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lunedì 2 aprile 2018

Ho assistito al Giudizio Universale, ve lo racconto.

Una decina di giorni fa sono stato a vedere Giudizio Universale: Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel” all’Auditorium della Conciliazione a Roma, il nuovo grande show teatrale e multimediale sugli affreschi della Sistina. Dura 60’, è stato concepito da Marco Balich & Co. per coinvolgere vecchi e giovani attraverso un format innovativo ed immersivo senza precedenti. Lo spettacolo è realizzato con la consulenza scientifica dei Musei Vaticani.
Per lo scopo l’Auditorium di Via della Conciliazione è stato completamente rifasciato alle pareti e soffitto con pannelli su cui decine di proiettori ad alta definizione disegnano la Cappella Sistina, e poi scene di conclave, effetti atmosferici, acqua e fuoco. Ho letto di molti milioni investiti. Si narra che rimarrà in scena per oltre un anno con due show al giorno.

La trama è quasi nulla: Michelangelo fa lo scultore di David a Firenze. Il papa Giulio II lo chiama a Roma per dipingere la volta della Sistina. Lui risponde “No, io sono uno scultore” e dopo un secondo comincia a dipingere. Trent’anni dopo, Clemente VII lo chiama per dipingere il Giudizio Universale, lui dice “No, io sono vecchio” e un secondo dopo inizia a dipingere.
Nei fatti, lo spettacolo è una specie di Bignami degli affreschi della Cappella Sistina: ogni scena dell’Antico Testamento presente sulla volta è descritta con i suoi riferimenti biblici, così come accade per il Giudizio Universale. La spiegazione delle voci narranti è scolastica, totalmente appiattita sui versetti delle scritture.
Nulla c’è di Michelangelo, che rimane del tutto bidimensionale. Non ci viene detto né come, né perché dipinge. Non sappiamo nulla delle sue idee, dei suoi soggetti e modelli. Niente neanche sulla storia degli affreschi, sui mutandoni dipinti per coprirli, eccetera.
Gli attori recitano (sarebbe meglio dire ‘si muovono lentamente’) tutti parlando in playback, sia per agevolare la realizzazione di spettacoli in lingua inglese (e poi magari altre lingue) che per dare qualche chance in più al marketing e poter dire ‘La voce di Michelangelo è di Favino’, cosa vera ma di poco conto, viste le trenta parole che dice in tutto lo show. Il famoso tema musicale di Sting si riduce solo alla canzone finale dal minuto '59 in poi, pure bella ma davvero miserella.
Nello spettacolo c’è qualche risibile balletto, con un paio di volteggi in stile 'Amici', fumo e vento come ho visto al saggio di danza di mia figlia. Simpatico è l’uso dell’incenso diffuso in sala nella scena del conclave.

Siamo però tutti lì perché nello spettacolo la tecnologia comanda, perchè essa è lo spettacolo, e Michelangelo solo il pretesto. Questo è il vero messaggio che trasmette quel guscio trasformato in affresco. L’intento dello spettacolo è di essere sostitutivo alla visita reale implicitamente tacciata di essere superata e noiosa (anche perché dopo aver speso qui almeno 20 euro difficilmente se ne trovano altrettanti per andare ai Musei Vaticani). Quello che si raccoglie di senso e sostanza è molto molto meno di una replica di Alberto Angela. Si sintetizza in “Dammi venti euro, stai comodo e ti risparmi la coda e il consumo delle suole ai Musei Vaticani per correre dritto alla Sistina e uscirne in meno di un paio d’ore,” questo è il sottomessaggio. E' talmente vero che già le recensioni dello spettacolo su Google sono confuse con quelle della Cappella Sistina vera. L'unica differenza lamentata è che all'Auditorium non si possono fare i selfie.

È come se il dio della tecnologia  ricreasse per gli spettatori del XXI secolo quello che un Dio forse vero, l'ispirazione, l'estro, e la vocazione hanno creato per pochi in Vaticano.

