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lunedì 16 marzo 2015

Buona Scuola per tutti.

I commenti alla proposta della Riforma denominata “La Buona Scuola” sono stati pochi e raramente nel merito. 
Nelle città maggiori si è visto qualche corteo svogliato di studenti più portati alla giornata di vacanza che a confrontarsi nel merito del tema. Perfino i talk show televisivi l’hanno dribblata, a mio avviso perché non riassumibile in un tweet o in una battuta di Salvini.
A differenza di altre recenti iniziative del Governo, confuse negli obiettivi, nel percorso realizzativo e scombinate nella struttura,  come l’abolizione delle Province e la Garanzia Giovani, trovo nella riforma della Scuola un senso complessivo, spunti interessanti, alcuni difetti, un discreto sguardo verso il futuro.

A voler fare dietrologia, forse non è irrilevante come la moglie di Renzi sia insegnante essa stessa, così come molti dei ministri abbiano figli in età scolare (e non frequentino le studentesse solo in cene eleganti, come i governi precedenti).
Non deve qui sfuggire come la proposta sia frutto della più ampia consultazione pubblica mai realizzata per lo sviluppo di una politica pubblica, con migliaia di incontri in tutta Italia, centinaia di migliaia di contatti. La trovo organica e frutto di un’intelligenza diffusa. Spero che prassi del genere diventino diffuse, anche a livello locale.
Dalla proposta si percepisce attenzione, capacità di sintesi, cura per la Scuola, indirizzo politico.

Il recupero delle materie di insegnamento artistiche e economiche, il rafforzamento delle competenze dei presidi, un barlume di valutazione degli insegnanti, il bonus di 500 euro per gli acquisti culturali dei docenti, un po’ di soldi in più a chi se li merita, la stabilizzazione della maggioranza dei precari sono alcuni dei buoni inizi e molto di più di quello che ogni Governo abbia finora proposto.
Anche a me il bonus fiscale di 400 euro per chi manda i figli alle paritarie fa alzare il sopracciglio, e lo vedo a rischio incostituzionalità, ma è sempre meglio che dare il bonus alle scuole stesse come è stato fatto finora. In parte può essere anche una via per combattere l’evasione fiscale.
Trovo invece del tutto campato in aria, per quanto d’effetto nell’enunciazione, il raddoppio delle ore di alternanza scuola-lavoro proposto per molti Istituti. Si tratta di una fascinazione irrealizzabile per il modello tedesco basato su imprese molto più grandi delle nostre. Già ora, con solo 200 ore, l’alternanza riguarda non più del 10% degli studenti. Portando a 400 ore non si andrà da nessuna parte e si eroderà terreno ai tirocini in azienda che già non funzionano.

La consultazione ha fatto anche vittime, ha dato un duro colpo agli organismi intermedi (leggi sindacati) la cui irrilevanza nei processi sta diventando patologica e la pochezza di visione ne sta determinando l’autodissoluzione. In particolare sulla Scuola, impegnati a tutto tondo nel brandire il feticcio antistorico de “Le scuole e i docenti non si valutano”, hanno perso di vista tutto il resto.

Il paradosso finale è che un governo abituato a procedere con decretazione d’urgenza e eccesso di uso della fiducia, ha invece lasciato la Buona Scuola ai lavori delle Camere. Non riesco a capire se questo:
  • serve a impantanare la Riforma dimostrando l’inadeguatezza dei parlamentari
  • serve a massacrare la riforma consentendo al Governo furbacchione di dire “La proposta era buona e questo risultato è colpa vostra”
  • serve a mettere ciascuno di fronte a responsabilità precise scardinando gli alibi, anche dell’opposizione.


E ora? Potessimo passare attraverso un bel dibattito parlamentare migliorativo e poi alla fase operativa, tutti ne guadagneremmo. E' chiedere troppo?

domenica 8 marzo 2015

Quali negozi aprono, quali chiudono e quali ammiccano a un futuro sconosciuto.

Adoro le dinamiche di apparizione e chiusura dei negozi nel quartiere. Seguono leggi di mercato, sogni di improvvisati negozianti, la disperazione di altri. 
Come in uno zoo metropolitano, le vetrine diventano aperture sulle vite e metafora di cosa succede nella società.
Guardo, annoto, mi stupisco. Voglio socializzarlo perchè dalle vostre parti succedono di certo cose simili (o completamente diverse), in ogni caso fatemi sapere.

