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sabato 18 agosto 2012

La Mia Austria – Seconda Parte


Nel post precedente ho raccontato cosa mi affascina, piace e stupisce positivamente di questo Paese. È facile fare i complimenti perché tutti quelli che leggono si sentono chiamati in causa. Ora, per non sembrare uno che si vende per qualche chilo di biscottini natalizi, vi racconto cosa non convince di questo bel posto. Ovviamente, non riguarda tutti gli austriaci, ma solo quello che sento:

In Austria c’è troppa Tradizione: è bella la tradizione, quando non diventa un alibi per la chiusura mentale e un ostacolo allo sviluppo delle intelligenze. In Austria ogni anno sono più ricchi e hanno meno problemi reali. Ma hanno più paure e allora diventano più conservatori, chiusi in una torre di cristallo perfetta. L’unica paura vera è quella di perdere ciò che hanno anche se la sensazione è che spesso nemmeno lo comprendano. La loro stampa, ad esempio, è di una superficialità e vuotezza imbarazzante. Allora ecco che l’ordine, il fare gruppo, magari tutti coi pantaloni di cuoio o vestiti da bambola di ceramica, pericolosamente vicini all’autarchia culturale, diventano la via più facile per affrontare il mondo.

In Austria rischiano di diventare presto berlusconiani senza saperlo: Sono preoccupato per loro. L’involuzione politica li sta portando all’Italia negli anni ’90. Forse il crollo è cominciato con la morte di Haider, il superconservatore razzista che si è stampato in autostrada tornando da un bordello omosessuale. La mancanza di un vero leader ha aperto crepe nel sistema che hanno portato alla luce giri vorticosi di mazzette milionarie. I partiti tradizionali che hanno governato negli ultimi 50 anni hanno allora perso ogni credibilità... Questa storia l’avete già sentita? Ora vi dico anche che la settimana scorsa è pure ‘sceso in campo’ il multimiliardario ottantenne Stronach, padrone della Magna (colosso industriale che ha conteso la Chrysler alla Fiat) e andrà a occupare uno spazio nel centro-destra che molti valutano già tra il 20 e il 25%. Non si sa se il partito verrà chiamato Forza Austria (sempre che Berlusconi non ne abbia registrato il copyright).

In Austria si beve troppo: ci danno dentro con vigore, pure troppo. Uomini e donne. Coppie che conosco si tirano regolarmente una bottiglia di rosso ogni sera. Dicono che aiuti a sciogliersi. Mi viene raccontato che se gli uomini ti corteggiano e non bevono non arrivano mai al punto, e se invece bevono ci arrivano troppo velocemente. Lo so, non sono i soli a bere molto, ma è triste vedere come se ne compiacciano. Sembra quasi che nell’alcool cerchino di realizzare una ‘realtà aumentata’ che non gli appartiene perché sono comunque troppo timorosi nel muoversi nella realtà concreta.

In Austria hanno la Red Bull: stavolta non riuscirei a trovare un equivalente in Italia. La Red Bull è il dominus ideologico-commerciale del paese. È una bevanda al sapore di medicinale che serve a stare svegli. Sponsorizza ogni tipo di quasi sport venga bene in televisione e se ne inventa pure decine di nuovi senza alcun senso.
Gli austriaci sono tristi perché non hanno vinto nessuna medaglia alle Olimpiadi. Non hanno capito che il loro Ministero dello Sport è una fabbrica di caffeina con le bolle che smercia una filosofia di vita che spinge i giovani a trasgressioni che non cambino nulla, una specie di ‘famolo strano’ applicato allo sport e alla vita in generale. A mio avviso quella roba lì corrode anche le menti oltre che i fegati. Non è però gradito che se ne parli male, proprio come capita della carne di balena in Norvegia (che fa schifo pure quella).