È davvero strepitoso l’effetto di decine di proiettori per ricreare ambienti, zoomare su dettagli, aggiungere e togliere figure possenti. L'iconico contatto tra Dio e l'Uomo in punta di dita sembra dedicato alla creazione di Photoshop. Talvolta si accendono così tante luci che tutto sconfina in un effetto-discoteca che sarebbe facilmente evitabile. Sparare su sei metri quadri il dettaglio perfetto di un coscione michelangiolesco ricorda più la pornografia che l’arte: avrà anche un pubblico ma non mi scalda né i neuroni né l'anima. 

Passati i primi venti minuti di pura curiosità, mi sono reso conto di come lo spettacolo sia uno spartiacque nelle scenografie digitali. Come capita a molte innovazioni basate sulla tecnologia, sia al servizio di sé stesso e della voglia di scatenare “Wow!” negli spettatori. Un’ora di wow però non si regge e alla fine ci sono pochi applausi e molta distrazione, specie da parte dei più giovani.  

Lo consiglio solo agli operatori del settore. Che settore? Qui mi sento d'essere molto trasversale. A chi fa teatro (registi, tecnici, sceneggiatori), a chi organizza eventi, allestisce musei e centri commerciali, a chi è stuzzicato dalle potenzialità della tecnologia applicata alle narrazioni. Mentre il trionfo del decibel e del lumen proseguiva io mi chiedevo “Cosa farei io conquesto carnevale di luci e videomapping?” e se questi pensieri vengono a me che sono solo un piccolo praticante, immagino quanto possano esaltare chi ha stoffa e talento.

Ho speso bene i miei soldi perché ho imparato qualcosa, non di certo però sulla Cappella Sistina.

giovedì 8 marzo 2018

Donne e Uomini, Vittime e Carnefici, Passato e Futuro.


L’ultimo a finire sui giornali è stato un italiano, un carabiniere che ha preso la pistola, ha sparato alla moglie, ucciso le figlie e si è suicidato. Un omicidio premeditato fin nei più piccoli particolari.
Nei prossimi giorni ci sarà la sentenza per l’omicidio ugualmente premeditato di Michela, una nostra amica, da parte del suo partner, un manager bancario. Michela era una donna radiosa, un’insegnante molto impegnata nell’educare studenti e studentesse al rispetto e alla giustizia tra i sessi.
La stragrande maggioranza di questi reati avviene per mano delle persone più vicine e fidate. Quasi sempre uomini incapaci di affrontare la realtà e la vita. Inermi di fronte alle difficoltà proprie e a quelle della coppia. Alcuni in cerca di una madre nella partner, tutti inabili alla costruzione del futuro assieme. Uomini convinti del possesso,non abituati alla sconfitta, così come all’uso della ragione.
Come ben si sa, non sono né il reddito né il livello scolastico a inquadrare il fenomeno, né a darci spunti per combatterlo.
Gli uomini coinvolti in atti di violenza ragionano male, vivono male, pensano male. Qualcosa dentro di loro non funziona, o ha smesso di funzionare negli anni o non si è mai acceso. Parliamo di adulti, e  dunque la colpa è loro. Trattano le donne come oggetti di proprietà, o nel mito incatramato della coppia perfetta hanno annegato proprie imperfezioni con cui non hanno mai fatto i conti.

In questi fatti, i rotocalchi cercano la causa scatenante, l’alibi, i fantasmi del passato, gli amanti misteriosi. I media fanno il possibile per razionalizzare i ‘fatti’ o scaricano tutto sul ‘raptus’ e la ‘follia’. Non puntano mai il dito alla Colpa. Vi è un chiaro rifiuto a portare la riflessione su milioni di persone, perlopiù uomini, che dovrebbero fare i conti col proprio essere adulti per darsi un modo diverso di vivere le relazioni affettive.
Sul tema, nella nostra cultura è diffusa una superficialità giustificabile col non voler porre mai le domande che contano. Perché succede? Ci si arrende davanti a risposte troppo complesse e – soprattutto - scomode.