Questa è una panoramica delle apparizioni negli ultimi 6 mesi, dalle mie parti, in un quartiere come tanti di Roma:
  • Sale scommesse: 6 aperture nel raggio di un chilometro. Ambienti di impostazione ambulatoriale frequentati da musi lunghi, facce tese, frasi smozzicate, voci basse, da una popolazione di ansiosi che si aggira per queste sale dispensatrici di illusioni. Sono tutte arredate in modo essenziale, vere sale d’attesa che qualcosa accada mentre la vita si prosciuga.
  • Mescita di vino: 3 aperture nel raggio di un chilometro. Direttamente da cilindri d’acciaio in bottiglie di plastica riciclate, ogni tipo di vitigno si concede ai bicchieri del quartiere. Se ti metti in ascolto, senti franare sulle ginocchia le poche enoteche di zona che provavano a fare cultura alcolica e oggi si trovano a combattere contro la Falanghina a 1,90, l’Aglianico a 2,20 il Prosecco a 3 Euro il litro. Prosit e Amen.
  • Forniture all’ingrosso per estetisti e parrucchieri: 2 aperture. La sensazione è che gran parte della parruccheria avvenga ormai nelle case, con tecniche fai-da-te, in saloni occulti evadi-le-tasse. Belli e possibili.
  • Fruttivendolo Alimentari Bangladesh: 2 aperture. Gentili e ordinati, gli unici a ricordare il nome dei miei figli, con un bell’italiano cantilenante. Hanno skype acceso in un pc sul retro del negozio, puntato su qualche villaggio a seimila chilometri posto a pochi centimetri sopra il livello degli acquitrini. Frutta e ventura.
  • Bar tavola calda Siciliana: 2 aperture. Quello della ristorazione regionale sta diventando un fenomeno interessante e di grande piacere per la gola. La Sicilia in questo stravince, anche per la ricchezza oggettiva della propria offerta;    
  • Auto lavaggio a mano: 2 aperture. Basta un ex negozio in disuso e un rubinetto per lanciarsi in questa attività che per 10 euro ti lustra l’auto. La sensazione è che siano basi per lo spaccio di qualcosa…
  • Gelaterie: 2 aperture. Entrambe ‘diverse’ dal solito. Una strabio, con gusti di tendenza come la ‘mela annurca con miele di gelsomino e cannella delle Egadi”, fighetta e nel complesso ingannevole. L’altra del tutto senza personale, con macchine che erogano in automatico gusti plastificati, topping colorati e cancerogeni. A entrambe diamo al massimo un anno di vita.
  • Pellicceria: 1 apertura. Fantascienza pura. Direttamente dagli anni ’80 ha aperto una pellicceria. Non so se sia uno scherzo, una copertura della Digos, la tana di un nostalgico dello zibellino annoiato. Operazione talmente bizzarra che credo sia già nei tabelloni di scommesse delle Sale di cui sopra.  
  • Alimentari Italiano: 1 apertura. È uno spazietto che ricorda un negozio cuneese anni ’70 con l’omone in grembiule bianco, la pasta sugli scaffali e gli affettati sono il grande vetro del bancone. Se taci, senti già le asfaltatrici dei supermercati attorno caricare i serbatoi per annientarlo in allegria.
  • Scuola di cucina, piano strada: modaiola e colorata, con l’aula cucina che si vede dalla strada. È per lo più vuota, ed è presto per dire se possa funzionare. Ci sono corsi base di questo e di quello, anche per bambini con le mani in pasta. La sensazione è che le persone guardino in tv i Masterchef perchè il tempo del pornosoft è finito e, così come Gloria Guida era un'icona irraggiungibile, anche le ricette acrobatiche di questi cinghialoni vestiti da chef rimangono un esercizio teorico. Scuola di cucina, piano strada, anche per te la vita sarà dura.


mercoledì 4 marzo 2015

Perché dovrei andare a Expo 2015 di Milano? (ritorno sul tema)

Quasi un anno fa ho scritto questo post in cui cercavo di capire perché sarei dovuto andare a Expo 2015 di Milano. Per molti mesi ha avuto lettori distratti e occasionali. Da alcune settimane è fagocitato dalla curiosità di decine di lettori al giorno che, usando i motori di ricerca, si chiedono “Perché dovrei andare a Expo 2015?”
L’interesse mi ha stupito solo in parte anche perché la domanda ricorre nei bar, sugli interregionali, nelle sale di attesa dei fisioterapisti e per molti è una variabile legata alla programmazione delle prossime vacanze estive.