In Austria i bambini sono spesso non benvenuti: In molti ristoranti non vogliono i bambini. Secondo me è perché i minori di dieci anni non sono in grado di garantire gli stessi standard di ordine, silenzio, formalità e pulizia che sono certi di trovare in un adulto. È pieno di Familien Hotel, Familien Therme, Familien Restaurant, non so più se sono davvero per le famiglie o per dire chiaramente che negli altri posti le famiglie non le vogliono proprio. In Italia (specie a Roma), i bambini in società sono un po’ di tutti, qui non tanto.

In Austria la Chiesa Cattolica è un club: lo so, è difficile trovare posti in cui il rapporto della Chiesa con lo Stato sia più malato che in Italia ma qui se la giocano con noi. Ad esempio se vuoi essere nella Chiesa devi pagare una tassa che se non paghi finisce pure che ti pignorano i mobili. Puoi però cancellarti dagli elenchi ufficiali dei credenti e da quel momento in poi non paghi ma non puoi sposarti in chiesa, far fare la Comunione a tuo figlio e usufruire dei vari servizi e sacramenti, proprio come in un Golf Club. Un bel po’ di vescovi e preti pedofili e le sciagurate posizioni antiecumeniche di Wojtyla hanno fatto scendere di parecchio il numero di quelli che questa tassa la pagavano con gioia.

In Austria hanno cucine anti-italiane: questo – lo ammetto - è un problema solo mio. Qui hanno piastre elettriche nel 95% dei casi (le restanti sono a induzione magnetica) e questo mi fa impazzire quando devo cucinare seriamente. Questi attrezzi hanno tempi di riscaldamento/raffreddamento incompatibili con la gastronomia italiana e non sono omologabili per soffritti e cotture veloci.

Spero di non aver urtato nessuno degli amici austriaci che leggono e commentano i miei post. So benissimo che l’essere un italiano mi dà pochi titoli per criticare, ma è l’istinto dello scrittore che mi fa sempre vedere le cose dall’esterno, anche quando ci sono immerso fino al collo.
Con affetto. Prost!

mercoledì 15 agosto 2012

La Mia Austria – Prima Parte


Dopo oltre dieci anni di vacanza e parentela, sintetizzo per chi fosse interessato a quest’angolo di mondo così vicino e così diverso, come lo vedo e cosa ne penso.

In Austria la gente si fida: si fida degli altri, del vicino, dello Stato, del sistema in generale. Questo concetto lo metto per primo perché è a noi sconosciuto e condiziona tutto il resto. E quando la gente si fida, le comunità funzionano, gli anziani sono meno soli, l’indignazione muove ancora le coscienze all’azione civica, gli ultimi sono meno ultimi, i fornitori onorano i contratti, i clienti pagano in tempo,
Per spiegare un po’ il concetto, vi racconto due piccoli episodi:
·        come ogni mattina aspettavamo il postino che arriva davanti a casa col furgoncino, tira il freno a mano, entra dalla porta che qui lasciano sempre aperta e posa le buste sul tavolo della cucina; stavolta mi suocera si alza di scatto e gli va incontro con un grande sorriso; la giornata è speciale perché lui le sta portando la pensione, in contanti, guidando il Fiorino, disarmato e tranquillo, e poi la porterà a tutti gli altri pensionati della zona, per chissà quante altre migliaia di euro cash.
·        quando vedete una casa in costruzione ci sono sempre una decina di grossi pannelli accanto che fanno pubblicità alle diverse ditte, a quella che ci mette il cemento, a quella che fa l’impianto idraulico, o il giardino, o i pavimenti e così via. Già, perché tutti lavorano alla luce del sole e senza tutti i permessi non troveresti mai un elettricista che ti fa l’impianto e poi tanto l’elettricista non lavorerebbe in nero, e così via… 

In Austria è tutto pulitissimo: qui le strade, i marciapiedi, i giardini, le casette in stile Heidi, i giochi per i bambini tutto è ordinatissimo e sopratutto pulito. L’ignavo italiota si chiede “Ma puliscono le strade 2 volte al giorno?”. No, non accade quasi mai, è che qui non le sporcano, è semplice. Nessuno sporca, tutti rispettano gli spazi pubblici, elementare Fritz.