Per quel poco che ho vissuto e conosciuto, ho contezza che per quanto il panorama delle relazioni appaia a volte desolante le donne di oggi stiano in Italia molto meglio delle nostre nonne, ed è da questo che vorrei partire per smantellare la tesi del raptus.

È il caso di ricordare come le nostre nonne (se avete 50 anni) o bisnonne (se ne avere 20-30) hanno in genere avuto delle vite di coppia di merda. Sia lette con i nostri parametri che con i loro: zero affetto, zero complicità, tante legnate e tante corna. Non amano parlarne, non vogliono; siccome era inevitabile, le hanno educate a non parlarne mai: occhi bassi e mente a Dio.
Se vi capita, fate loro domande perché spesso la loro intelligenza aspetta solo di dimostrare quanto non fossero fesse ma piuttosto tenute al giogo.
Dall’alba dei tempi fino al dopoguerra – pochi anni fa - gran parte dei matrimoni erano combinati dalla famiglia, un’altra bella fetta erano riparatori, altri ancora casuali nati grazie al parroco, alle inserzioni sui giornali e simili. Qualcuno d’amore, lo concedo, vere perle rare. Anche quelli d’amore avevano quasi sempre uno schema chiaro nei ruoli di forza e nelle regole che segnavano la distanza del maschile dal femminile. Le nostre nonne erano considerate donne degne dallo Stato e dalla Chiesa solo se si riproducevano parecchio. Questi parti numerosi rispondevano a necessità socio-economiche e ottenevano anche il risultato di tenerle impegnate e con la testa bassa, lontano da libri e civiltà. Oltre a quello dovevano gestire casa, cucinare, educare i figli, etc.
Gli uomini dovevano lavorare e portare a casa soldi, fecondare le mogli e quando ‘serviva’ sfogarsi con le prostitute. Questi criteri li rendevano bravi padri di famiglia.

Era così, punto. Un ordine millenario sancito da necessità ed equilibri di forza. Poco da dire e recriminare. Chi ci provava finiva all’indice se non schiacciata dagli schiaffoni. Era la regola in tutti i matrimoni. Non bello da raccontare. Un po’ come il fatto che in quegli anni quasi tutti erano fascisti e antisemiti, parlo sempre dei nostri nonni e nonne, e oggi che riabbiamo i fascismo alle porte si ritiene ancora indecoroso parlarne, per rispettare la memoria posticcia fissata nelle foto in bianco e nero in bugiardi album di famiglia. 

Le cose cambiano. Credo che dopo l’invenzione della ruota, nulla abbia trasformato il mondo come la pillola anticoncezionale. L’appropriazione da parte delle donne del controllo delle loro funzioni riproduttive è il grande punto di svolta, il primo passo per porsi in una relazione nuova con se stesse, l’economia, la famiglia, la coppia.
L’altro elemento centrale è stata la Pace. Le donne sono il motore e la forza maggiore di un periodo di pace, quale quello che per fortuna stiamo vivendo in Europa da almeno 60 anni. Se non occorre prendersi a mazzate la donna sa bene come manifestare la propria intelligenza, ricchezza e il proprio ruolo. L’uomo del '900 non era programmato per la pace.
L’accelerazione fu forte e la miccia del ’68 servì a contarsi, a scoprirsi una forza, a uscire dalla solitudine a rivendicare quello che è dovuto non solo come donne ma come esseri viventi.

Gli uomini? Eccoci.
Per uscire dalla cultura della clava e del conflitto, dopo millenni dobbiamo cambiare i modelli di riferimento. Di certo abbandonare quello dei nonni e in larga parte dei padri. Possiamo funzionare anche disarmati solo se gli uomini che ci hanno cresciuto riusciamo a amarli e rispettarli, consapevoli che ci sono aspetti per i quali non possono essere dei modelli, e che la nostra felicità passa anche nell’essere diversi da loro. Non può essere altrimenti anche perché le donne che incontriamo sono contemporanee e in tutto diverse dalle nostre madri (meno male, aggiungo).
Il mondo che voglio è un altro, la pace è troppo importante, le donne sono immensamente interessanti per non coglierne il valore.