Frequento centinaia di persone per lavoro, diletto, obbligo sociale, e spesso se ne parla. Finora solo una mi ha esternato che andrà all’Expo; “perché le architetture saranno molto interessanti” ha detto, che non è forse il massimo dello slancio. C’è anche quello che dice “la mia azienda ha decine di biglietti omaggio” e aggiunge, “Lo prendo e poi deciderò se andare…”
Alcuni ci saranno per lavoro ma in quanto prezzolati non contano.
Certo, esistono le opzioni che in molti andranno con una decisione last minute o che per loro ragioni lo facciano senza dirlo in giro, però le trovo entrambe poco convincenti. È inutile che ribadisca come nessuno dei miei contatti all’estero abbia la minima percezione di cosa succederà là sulla pianura.

Siamo di certo un popolo strano, diffidenti per natura e i proclami entusiasti delle istituzioni e del governo ci lasciano più perplessi che convinti. Allora rieccomi lì col pallottoliere a cercare di capire quanto potrei spendere, quanti giorni ha senso starci, se posso dormire gratis dal cugino Filippo che abita a Rho e ho sempre preso in giro quando diceva invece di essere di Milano.

Stai sul tema, ripeti a te stesso, lascia perdere il pallottoliere e pensa quanto ne vale la pena: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita.
È un titolo bellissimo per il seguito di Avatar, forse anche per una Esposizione che guardi ai valori della Vita e del Territorio. 
Tutto però dalle parti di Rho scivola nella confusione, la stessa comunicazione dell'evento la percepisco come imballata in un mix di ristoranti, innovazione, concerto pop, campi di grano, cotillon, mangiatori di fuoco, che mi chiedo quante settimane servano per capirci qualcosa senza ansie.
È poi di oggi la notizia che McDonald sarà parte integrante del discorso di Nutrire il Pianeta, e che la Coca Cola rappresenterà Energia (e Caffeina) per le Vite delle migliaia di visitatori previsti.
Comprendi allora come Slow Food, piano piano, si defili e prenda le distanze. E io lo faccio pure.

Ho capito però cosa mi manca e perché mi viene istintivo scansare quel luna park: sono banalmente italiano e dunque espressione di una cultura che considera il cibo sacro, la gastronomia un pilastro identitario del terriotrio, l’agricoltura e la pesca professioni nobili, i prodotti alla stregua di miracoli, la socialità il collante di tutto questo.
Nulla di questa sacralità traspare da questo salone.
Allora il grano vado a vederlo sui pendii della Basilicata e i concerti allo stadio. Chi lo ha pensato, si è scordato che qui non mangiamo per vivere ma viviamo per mangiare. E per questo siamo riconosciuti nel mondo e per questo non riesco a riconoscermi nelle bausciate delle archistar.

Non sono un puro, figuriamoci, sono seducibile come tutti.
E dunque attenderò i racconti dei primi tra di voi che vi andranno. Fatemi sapere, di molti mi fido.
Forse quello che cerco sorgerà imperioso e imprevisto da quei cantieri mastodontici e cambierò la mia idea ma, per ora, attendo.    

domenica 8 febbraio 2015

Di cosa parliamo se parliamo di Lavoro, Sessualità e Sviluppo Sostenibile.

In questi anni di emergenza economica mi sono sentito molte volte messo all’angolo dal realismo e dalla concretezza di molti che sostenevano l’urgenza delle ‘Riforme Economiche’ prima di guardare a vere  politiche, di ‘Decisioni Inevitabili’ prima di riflettere su come evitare la deriva antisociale.
Come dire che con i tempi che corrono un Job Act è molto più urgente o importante del matrimonio omosessuale o che una Legge sulle Start Up ha precedenza su garantire le interruzioni di gravidanza della 194/78, sull’attuazione del divorzio breve o di politiche sensate e inclusive da sviluppare con i rom. 
Magari anche che la Riforma Elettorale sia più importante che fermare i conflitti di interesse e disboscare i privilegi.