In Austria riciclano tutto: la separazione dei rifiuti fa parte di un protocollo che solo dopo una decina di anni credo di aver compreso almeno nelle sue linee principali. Riciclano quasi tutto al punto che la spazzatura indifferenziata viene raccolta ogni 15 giorni (!). C’è il vetro (che va diviso in chiaro e scuro), carta, metallo, organico, tetrapak, le capsule del Nespresso, e forse altre cose non ancora alla mia portata culturale.

In Austria resiste un bel modello di welfare: hanno un sistema di welfare generosissimo e funzionante che rispetta la persona e merita alcuni esempi per somme linee.
·        Il congedo per maternità: sono previsti fino a 20 mesi durante i quali la donna  percepisce circa 800 euro al mese, indipendentemente dal suo stato lavorativo (disoccupata, manager, non c’è differenza). Ma siccome in molte si sono lamentate per la lunghezza del congedo, lo Stato consente di accorciarlo ma, ovviamente, i soldi desiderati sono gli stessi, anzi se torni prima te ne do anche di più. La forma più gettonata prevede una indennità di 2000 euro al mese per 10 mesi di congedo. Poi ci sono gli assegni familiari che ancora a 18 anni pesano per circa 200/euro al mese ma questo ve lo risparmio.
·        Educazione: dai 3 ai 18 anni tutta l’educazione è gratuita, inclusi libri, scuolabus, e quello che potete immaginare. L’università? Gratuita ovviamente anche quella e se sei bravo e in corso ti danno un contributo per vitto e alloggio.
·        Sanità: per quello che vedo e ho provato, funziona ed è di qualità. In tutti gli ospedali, ambulatori, studi, ho avuto l’effetto “hotel” in cui mi chiedevo quante stelle avesse quella struttura (comunque sempre più di tre). Esempio, piccolo ma significativo, un mio conoscente che vive in un paese un po’ periferico deve fare la dialisi e lo Stato gli paga 3 volte la settimana il taxi per i 30 chilometri da casa sua al centro dialisi…

In Austria amano la musica: in moltissimi suonano strumenti di ogni tipo. È normale andare a casa di qualcuno per una festa o un aperitivo e trovare un quartetto d’archi che se la sviolina per il piacere di tutti. Cantano in mille cori e tutti ballano a livelli – per me - inarrivabili.
Il ballo, come lo sci, si impara a scuola, e il ballo della maturità è un evento da ricordare. Ho avuto la fortuna di partecipare a uno con orchestra dal vivo, valzer e polke fino a mezzanotte e poi DJ e luci strobo fino alle tre.

In Austria hanno attenzione maniacale alle piccole cose: la qualità della confezione di un regalo conta come il regalo stesso. Bigliettini, fiorellini, ricamini, biscottini, dettagli per un italiano medio insignificanti diventano il perno di una relazione di amicizia. Si regalano per natale un paio di calzini con allegata una barretta di cioccolato con allegata spiga di grano e sono capaci di emozionarsi per questo e ringraziarsi sinceramente per venti minuti. Un aspetto evidente di questa attenzione al dettaglio sono le casette perfette che si vedono nei paesi di montagna e gli arredamenti minimal di molti appartamenti di città.

In Austria amano l’Italia e gli italiani: questo è un mistero visto che noi siamo tutto quello che loro non sono, o forse ci amano proprio per questo. A volte penso quasi che siamo il loro Mister Hide e ogni tanto vorrebbero essere indisciplinati, rumorosi, caciaroni e furbetti come noi. Poi però mettono la testa a posto e si limitano a guardarci alzando la bottiglia di birra. Prost.

Siccome non vorrei pensaste che sono pagato per fare uno spottone, tra qualche giorno vi tocca un nuovo post su cosa non mi va a geniodi questo posto così particolare.

giovedì 9 agosto 2012

Faccio la lista dei prodotti che spazzerei via dai supermercati.