Dobbiamo anche imparare a litigare con loro. Perché è umano, serve, capita. Ce ne sono pure di stronze, prevaricatrici, crudeli. ‘Come un uomo’ verrebbe da dire. A questi conflitti va applicata la ragione e la giustizia e, se ci vedono perdenti, devono essere un insegnamento, come ogni altro fallimento nella vita.
Chi non ci riesce, chi questo non l’ha capito, si ammala di rancori e rabbia. Diventa vittima di sé stesso e genera vittime attorno a sé.

Dunque. Non parlate più di follia, raptus, pazzia, non ci credo. Basta scuse! La violenza è l’arma dei perdenti. Come faceva ogni giorno Michela, insegniamo alle donne e agli uomini – fin da ragazzi e ragazze – a cogliere la forza negli altri, a valorizzarne la differenza e a identificare i comportamenti deviati rifiutando anche le piccole violenze che, se accettate, autorizzano implicitamente questi criminali a atti sempre più distruttivi e umilianti.

domenica 25 febbraio 2018

Il futuro che vogliamo, a nostra insaputa.

Remo ha due figli da poco maggiorenni e mi guarda, sconsolato, “Sono ragazzi fantastici, anche impegnati. Il problema vero è che con loro non litighiamo mai. Intendo sulle cose importanti, cose come la politica, il futuro, il lavoro, la coppia. Una volta fissata la paghetta settimanale tutto il resto va da sé… non hanno una visione del mondo diversa dalla mia: proprio non hanno una visione del mondo di cui sentirsi responsabili.”
La difficoltà a immaginare il futuro è il limite di una generazione e di un’epoca. Non parlo di pessimismo ma dell’oggettiva difficoltà a immaginare come saranno le cose  5 o 10 anni. Chi lo sa? Io guardavo mio padre, gli zii, nonni e prendevo su di loro le misure di quello che volevo e non volevo ‘essere da grande’. Oggi è inimmaginabile ipotizzarsi a 20 anni di distanza. Certo, tutti d’accordo su Pace e Amore ma poi? Quale Pace? Quale Amore? Con quale significato?

Il modello è forse quello falso e modaiolo dello startupper? Patetico. Quello dell’influencer? Peripatetico. O quello dell’ingegnere che se non emigra si ritiene il nuovo operaio della catena di montaggio?
Più di venti anni di ammollo nel berlusconismo hanno azzerato gli anticorpi a una generazione o due. Siamo autoimmuni alle nostre coscienze. La colpa è sempre di qualcun altro. Il fine giustifica i mezzi. Tre quarti dei cantanti che passano in radio usa meno di 3000 parole perché, come i politici, hanno capito che la lettura di un bugiardino è oltre le capacità (e la voglia) di quasi tutti i loro ascoltatori. La politica gemma furboni, cretini e pupi bidimensionali  come Renzi e Di Maio, berlusconiani a loro insaputa, con la voglia di piacere, tutta tattica e zero strategia (B. la strategia l’aveva e si riassume nel fare politica per salvarsi da inchieste e fallimenti).  