Dentro di me qualcosa mi ha sempre detto come fossero facce della stessa medaglia e che se, da una parte, occorre un’economia che funzioni, in cui le impresa possano crescere; dall’altra, le imprese possono crescere, prosperare e innovare solo se la vita dei loro dipendenti  e manager (anche i gay, i divorziati, i musulmani, etc, diciamo almeno del 50% della forza lavoro) è potenzialmente più facile, giusta e felice.

Due o tre cose mi hanno colpito in questi giorni:
  • a Roma, l'Eur vuole individuare alcune strade dove concentrare il mercato del sesso. Subito altri quartieri vogliono imitarlo. In tutti gli stati occidentali la prostituzione è ‘normata’ in qualche modo, anche in paesi molto cattolici o religiosi in genere. La politica tentenna, tace, non ha argomenti, mastica generiche parole che servono a non esprimersi. In Italia 9 milioni di uomini vanno a puttane e 2,5 lo fanno frequentemente (Fonte Dipartimento Pari Opportunità): chi se lo può permettere sceglie centri lussuosi e controllati fuori confine, gli altri rischiano in Italia e alimentano la tratta e la schiavitù. . 
  • Tosi, sindaco leghista di Verona, dice “Normeremo il registro le unioni di fatto (anche omosessuali)”, Salvini lo incenerisce. Mentre i sindaci di Milano e Roma continuano a trascrivere i matrimoni gay fatti all’estero e a registrare eventuali figli di tali coppie. Lobby LGBT? No, rappresentazione di un mondo reale composto da di manager, creativi, operai, imprenditori che per decidere dove vivere e generare ricchezza per tutti hanno bisogno di certezze e serenità.
  • Il Papa e Petrini hanno detto chiaramente come l’Expo sia un luna park senz’anima e le loro opinioni – non nuove peraltro - sono state riassorbite nel rumore di fondo del chiacchiericcio come “Utili Ammonimenti” o “Critiche Costruttive”. Lo sappiamo, manca il coraggio di fare e pensare interventi che utili portino il cambiamento e una visione. Perchè li cito? Qui ci sono le radici del "Made in Italy", di che futuro vogliamo per l'economia, per il territorio, per le persone e spero non vi sfugga.
  • La Regione Lombardia vuole, per legge, rendere nei fatti impossibile l’edificazione dei moschee. In tutta Italia sono solo 13 e i musulmani sono oltre 2 milioni. E poi ci stupiamo se qualcuno si incazza… e qui si parla di onesti cittadini che in larga parte stanno pagando oggi le nostre pensioni.
Mai come oggi lo Sviluppo Locale è legato in toto a come il territorio sappia attrarre conoscenza, sviluppare innovazione, avere una cittadinanza che sappia apprezzare le differenze e non sporcare le strade.

Non vi è interesse e coraggio a affrontare questi argomenti, nessun desiderio di dialogo. Poche voci che per quanto dicano ovvietà, vengono tacciate come pericoli per la società.
Più passa il tempo, più mi accorgo di come nella politica non vi sia neppure un’opinione in merito
Nel PD, ad esempio, si sprecano le espressioni da pesce lesso davanti ai temi reali che toccano le vite delle persone o il futuro collettivo; gli MS5 non hanno un singolo tema etico nella loro traballante agenda; Alfano fa le sue ridicole crociate brandendo i prefetti come giannizzeri, per gli altri partiti queste sono solo lacrime nella pioggia acida della modernità che avanza e da cui provano a difendersi con fili spinati e vuoti capolavori mediatici come le Sentinelle in Piedi.
   
Insomma mi sembra di vivere al tempo dei Croods (spettacolare film animato in cui i cavernicoli pensano che fuori dalla loro caverna ci sia solo il Male, e che se il vivere in una caverna fa davvero schifo almeno è sicuro).   

Il nostro Paese non vuole vedere cosa ci sia fuori dalla sua cavernetta in cartongesso sempre da condonare e ha spesso paura della propria ombra proiettata dal fuoco sullo spugnato del fondo.
Però così si vive male, si pensa peggio, si innova zero, si diventa rancorosi, meschini e anche razzisti. Capisco bene chi emigra, cerca aria e libertà altrove. E, ve lo assicuro, si può trovare più di un paese dove le tasse siano eque, i servizi funzionino e – ve lo giuro – il cibo sia pure molto buono.