Sai quella sensazione di quando hai un post in canna ma non è mai il momento giusto per scriverlo? Ecco, ogni tanto, al supermercato, mi viene spontaneo “Ora su questo scrivo un post. Così, per pensarci sopra e sfogare un po’ di frustrazione”. Poi non lo fai. Poi viene una giornata di pioggia estiva e, siccome in casa nessuno apprezzerebbe eventuali lumache mi limito a scrivere quel famoso post rimasto appeso alle dita.
Premetto che faccio spesso la spesa e poi cucino le cose che compro. Frequento i supermercati, i negozi di via, discuto ai banchi del mercato e scambio consigli con le matrone che mi dicono la loro sul destino migliore per un carciofo o per l’arzilla.
Mi irritano i prezzi farlocchi, i prodotti tarocchi anche se di marca, quelli davanti ai quali ti senti preso per il culo.
Ne metto in fila alcuni, per una minigogna che leggerete in non più di 7, alienati dalla calura d'agosto.
Vorrei qui BANDIRE:
a)      il Nespresso e lo zucchero della stessa marca. Il Nespresso è creatura della più azzeccata campagna di marketing degli ultimi anni. Trattasi di 20 gusti di caffè tutti identici dentro a cialde irriciclabili dai colori metallizzati così improbabili che neanche la Volkswagen li tiene in catalogo. Ma soprattutto è una truffa da 50 centesimi circa a tazzina (contro i 6-7 centesimi di un espresso normale), e se usi la bustina di zucchero brandizzata Nespresso devi sapere che stai usando un sottoprodotto della barbabietola che vale circa 43 euro al chilo. Della serie: date ‘purghe ai pirla’.
b)      la pasta quando costa più di 60 centesimi a pacco (arrivo a 90 cent per quella di qualità): è provato il cartello che i produttori fanno regolarmente tra loro (e i milioni di euro di multa che hanno pagato per questo, ma i giornali ne parlano poco perché hanno le mani in pasta). E poi c'è la pasta di design, quella piccolina che cosa di più, le eliche o le magagne che costano il triplo, tutta roba per analfabeti del cibo.
c)      gli jougurtini per bambini. In primis della Danone ma anche degli altri produttori. Sono dei ditali colorati talvolta con fumetti o faccine sulla confezione che contengono lo stesso identico prodotto di quelli per adulti e costano una fortuna. A conti fatti arrivano a 10-12 euro al chilo quando un chilo di jogurt normale va via per 2-3 euro al massimo. Mi irritano perché giocano sul target “bambino”, proiezione delle nostre ansie, ricettacolo di cibi di alta qualità estetica, paraculi in grado di farsi infinocchiare da un leoncino sull’etichetta peggio dei loro padri che si fanno fregare da una gnocca qualsiasi nella pubblicità del dopobarba. 
d)      il latte a 1,80 euro e più al litro che ti viene da invocare il licenziamento dei manager che li mettono sul mercato. Come fa la Mila a distribuire a Roma un latte buonissimo prodotto in trentino  a 1,20 euro e quelli della Centrale di Roma non riescono a stare sotto il 1,80? E quando ci scrivono “Alta Qualità” non è una presa per il culo? La risposta non mi interessa, licenziateli e basta. Assumete degli stambecchi trentini che sono di certo meglio.
e)      i Pampers: sono i pannolini più cari, più fashion e colorati. Per venderli a genitori coi sensi di colpa, ogni tanto se ne inventano una per metterti ancora più in crisi: un anno sbucano fuori quelli per maschietti diversi da quelli per femminucce, l’anno dopo quelli da giorno diversi da quelli da notte. Sono una marea di cazzate. Criteri per la scelta di un pannolino: quelli che costano meno. Fine, tutto il resto è marketing.
f)        il pane a oltre 4 euro al chilo: ora, tutti conoscono il prezzo della farina, acqua e lievito e anche uno scarso in addizioni dovrebbe sentire puzza di bruciato. E si trovano fantastici pani tra 1,80 e 2,50 euro al chilo. Fuori chi non sa stare sul mercato e prova a convincerti che prezzo alto corrisponde a pane migliore, fesserie da boutique pariolina.
g)      L’olio extravergine di oliva italiano a meno di 3 euro al litro. Semplicemente è una truffa (e la magistratura inquisisce regolarmente i maggiori produttori italiani, le famose ‘grandi marche’, ma i telegiornali sono oliati a sufficienza per non parlarne). Di nuovo semplici regole aritmetiche dimostrano che non può costare meno di 4 euro al litro se viene dal sud Italia e almeno 6,5 euro se prodotto al nord. Vigilate, perchè non sapete né il giorno né l'ora in cui sarete fregati.
h)      Le acque minerali, e qui mi si accappona la pelle. Prodotto tra l’inutile e il dannoso, di norma peggiore dell’acqua dei nostri rubinetti, necessario più di ogni altra cosa a vendere la bottiglia e a far circolare qualche migliaio di TIR sulle nostre strade. Tanto per dirne una a caso: qualcuno pensa che l’acqua estratta da una falda dalle parti di Scorzé (Venezia), a due passi dalla tangenziale di Mestre, in una delle aree più inquinate del paese possa essere potabile? Bene, dicono che lo sia, la etichettano come “San Bernardo” e pure come “Guizza” (misteri del marketing) e la vendono con la rondinella sulla bottiglia.
i)        Infine vorrei bandire l’idea che il supermercato convenga rispetto ai cosiddetti ‘negozietti’ o mercati rionali. Il supermercato vince ormai solo sui prodotti di grandissima distribuzione (pasta Barilla, Olio Carapelli, Kinder Brioss e cose così) su cui può andare sottoprezzo per drogare il mercato. Perde invece per KO su tutto il fresco ma anche sul confezionato di qualità. Ogni tanto per farsi bello infila in cassetta della posta le famose offerte 3x2 o simili, falsi ideologici. Il modello del supermercato vince però, in modo schiacciante, sulle modalità della spesa: progettate ad hoc per clienti fintamente social che vogliono evitare il contatto umano, non parlare con nessuno, non rendere conto dei propri gusti se non alla cassiera e a qualche migliaio di analisti del comportamento che, osservandoli, stanno già progettando il packaging del prossimo panettone di Natale.