Il Paese come sta? In Italia non ci sono mai stati così tanti occupati (nella storia); economia e fatturati aziendali sono in decisa crescita; criminalità in calo costante e importate. Da decenni non venivano legiferate riforme sociali così importanti e incisive. I clandestini sono in deciso calo. Le infrazioni comunitarie dimezzate. Eppure…
Eppure gli urlatori hanno uno spazio immenso, tra bugie e verità distorte, e chi le cose le ha fatte ha quasi timore a ricordarle. Ho tra le mani il volantinone delle 100 cose che il PD si propone di fare nella prossima legislatura e lo trovo confuso e infelice, quasi timoroso di dire “Siamo di sinistra. Riteniamo che l’interesse collettivo venga prima dell’individuale. Che la paura si combatta con la conoscenza e non con i muri. Che le tasse vadano pagate come dovere. Le case abusive abbattute. Le regioni governate dalle mafie, liberate. I dipendenti pubblici premiati per il loro lavoro quando è meritevole e cacciati quando fanno i furbi. Gli istituti di cultura italiana all’estero potenziati. I nostri cervelli (in fuga o no) coccolati. Gli insegnanti valutati, oltre che assunti e ben pagati. Gli stipendi dei parlamentari dimezzati. Gli imprenditori sostenuti, soprattutto se investono in economie sostenibili.”
La paura va combattuta con argomenti: il tempo indeterminato è finito, defunto, stop, chiaro?  e i migranti possono essere una risorsa determinante come lo sono in molti Paesi. La tecnologia è un toccasana per mille cose e una criticità in altri contesti, che si possono gestire se non si interviene sempre in ritardo. La Scienza non ha a che fare con la democrazia, e i vaccini non portano l’autismo.
Per vivere in questo futuro ci sono parecchi modelli di intervento che escludono la pistola ad ogni famiglia.
Il futuro comunque rimarrà un’incognita e dunque i venditori di risposte facili non valgono un lettore di tarocchi al luna park.

Il 4 si vota e mai come questa volta vedo la discesa in un trampolino per il salto con gli sci, nel mese di agosto. La mia amica Barbara, che vota da San Francisco, crede che l’eventuale vittoria di questa destra becera non ricompatterà affatto le opposizioni come sta accadendo in USA perché “Con la vittoria di Trump, qui siamo rimasti scioccati a livello viscerale. In Italia nessuno si scioccherebbe. È  questo il problema. Lì tutti si adattano.”

Avremo il futuro che ci meritiamo, anche a nostra insaputa. 

lunedì 12 febbraio 2018

Vedi, piccolo, questo si chiama ‘Fascismo’.

Vedi piccolo, questo si chiama ‘Fascismo’.
Quando uno dei migliori direttore museali spiega a una signora poco informata che gli uomini sono tutti uguali, che molti egiziani sono cristiani, che esiste un mondo reale oltre alla voglia di sangue immigrato, e il partito di lei risponde che quando vincerà le elezioni licenzierà tutti i direttori di musei, si chiama Fascismo. Eliminare per primi quelli che pensano meglio e magari in modo diverso, è una delle tecniche del Fascismo: il Fascismo adora i mediocri e ha paura di ogni novità.

Sai piccolo, quest'uomo appassionato mi ha fatto pensare... la settimana scorsa ho lavorato con con un gruppo di ungheresi che raccontavano come lì il presidente eletto abbia per prima cosa cambiato tutti i direttori di teatri e musei. Per paura della cultura, perchè libera le idee. Una signora intelligente mi ha confidato sottovoce “L’unica cosa che spero per mia figlia diciasettenne è che se ne vada prima possibile dal paese,” e mentre lo diceva aveva le lacrime agli occhi. Sì perché diventi diverso appena osi di ritenerti libero, e dal Fascismo vieni cancellato. Sì, questo si chiama Fascismo e mi rifiuto di pensare che per te sia meglio andartene per affermare che i tuoi sogni non sono in vendita.

