per organizzare l’equità, la giustizia, le pari opportunità, la resilienza, passa per la partecipazione e la rappresentanza.
Poi però vanno a votare soprattutto le persone arrabbiate, o che nel voto trovano una utilità di scambio, con una totale divergenza di percorsi tra chi ha l’ambizione a costruire e chi quella a difendersi. Ecco che trova maggiore rappresentanza politica maggioritaria chi vuole asfaltare strade e differenze d’opinione, razza e sesso, piuttosto che chi è disposto a una politica inclusiva basata su piccoli passi, con obiettivi ambiziosi ma distanti.
Mi chiedo infine se si stia sviluppando un Creative Divide cioè una forte divisione tra i soggetti che traggono effettivamente vantaggio dalle politiche guidate dall’innovazione e chi ne è invece escluso: con i primi che ritengono superfluo votare (forse anche perché il successo dei loro servizi si basa proprio sull’inefficacia della politica), e con i secondi che hanno ancora speranze o prebende associate al foglio calato nell’urna.

Buon ballottaggio a tutti. 

lunedì 26 maggio 2014

Voglia d’Europa non di retrocessione.

Prometto, non commenterò mai un risultato del Mondiale 2014 perché del calcio capisco a malapena le regole e non comprendo le ragioni. Sono però un cittadino, faccio politica con le mie azioni quotidiane e dunque non riesco a esimermi dal porre qualche riflessione sul risultato elettorale delle Europee.

  • Voglia d’Europa. È l’aspetto più chiaro e confortante. Gli italiani vogliono far parte dell’Europa e hanno capito che se c’è futuro questo è lì, con gli altri Stati Membri, nella pace. Fandonie come l’uscita dall’Euro non li tentano. Il PD ha vinto prima di tutto perché aveva la scelta maggiormente europeista, è stato credibile negli atti, nei toni e anche negli slogan. 
  • La legittimazione di Renzi (e Marino). Chi ha a lungo, giustamente, detto che Renzi è stato ‘imposto’ e non votato, da oggi può solo tacere. Allo stesso tempo, questa superlegittimazione diventa un carico di responsabilità storico in merito alle riforme. Non ci sono più alibi. Renzi ha vinto soprattutto contro i suo partito, che lo ha sempre subìto. Vorrei aggiungere che il 42% a Roma deve essere letto anche come un rafforzamento a Marino, inviso a molti PD ma a molta meno popolazione di quanto si pensi.
  • Il partito degli onesti senza idee, M5S. Questo mesi hanno evidenziato come Grillo sia di destra, confuso, senza un programma e – soprattutto – faccia paura. Quest’ultimo elemento l’ho sentito molte volte specie dalle persone anziane che hanno visto il fascismo. Le stesse che reputavano B. una marionetta col parrucchino avevano un timore istintivo di Grillo. La volgarità innata della sua politica ha spaventato i più. Le espulsione, epurazioni, censure dentro e fuori il partito sono state quanto di meno democratico visto in Italia negli ultimi anni. E ha pagato, duramente. Forse la fine è iniziata con la sconfessione dei propri parlamentari sullo ‘ius soli’, i corteggiamenti con Forza Nuova, la non presentazione alle regionali in Sardegna. M5S può rilanciarsi solo se mette da parte Grillo e Casaleggio. E dell’Europa non sapeva neppure la collocazione sulla cartina.
  • L’uscita di scena di B. Berlusconi, patetico e ormai imbarazzante, è riuscito ancora a tenersi accanto la creme degli stipendiati, interessati, evasori, evasi, che in Italia rappresenta un ragionevole 15%. Il ‘liberi tutti’ è alle porte e non credo che il lancio nell’arena della figlia Marina possa essere un’opzione reale, la ragazza mi sembra furba e si terrà lontana.   
  • I fenomeni della Lega. La Lega al 6,2% è un risultato fenomenale che mette assieme gli antieuropeisti veri e duri. RIallacciare il filo della politica con questi cittadini credo sia la priorità per il Nord Italia che vuole essere protagonista nei prossimi anni.
  • Tsipras. Una sinistra dura e pura è necessaria e la avremo, ne sono felice più per il piano europeo che nazionale. In Italia l’esperienza di SEL pare ormai alla fine sia sul piano della cultura politica che della capacità di proporre idee. Qualche cosa di nuovo speriamo succeda presto da quelle parti.  
  • Alfano e NCD. La loro ammissione al consesso aiuta Renzi e lascia un seme sulla possibilità che si vari un centrodestra ‘normale’. Certo che se i travasi dal PdL e la presenza di inquisiti rimane a questo livello, poco ci sarà da salvare anche qui.
  • Meloni e Fratelli d’Italia: non se ne sentiva la necessità e gli elettori lo hanno detto chiaro. Qui neanche il solito Photoshop potrà fare un lifting a idee e numeri.
  • Scelta Civica e IdV: Chi glielo ha fatto fare? Su quali basi pensavano di raggiungere il 4%?  Non pervenuti.