domenica 29 luglio 2012

Neri ma non abbronzati, squisiti ma non italiani, richiesti ma non voluti.


Per motivi che non vale la pena approfondire talvolta capita che cose e mondi che non si appartengono mandino segnali convergenti su temi che di norma non ci tangono e che poi, di colpo, diventano urgenti da sviscerare.
Nella stessa settimana ho comprato un libro francese di ricette moderne, c’è stata l’apertura delle Olimpiadi Londra 2012 e mi sono messo a scrivere un progetto nuovo. Che c’azzeccano? Per me c’azzeccano e mi va di scriverne.

1)      Nel libro “Recettes minute a la cocotte” di cucina francese acquistato a Colmar, con grafica e descrizioni da inturgidire le papille più riottose, sono raccontate 100 ricette che mettono naturalmente sullo stesso piano il Coq au vin, pilastro della gastronomia francese con la tajine d’agnello, il curry al pollo con spinaci, la feijoada, e non lo fanno nel caos ma con grande rigore e passione e nell’ottica di una cucina sana e di qualità. La stranezza è semplicemente che non esiste nulla di simile in italiano e se ci fosse sarebbe roba da sottocategoria “cucina etnica”. In cucina rimaniamo altezzosi e provinciali e non ci mischiamo con chi ha anche molto da insegnarci. Sì, abbiamo la tradizione più valente dell’universo e dintorni ma siamo fermi al palo alle ricette ottocentesche. Contaminazioni e sperimentazioni sono residuali e non potrebbe essere altrimenti vista la poca dimestichezza che abbiamo con usi, costumi, arte, letteratura, tradizioni, pensieri, religioni che non siano la nostra.
2)      L’inaugurazione delle Olimpiadi ha mostrato una Gran Bretagna orgogliosa, giovane, spiritosa, curiosa (si può associare anche solo un aggettivo di questi all’Italia?). Il paragone con lo l’immobile tradizione millenaria di Pechino 2008 era immediato. Nella diretta televisiva 1500 percussionisti e migliaia di volti a Londra appartenevano ai 5 continenti e erano comunque tutti very british. Nella splendida sequenza dei baci importanti non hanno temuto di metterne uno tra donne. Hanno preso in giro la Regina e i suoi cani. Hanno ricordato i minatori. Hanno fatto ballare tutti i colori della pelle. Hanno selezionato un mucchio di persone ‘diversamente belle’ e senza imbarazzo intendo proprio grassi, bassi, goffi, persone disabili, anziani, il coro dei sordomuti, i volti segnati, gli sdentati. Hanno fatto un casting antitelevisivo che da noi non sarebbe ammissibile nemmeno per un talk show di Santoro. E lo hanno fatto con la leggerezza possibile solo in chi è consapevole delle proprie forze e non ritiene che il colore della pelle e il conto aperto dal chirurgo estetico abbiano valore.
3)      Sto scrivendo un progetto che dovrebbe aiutare i decisori a impostare politiche sensate per affrontare le questioni dei flussi d’immigrazione extra-comunitaria in Italia con servizi e azioni adeguate. In particolare affronta il tema della formazione, dello sviluppo di competenze utili a lavorare da noi o nei loro paesi d’origine, il sostegno al rientro lavorativo, allo sviluppo d’impresa con la collaborazione delle imprese e dei governi. Leggo cifre e analizzo strumenti e politiche per ore. Trovo l’evidenza che senza l’immigrazione l’Europa si accartoccerebbe su se stessa, poi mi scontro con un sistema bicefalo che da una parte vorrebbe dare dignità e valore al lavoro e alle persone e dall’altra si rifiuta anche solo di affrontare il tema della cittadinanza, del diritto ai luoghi di culto, del rispetto degli usi e dei costumi.       