Perché in Ungheria hanno eletto quel brutto presidente? Bella domanda piccolo. Perché per loro ha abbassato il prezzo del gas e della luce, fermato l’aumento del pane, aumentato le pensioni, distribuito lavori socialmente utili a spese dello Stato, perché gli ha tolto la paura di non arrivare a fine mese spostando l’attenzione dai suoi furti e dalle ruberie dei suoi amici a nemici deboli come gli immigrati e scomodi come i laureati.
Sì, questa è la vecchia tattica del Fascismo: far finta all’inizio di essere buono per poi trasformarti in carne da polpette. Funziona così: darti da mangiare se smetti di pensare; darti la luce se vivi ne buio; e poi chiederti in cambio di girarti dall’altra parte quando ti dicono che per farti continuare a mangiare devono bastonare il giornalista che racconta le storie, l’insegnante che spiega la Shoah, il genitore che si oppone alla tua divisa, il tuo amico perché è gay, la tua amica perché scrive libri che a loro non piacciano.   

A scuola hanno detto che bisogna stare attentissimi ai malintenzionati? Sta' attento ma anche calmo. Adesso ti svelo un segreto che può capire solo chi come me e te ama la matematica: l’Italia non è mai stata così sicura. Il numero di omicidi, di rapine, di cose brutte fatte a grandi e bambini, è diminuito tantissimo in questi anni. Così come gli incidenti stradali, di treno e aereo. E sappi che gli zingari non hanno mai rapito i bambini, zero. Gli immigrati integrati invece, che sono la maggioranza, pagano la pensione dei nonni. I numeri poi dicono bene come vaccini riducano drasticamente le morti ingiuste di bambini come te e gli antibiotici salvino la pelle a tutti.  Questi sono numeri, non favole, perchè la scienza non è fatta di opinioni ma di certezze costruite con fatica. La scienza non semplifica mai, il Fascismo sì.
È che ad alcune persone piace la paura perché così possono evitare di pensare al futuro, che è cosa faticosa anche se magnifica, e poi, se vuoi, con la paura di tutto è anche più facile diventare Fascisti potendo dire sempre “Io non sono fascista ma…”

Sarai Fascista anche tu? Non lo so. Puoi decidere da solo cosa fare del tuo futuro. Anzi, devi. Se ti chiedessi di credermi solo perché sono tuo padre sarei ugualmente Fascista. Ti chiedo di prenderti il tempo per capire cosa è meglio per te e per tutti vivendo a occhi aperti, con una buona dose di scetticismo, con speranza e curiosità, amando le persone, guardando se le donne sono felici (sono sempre un buon indicatore di antifascismo), stando sempre attento a non trasformare le tue paure nelle armi di qualcun altro. 



(Riprendo a scrivere su questo blog dopo quasi un anno di pausa. Non è una bella notizia però, significa che ci sono cose che non riesco più a tenermi dentro, che mi preoccupano oltre misura, sulle quali non mi basta il confronto con la famiglia e gli amici  e che mi impongono di allargare lo sguardo a nuove soluzioni prima che i pensieri diventino paure)

lunedì 10 luglio 2017

Una cosa bellissima che non vi posso raccontare (completamente)

Qualche mese fa un editore amico mi chiese se fossi disponibile per un progetto particolare: scrivere un libro che raccogliesse l’eredità spirituale di un uomo, destinato a figli e i nipoti. Si trattava di una persona che aveva avuto alte cariche pubbliche e voleva fissare le ragioni e i pensieri che avevano guidato la sua vita e le sue scelte
Sfide del genere mi stuzzicano: per l'editore anni fa ho realizzato la mission impossible di riscrivere completamente un romanzo devastato da una traduzione sciagurata, soddisfacendo sia l’autore orientale che il traduttore incapace. Nel passato ho poi la scrittura di alcune biografie aziendali. 

Insomma, ho accettato la sfida e poche settimane dopo mi sono ritrovato seduto davanti a lui, con la testa libera da idee e preconcetti e il registratore acceso.
Lui ha quasi ottant’anni. Da alcuni mesi ci vediamo per lunghe e tranquille interviste in cui fluisce il suo senso della vita, del dovere. L’amore per la sua terra, i pensieri per chi non c’è più, le preoccupazioni per chi gli vuole bene. Ha l’età di mio padre, dei miei zii, della nonna con cui sono cresciuto, di tante persone silenziose che sfioro ogni giorno sulla metropolitana o al mercato.