Faccio il mio lavoro a testa bassa, provando a far passare idee all'insaputa dei miei interlocutori, senza spaventarli, magari convincendoli che siano le loro. Poi, ogni tanto, trovo altri che ci provano allo stesso modo, e allora si tenta a far convegere obiettivi e - magari - strategie. E' poco? Non so, da quelche parte occorre pur cominciare.

venerdì 23 gennaio 2015

Se mia figlia partisse per portare aiuto ai profughi di Kobane.

La vicenda delle due volontarie italiane rapite in Siria e poi rilasciate dopo mesi mi porta naturalmente a pensare cosa avrei fatto/ detto/ pensato nei panni dei genitori delle ragazze prima, durante e dopo la prigionia. La stessa riflessione la farei come ipotetico padre di chi a vent’anni parte per andare a aiutare la ricostruzione in Palestina, a assistere i malati in Guinea, a costruire socialità a Rosarno, a educare bambini in Pakistan.
Mi chiedo cosa farei come genitore messo di fronte a decisioni così importanti e radicali da parte di figli appena maggiorenni. Prevarrebbe in me il “Te lo proibisco!”, meccanismo di difesa della famiglia patriarcale? Oppure direi “Decidi tu, la vita ormai è tutta tua”? Tenterei il ricatto affettivo? Sfodererei la logica cinica del “E’ una cazzata, pensa al tuo futuro, non ne vale la pena”? O insinuerei l’opportunista “Li puoi aiutare di più stando a casa e impegnandoti nel tuo quotidiano a  migliorare il mondo”?

Quel giorno spero di poter avere davanti una persona capace di esercitare spirito critico e prendersi responsabilità. Sul resto non credo di aver diritti né poteri.
Questo mi deve bastare, a questo voglio lavorare finché lei è ancora piccola. 
Perché a vent’anni sono degli adulti, devono essere degli adulti, altrimenti saranno già fottuti dalla vita. Magari sono degli Adulti Inesperti, ma questo – vista la velocità del cambiamento - in qualche misura è vero per tutti sino alla fine della vita.
Perché poi alla domanda “Serve qualcuno che si impegni in Palestina, a Rosarno, nelle favelas?”, la mia risposta è sì. 
Impedire che ci vada una persona cara diventa allora solo ipocrisia. 
Io non ci andrò mai lo so bene; chi lo fa, lo fa anche in mio nome, anche quando sbaglia, perché io non lo saprei fare meglio. 
Allora il minimo che devo accettare, direi quasi pretendere, è che le tasse che pago contribuiscano ai loro progetti, di certo più sensati che quelli militareschi (e ingenui) della Guerra tra Civiltà  che serve a distrarci dalla Guerra tra Ricchi e Poveri che poi è l’unica davvero in atto. E – se mai davvero servisse – le mie tasse voglio che servano anche a pagare i loro riscatti per riportarli a casa.  

Per ragioni lavorative incontro molti giovani cittadini che non si pongono alcuna prospettiva che vada oltre alla sala Scommesse, allo shopping sul Corso, che protraggono la loro condizione di post adolescenti fino a età imbarazzanti, anche oltre i 30 anni. Stanno lì, già delusi dalla vita, demotivati, giustificati da alibi che la famiglia e i media forniscono a buon mercato, parcheggiati in un eterno presente dal quale pretendono benessere senza dare nulla, del quale si lamentano senza proporre alcunché. Poi ne incontro altri, più tormentati, consci della trappola in cui si sono cacciati, che si muovono in molte direzioni alla ricerca di quella linea d’ombra che li separa dall’età adulta e che nel ‘fare qualcosa per gli altri’ trovano le ragioni per cui occorre ripensare se stessi, studiare, sperimentare.


Come padre credo che il mio mandato sia quello di fare sì che mia figlia a vent’anni non sia parcheggiata nel presente. Che prima di partire per qualsiasi avventura di vita sia preparata, motivata e vocata. Una volta attivata in lei questa forma di impegno e libertà toccherà sempre a lei decidere.
Io potrò dialogare con lei in modo credibile se io per primo sarò impegnato anche a 60 anni di incidere sulla realtà che mi circonda, altrimenti sarà meglio tacere e limitarsi a pagare le tasse.

giovedì 8 gennaio 2015

Il coraggio di riuscire a tenere la penna sempre carica

L’atroce attacco alla redazione di Charlie Hebdo contrapppone ancora una volta il potere del libero arbitrio, della libertà di coscienza e di parola nel mettere a nudo le ridicole inconsistenze dei governi e delle religioni con la forza delle armi e dell'intolleranza. 
L’informazione, la satira, la letteratura, l'educazione diventano così i nemici naturali di terroristi e tiranni perché pongono domande, aprono mondi possibili, rintuzzano la retorica dell’ufficialità, asfaltano le sceneggiate dei talk show, svelano i pulpiti di cartapesta.  