Ora frullo bene tutto questo e, fuor di pessimismo, mi viene naturale chiedermi come sia possibile parlare di rilancio, competitività, futuro senza un progetto di cittadinanza che coinvolga ciascuno di noi e consideri tutti sempre risorse e la diversità un valore, anche economico.  

martedì 17 luglio 2012

Una settimana a Parigi, da romano: confronti tra due città crudelmente diverse.


Se vivi a Roma, passare una settimana a Parigi (ai primi di giugno) porta inevitabilmente a fare dei confronti.
  • La capitale francese è sporca, direi più sporca di Roma, si vede agli occhi e si sente al naso. Però è molto più ordinata e gode della scelta illuminata di aver quasi bandito le auto dal centro. D’altronde la metropolitana è un reticolo fittissimo che arriva ovunque e, in superficie, decine di migliaia di biciclette solo a disposizione a uso pubblico e semigratuito.
  • A Roma se dici la parola ‘cultura’ ti aspetti in risposta il pernacchione di Sordi al lavoratori. A Parigi l’offerta culturale è stupefacente e straripante, cosi come il numero di librerie, biblioteche, cinema, musei. I grandi attrattori culturale lasciano attoniti per organizzazione e contenuto: ho visto la mostra su Tim Burton, una su Degas, un po’ di arte moderna, la gente in fila per i Maya,… Molti cinema iniziano la programmazione alle 10 del mattino e diversi offrono tessere d’ingresso illimitato per 25 euro al mese (che è meno di un polveroso abbonamento a  Sky). Le gallerie fanno tutte i vernissage lo stesso giorno (di giovedì) e diventano vere serate di festa del quartiere.
  • Sono molto nervosi, questo sì. Loro non sono abituati all’incertezza politica e economica. Hanno patito Sarkò come il passaggio di una malattia contagiosa e nulla si aspettano da Hollande. Sono disillusi dalla politica e credono molto di più in una  Francia che riparta per merito dei francesi.
  • Difendono le loro conquiste di civiltà con i denti: le 35 ore, la laicità dello stato, i servizi alle famiglie e si inventano delle cose utili a spezzare la solitudine. In quei giorni tutti erano coinvolti nella “Festa dei vicini di casa” e nei cortili e sulle terrazze migliaia di persone superavano la consuetudine del freddo cenno in ascensore per ritrovarsi a chiacchierare con un calice in mano.
  • Poi ho scoperto che fino alle medie vanno a scuola 4 giorni la settimana col mercoledì a casa e relativo caos organizzativo nelle famiglie e nelle aziende dove è difficile organizzare riunioni. Questa mi pare una emerita sciocchezza di cui mi sfugge il perchè.
  • Amano l’Italia mentre noi neanche ci filiamo la Francia. Moda, musica e film sono ben conosciuti e il cibo idolatrato. Mi è capitato ben 3 volte ascoltare parigini doc osannare la gelateria Grom che ha appena aperto in Rue de la Seine come fosse un tempio dello spirito. Imparano addirittura a conoscere i nostri vini (mi ha stupito sentirli parlare di Nebiolo e Bonarda. Solo rossi, per carità: per loro quello bianco non è vino, Champagne a parte).
  • Sono vere lucertole, specialmente le ragazze, e vedono così poco il vero sole che appena sbuca rimangono con un niente addosso che ti chiedi se il tessuto sia tassato. Tutti quei nulla svolazzanti in bicicletta godono della fortuna che il traffico sia davvero poco altrimenti gli incidenti trasformerebbero la città in un unico ingorgo.
  • Infine, parlando con molti giovani mi sono reso conto che la frattura generazionale da loro è molto più profonda e responsabile. Intendo dire che nulla si aspettano dai padri, né consigli, né raccomandazioni. Prendono atto che il mondo è del tutto cambiato e, serenamente, cercano nuove vie. 