Quando ci vediamo apre una porta sul passato e un pezzo alla volta ne sfila quello che merita la luce del ricordo. Spesso ridiamo, altre volte l’aria tra di noi si ferma perché le sue parole devono scolpire trame dolorose, dense di vita e responsabilità, abitate da voci che sono ancora in lui come nel momento in cui sono nate anni fa.
Rimango attonito di come dopo cinquant’anni dai fatti si emoziona ancora a raccontarli. Io lì per lì faccio l’empatico, accolgo senza ostacoli o domande e faccio fluire in rivoli di senso che diventeranno laghi quando li organizzerò sulla pagina. Poi, a casa, con le cuffiette davanti al computer, sgancio lacrimoni trattenuti che mi allagano la tastiera.

Ha un senso del dovere raro in questo millennio. Parlando delle sue origini contadine mi ha detto “La differenza di classe ti pesa se la vivi male: se mi fossi sentito inferiore loro si sarebbero sentiti superiori. Io l’ho sempre messa così: voi in partenza siete stati più fortunati di me, la vita è lunga e le cose possono cambiare.”
Lo rivedrò tra un paio di settimane per gli ultimi ritocchi al testo e so già che tra un piatto di pecora stufata e una mozzarella in carrozza sarà ancora generosissimo di sé. Poi talvolta capita che tra noi ci siano dialoghi del genere:
Andrea, questo che ho detto magari non lo mettiamo nel libro.
“È interessante però, spiega tante cose…” ribatto, “Poi a togliere c’è sempre tempo.”
Sì, però non la sa neppure mio figlio.”
“Allora recuperi senza tanti giri di parole.”
Non l’ho mai raccontato a nessuno…

 “E' una occasione in più per dare senso a quello che hai fatto finora nella vita.” 

giovedì 13 aprile 2017

‘Give Peace a Chance’, anche nel 2017.

Da un po’ di tempo Papa Francesco riporta all’attenzione di tutti questioni che più che alla religione afferiscono al buon senso e a un etica che può essere cattolica, ma anche laica, buddista e quello che volete. In particolare punta il dito contro le armi. Di certo ne condanna l’uso, tuttavia lui si spinge con forza a condannarne la costruzione e più o meno direttamente anche il lavoro di chi le costruisce.

È una questione che mi sta a cuore e pochissimo dibattuta, sia sul piano economico che su quello etico.
Negli anni ’80 “Give peace a chance” era più di una canzone, era per molti un obiettivo concreto. La leva obbligatoria ti portava a prendere posizione. Come molti amici, ho scelto l’obiezione di coscienza per rifiutare la logica del conflitto e anche per non impugnarle. Ricordo bene il sergente alla visita di leva che mi disse “Attento. Se fai l’obiettore, non potrai avere il porto d’armi per tutta la vita.” Il sorriso che feci allora lo rifarei oggi.
Dopo la laurea rifiutai almeno un paio di lavori perché le aziende che me li proponevano erano produttrici di armi pesanti, sistemi di puntamento missilistico o di telecomunicazione e simili. Erano gli anni in cui ferveva un diffuso dibattito sul tema, piuttosto fuori dagli schemi della politica e della religione. In migliaia manifestammo unendo in una catena umana la base dei Tornado a San Damiano alla Centrale di Caorso, e così via. Quello del disarmo come prerequisito alla Pace era un movimento trasversale che aveva forti oppositori a sinistra, a destra come nella Chiesa.  
Il crollo del Muro di Berlino è il simbolo e il maggior successo di quella stagione. E un po' la fine dello slancio legato all'urgenza di cambiare la logica della violenza.  