Ci siamo malamente assuefatti, considerandoli inevitabili, alle vite braccate di Roberto Saviano e Salman Rushdie e di molti giornalisti italiani che vivono sotto scorta. Facciamo finta di non cogliere come molti autori si autocensurino per vivacchiare come meglio possono (mi viene in mente Pamuk in Turchia).
La forza dell'informazione e della creazione artistica spaventa. È di qualche giorno fa l’attacco della Corea del Nord contro un filmetto fracassone prodotto dalla Sony che come effetto collaterale ha già portato alla cancellazione della produzione del film tratto dallo splendido fumetto “Pyongyang” di Guy Delisle. 
Al Cairo ci sono in questo periodo 3 giornalisti di Al Jazeera sotto processo per aver osato raccontare da un punto di vista non autorizzato i fatti della Primavera Araba. Nel loro caso, forse maggiore indignazione  e proteste da parte di tutti avrebbero davvero aiutato perché, lo sa bene Boffo che fu cacciato da Avvenire per aver messo in difficoltà il patto tra Vaticano e Berlusconi, l’onesta intellettuale esercitata verso la propria parte è tra le più difficili da sostenere.

Ancora oggi sento dentro di me il vuoto di opinioni e alla conoscenza che la mancata copertura mediatica alla guerra del Golfo e a quella in Afghanistan ha provocato in tutti noi grazie alla bella invenzione americana dei giornalisti embedded, pecorelle ammaestrate e nutrite a comunicati stampa del Pentagono. Una invenzione che quelli dell’ISIS hanno ripreso e migliorato con l’ostaggio-giornalista John Cantlie che per sopravvivere declama su Youtube la gloria e le ragioni deliranti dei fanatici combattenti.
Intimorendo la stampa, i terroristi (e i potenti) ci impoveriscono laddove sono le basi del nostro essere: nella capacità di discernimento e giudizio, e dunque nella nostra capacità di comprensione del mondo che ci circonda.

Mi irrita allora la vuotezza di quasi tutta la stampa televisiva autocensurata, afona di vere domande e contraddittori, avvezza all’inchino e alla confidenza verso chi dovrebbe invece tallonare, mettere in imbarazzo. 
Prima di arruffianarsi i lettori e gli spettatori con i loro "Je suis Charlie", le nostre testate dovrebbero ripetere che siamo 49vesimi nella classifica internazionale sulla libertà di stampa e sono pochi gli sforzi perché il 52% degli italiani che non legge neppure un libro all’anno esca dal girone degli ignavi. Faccio qui notare come l’ultimo oggetto editoriale paragonabile a Charlie Hebdo visto sul pianeta italico sia stato Cuore, chiuso nel 1996.
Per ogni Gabbanelli o Michele Albanese (giornalista sotto scorta de Il Quotidiano del Sud) ci sono intere redazioni che hanno come unica missione compiacere i potenti e intorbidire le acque.

D’altronde, anche per i migliori, è difficile appassionare, far indignare e riflettere dei lettori quando gli stessi non sono più geneticamente capaci di vergognarsi. 
L’unico vero successo raggiunto da Craxi e dal suo amico Berlusconi è stato quello di aver sdoganato, con la compiacenza della Chiesa, il “Se lo fanno tutti non è peccato” come primo comandamento tatuato nella coscienza collettiva.
Però se non mi vergogno non mi indigno. Se non mi indigno non mi interessa capire la realtà ma solo possedere opinioni semplici e categoriche, divertirmi e ‘vivere esperienze’. Se non mi interessa capire non mi riguarda la libertà di stampa e sono interessato solo alla parte gossippara del mondo che photoshoppa il reale per aumentarne la brillantezza e esclude le tristezze delle minoranze e degli esuli, gli interessi dei bambini e degli anziani, le guerre lontane, le epidemie, gli intrallazzi delle multinazionali e dei politici fuori controllo.