sabato 14 luglio 2012

Fantozzi contro tutti (in memoria del posto a tempo indeterminato)

All’ombra meridiana dei pini marittimi, mio figlio srotola fiducioso 5 centimetri di lingua in attesa di sentire il dolciastro del francobollo sulle papille. Gli piace, si rende utile in una mansione vintage: manderemo alcune cartoline in technicolor alle zie non ancora raggiunte dall’ADSL. D’improvviso un flashback mi riporta al fotogramma del Ragionier Fantozzi intento al medesimo incarico: eccolo Ugo, con la sua lingua cartonata che umetta il retro di migliaia di francobolli, leccare culi, pulisce il portacenere e le vetrate del megadirettore galattico dell’azienda.
Da tempo Fantozzi è sparito, neanche lo passano più in tv: un non-modello eversivo, diseducativo e malinconico. Uno che per tenersi il posto farebbe qualsiasi cosa.
Se ne parli con chi ha meno di 30 anni ricevi solo risposte del tipo “Non lo conosco”, “L’ho visto una volta e mi dà tristezza”, “E’ una scemata”, "Noioso", "Lo guardava mi padre", con alzate di spalle distratte e annoiate. Gli stranieri, poi, non l’hanno mai amato né capito.
Eppure io/noi ridevamo, e pure tanto. E lo citavamo a memoria, e lo riconoscevamo dei nostri.
Fantozzi è sparito, perché lo spirito di Fantozzi è morto. Morte sono le ragioni che ci facevano ridere. Ridevamo perché Fantozzi era un po’ ciascuno di noi, tutti noi ne conoscevamo uno ‘vero’, un parente, un amico di famiglia, un vicino incravattato come in una garrota.
A differenza di Bud Spencer (rozzo caciarone con cervello sottodimensionato e indole giuliva) Fantozzi non si è rivelato immortale. Perché Fantozzi è il posto di lavoro a tempo indeterminato il cui possesso valeva qualsiasi umiliazione, perché dava certezze. Consentiva il mutuo della lavatrice e le rate della macchina, la sensazione di essere su un gradino e non su un piano inclinato, il pensiero che ogni giorno ci sarebbe potuto essere un bastone o una carota sulla testa ma non nel culo. Il posto fisso è finito, Fantozzi è finito. Nella società liquida Fantozzi andrebbe a fondo come una sgradevole zavorra. Per molti, oggi, le ragioni per invidiarlo sarebbero maggiori di quelle per riderne e compatirlo. Meglio andare oltre, ai vampiri di Twilight magari.
Proprio come il mio bambino col suo papà, Fantozzi in azienda si piega a tutto perché sa come il proprio legame aspiri all’eterno secondo uno schema che dai moderni team builder avezzi a farci dimenticare il precariato cronico verrebbe definito win-win anche in presenza di perenne lingua cartonata e improbabili partite a tennis nella nebbia più fitta col ragionier Filini, dell'Ufficio Sinistri.