Ascoltare oggi il Papa condannare chi col proprio lavoro fabbrica le armi mi torna allora come una voce dal passato da attualizzare. 
Oggi fare armi vuol dire raramente fondere acciai speciali per costruire bombe o mitragliette (vuol dire anche quello comunque), ma sempre di più è scrivere linee di software, progettare scafi o motori, immaginare satelliti, sviluppare realtà virtuale, droni e simili. 
Intendo dire che la distanza del pensiero e del lavoro dalla morte di qualcuno si è fatta abissale e i sensi di colpa si sfumano nell’indefinita destinazione d’uso di quello che si fa. Eppure non ci sono scuse: le armi si fanno per venderle e usarle, e si fanno prevalentemente nei paesi che sono in apparente pace dentro i loro confini, come il nostro, l’Europa, USA, Russia, Giappone, Cina e pochi altri. L'ipocrisia di questo mercato è colossale e silenziosa e ogni rifessione viene messa a tacere deresponsabilizzandosi col "Se non lo facciamo noi lo fa qualcun altro".


Ecco che il Papa  dunque diventa eversivo. Perchè non lavorare per chi fa armi, è una scelta prima di tutto politica, etica e poi educativa.
L'ultimo papa eversivo fu Papa Luciani che disse "Dio è madre" e dopo tre settimane morì in circostanze poco chiare. Far passare l'idea che lavorare per chi fa armi non è cosa buona e giusta potrebbe schiacciare calli ancora più grossi.

lunedì 27 febbraio 2017

Migrare per vivere e per morire.

Uno dei ricordi più limpidi della mia infanzia è legato alla malattia di mia zia. 
Lei abitava sopra di noi e con lei ho passato tanto del mio tempo di bambini. Si ammalò di un tumore incurabile. Siccome era giovane, il suo corpo non cedeva nonostante gli organi interni collassassero uno a uno lentamente fino a portarla al coma. Ricordo negli occhi dei miei genitori tutto lo strazio di quelle settimane, soffrivo in silenzio con i miei cugini. Ero piccolo ma mi era chiaro come l’impotenza di tutti passò presto alla rabbia, al sapere che non c’era rimedio. Fino al giorno in cui mi fu comunicato “Oggi facciamo staccare i tubi e le macchine.”
“Si può?” risposi stupito.
“No, però è giusto. Come si fa sempre in questi casi, diamo centomila lire a una suora di buon cuore e ci pensa lei.”
Qualcosa in me scricchiolò. Era giusto ma non mi sembrava sensato.
Poi passano 40 anni e siamo ancora di fronte al caso di Fabiano Antoniani (alias ‘DJ Fabo’) che sceglie di morire con dignità in Svizzera per non farlo di nascosto in Italia, molti anni dopo il caso straziante e inumano di Michela Englaro costretta per anni a una vita che non voleva, spolpata dalla malattia, dagli avvoltoi più benpensanti e dal coyote Berlusconi. Ed ecco arrivare gli stessi scricchiolii.

Sono rumori sgraziati nella macchina della civiltà, ingiusti cazzotti allo stomaco pochi giorni dopo le polemiche imbarazzanti di fronte alla scelta di un ospedale romano di cercare ginecologi non obiettori alla pratica dell’aborto per garantire un diritto sancito da una legge dello Stato.
E in questo caso ecco che mi tornano alla mente le parole di quel ginecologo che mi erudì: “Le liste di attesa in Italia sono lunghe, la procedura complicata e gli aborti in ospedale si fanno quasi di nascosto. In casi così consiglio ai miei pazienti di prendere un volo da Roma che atterra a Heathrow. Di lì in meno di un’ora sei in clinica, si procede all’aborto e poi si rientra. Tutto in 2 giorni e con meno di 2000 euro.”

C'è da portare avanti una lotta contro tutti gli aspetti del paradosso che ormai vede gli italiani migrare all'estero sia per vivere decentemente che per morire dignitosamente. Temi che darrebbero argomenti solidi e facili voti a qualsiasi forza politica che avesse a cuore il futuro del paese e non solo mantenere il proprio culo sulla poltrona, abbaiare ai migranti e costruire stadi di calcio.