Ecco allora che l’empatia diffusa scatta verso l’evasore fiscale, il trombatore senile, il truffatore simpatico, il politico ladro dalla lacrima facile, soprattutto  verso chi ha un posto in prima serata e non se lo merita perchè così la mia empatia diventi presto invidia e possibile immedesimazione.
E se oggi sono Charlie, domani sarò facilmente Brad e dopodomani Matteo e non mi interesserà se qualche giornalista impugna la sua penna per difendere davvero la civiltà e la democrazia, e magari dimostra pure che il mio re è nudo, avvelenatore e armato… perché tanto - si sa - i giornali, sono tutti uguali, prezzolati e pieni di bugie.  

giovedì 1 gennaio 2015

Rispetto per le minoranze, considerandole un valore per tutti: secondo desiderio per il 2015

Lo ammetto, non mi sento parte di nessuna minoranza etnica, religiosa, sessuale o linguistica e dunque potrei fregarmene ma sento il mancato rispetto per una ‘categoria’ di persone come un’aggravante alla mancanza all’oltraggio fatto ai singoli. Poi, se le persone sono più felici, le cose funzionano meglio, tutti lavoriamo con maggiore passione, si produce qualità della vita e essere italiano diventa facilmente motivo di orgoglio e non l’anticamera per l’emigrazione.
Metto dunque il rispetto e la valorizzazione delle minoranze nei miei desideri per il 2015.

Nel concreto, alcuni esempi che non esauriscono di certo il tema:
  1. Una moschea in ogni provincia (almeno). Trovo incivile che in tutta Italia esistano solo 8 moschee (di cui 4 aperte nel 2013). È vero, esiste una sostanziale libertà di culto ma il culto senza i suoi luoghi è destinato alle rivendicazioni. I mussulmani sono circa 1,5 milioni e l’ingiustizia mi pare evidente. Per iniziare, credo che andrebbe reso obbligatorio alle Amministrazioni la costruzione di una moschea ogni provincia. I fondi possono venire dall’8 per mille, da oneri di urbanizzazione o anche dal bilancio.
  2. Una politica di buon senso con i rom. Sapete quanti sono i rom in Italia? Circa 150.000, diciamo lo 0,25% della popolazione. Tra questi, vive nei campi circa un quarto. Se sono percepiti come un ‘problema’ vuol dire che in molti desiderano che siano tali, che siano capri espiatori, che diventino fonte di lucro. Mi indigna non vedere una politica di lungo termine, definita con i rom, volta a aumentarne la qualità della vita con percorsi stabili di educazione alla cittadinanza, inclusione socio lavorativa, stabilizzazione dei giovani nei percorsi scolastici, valorizzazione del bilinguismo. E, in parallelo, percorsi di lotta al pregiudizio che coinvolgano anche me.
  3. Legittimazione dei matrimoni gay. Credo che il Paese sia pronto a riconoscere agli omosessuali un diritto che deve essere di tutti. Stiamo parlando di oltre 2 milioni di persone senza colpa né malattia che non possono essere se stesse. La mancanza dei matrimoni gay nel nostro ordinamento, oltre a rendere poco attraente l’Italia per il 5% circa della popolazione mondiale,  è una grande perdita per tutti perché la felicità dei singoli genera valore per la comunità.  
  4. Un futuro ai lavoratori precari. Nella discussione politica e sindacale, quella deiprecari è percepita come una minoranza: e di questo politica e sindacato pagheranno pegno.  È una minoranza mediatica che è maggioranza nel mercato del lavoro. Sono tanti singoli che non hanno tempo per lottare perché devono lavorare. Sono milioni di lavoratori che si arrabattano con una flessibilità circense e - anche quando riescono a pagare l’affitto - hanno la certezza di non poter arrivare a una pensione decorosa. Tengono in piedi il sistema pubblico, il welfare, molti servizi educativi, la produzione di cultura e i servizi alle persone. La prima cosa da fare sarebbe riequilibrare il divario di tutele e di ricchezza che hanno dai lavoratori garantiti, specialmente nel Pubblico Impiego. 
In questo mio desiderio non sono né particolarmente altruista, né troppo sognatore, vedo che c'è spazio per tutti, per le nostre diversità, per la ricchezza che ogni persona porta con sé, e odio l'idea che vada sprecata nella solitudine, nel rimpianto o nel rancore.