giovedì 7 giugno 2012

Se gli ebook non bruciano sono veri libri? (Omaggio a Ray Bradbury)


E quando ci domanderemo cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: noi ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo in grado di ricordare una tal quantità di cose che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra.

“Fahrenheit 451”- Ray Bradbury (1920-2012)

Non sono certo all’altezza di poter commentare il genio e la forza delle opere di Ray Bradbury, la sua straordinaria capacità di creare mondi e ospitarti all’interno per darti nuovi punti di vista sull’uomo e sulla storia.
Ho però un aneddoto che riguarda una delle sue opere e che oggi, in memoria della sua scomparsa, e desidero metterlo lì, nel mare magnum delle cose scritte.

Sei anni fa aspettavamo ospiti dall’Austria. Si trattava di una coppia con due bambini di 6 e 4 anni. Dovevano arrivare a Roma in treno, per visitarla e visitarci. Durante il viaggio, il più piccolo ha cominciato a stare male, a vomitare. La diagnosi telefonica del pediatra austriaco interpellato nella notte a distanza dai genitori fu di appendicite. Allertato, caricai la famigliola abbacchiata e spaesata alla Stazione Termini per scaricarla dopo venti minuti al Bambin Gesù. La diagnosi era esatta. Il pupo fu trattenuto e in breve operato.
La mamma e il papà si alternavano preoccupati al capezzale in quell’ambiente nuovo, un po’ ostile, dove tutto avveniva in una lingua sconosciuta.
A me appiopparono il fratellino grande, parlante solo tedesco, diffidente nei miei confronti come una recluta verso un sergente sovrappeso di un esercito con coscrizione obbligatoria. Comunicando poco e solo a gesti visitammo il Colosseo, lo lusingai con un gelatone, e poi venne il tempo di portarlo a casa.
Dall’ospedale nessuna notizia e la tv era l’unica risorsa a disposizione per allentare la tensione ma anche lì, guarda il caso, era tutto in italiano.
Frugai tra i DVD e gli unici due doppiati anche in tedesco erano “Eyes wide shout” e “Fahrenheit 451”; senza esitazioni scelsi il secondo.
Il bimbo, accortosi che non si trattava di cartoon americano o di favoletta scandinava con renne volanti, storse il naso ma almeno ebbe fin dall’inizio il conforto della lingua madre.
Rimasi accanto a lui per tutta la prima visione, per skippare eventuali scene forti e comunque assumermi ogni responsabilità per i danni eventuali alla sua psiche. Venne la seconda visione immediatamente dopo, la terza col papà al suo rientro dall’ospedale (la prima commentata, arricchita da domande e risposte). Il giorno successivo i pompieri incendiari andavano ancora e ancora per lo schermo e quando il fratellino appendictomato fu rilasciato dall’ospedale venne accolto sulla porta dall’incitazione a correre in soggiorno, davanti alla tv a vedere questa storia incredibile dove gli uomini cattivi  bruciavano i libri, e gli uomini buoni imparandoli a memoria li difendevano, i libri, gli uomini, forse anche quelli cattivi (da se stessi).
L’ho rivisto recentemente quel bambino immerso nella storia come un anatroccolo nello stagno, sta bene e si ricorda tutto. Me lo ha detto accennando al fatto che quella solitudine intrecciata a forza nella trama di una storia così potente è stata per lui una cosa importante.

Forse i libri vanno bruciati per essere salvati.

Grazie a Bradbury e Truffaut