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lunedì 30 settembre 2013

I bambini e il bilinguismo (caso 11)

Al parco ho incontrato Kate. È italoamericana, è la mamma di Marta, una pupetta di 4 anni con i capelli corti e gli occhi grandi. Era furiosa. “Le maestre della scuola materna mi hanno detto di non parlare a Marta in inglese altrimenti si confonde, e quando loro le parlano in italiano lei non capisce.” Le pareva paradossale, come in effetti è.
Loredana invece mi aveva detto tempo fa che la sua pediatra indicava di cominciare a ‘insegnare’ il rumeno del papà a Matteo dopo i tre anni “perché prima non avrebbe senso, neppure capiscono l’italiano.”
Non credo sia necessario sottolineare qui l’importanza e la ricchezza del bilinguismo, sia per quello che consentono in materia di relazioni, che delle competenze e di capacità di relativizzare i concetti.
Mi pare invece il momento di fare ordine in questa importante fase di apprendimento dei bambini della quale nessuno degli inutili manuali di pedagogia che affollano gli scaffali fa mai cenno.
Mi permetto di farlo perché i miei bambini sono bilingui (italiano e tedesco) e con loro ci sembra di essere sulla buona strada:
  • Per i bambini non ci sono le lingue ma le persone: per loro c’è la lingua di mamma, la lingua di papà, quella del nonno… e non l’italiano, l’inglese, il rumeno. Associano le lingue alle persone. Nella loro testa il passaggio da una lingua all’altra è automatico a patto però che questa identificazione sia totale e senza incertezze. Ecco dunque che i due genitori con i bambini devono parlare SEMPRE e SOLO nella loro lingua, fin dall’inizio (qualcuno sostiene sia meglio farlo fin da quando il bambino è in pancia). Occorre costanza e metodo in questo.  Occorre dire “Non capisco” (anche se non è vero) se il bimbo si esprime nella lingua sbagliata.
  • Se i coniugi non sono ‘fluenti’ nelle rispettive lingue: capita spesso e per molti è il vero ostacolo. Io, ad esempio, non so quasi il tedesco e dunque non capisco tutto quello che mia moglie dice ai bambini. Negli anni però la percentuale della mia comprensione è salita dal 20 al 70% e a forza di ascoltare faccio costanti progressi. Non fatevi bloccare da questo, prendetelo come una opportunità anche per voi come coppia.
  • I bambini non imparano le lingue, semplicemente parlano: non ci sono sforzi, non faticano. Ecco che l’associazione dei visi alle lingue per loro è naturale. Quando i miei erano piccoli, dopo le vacanze in Austria dove parlavano con tutti tedesco tranne che con me, al ritorno in Italia continuavano a fare nello stesso modo (perché ci mettevano qualche giorno per settare il concetto ‘persona sconosciuta’=lingua italiana.) Occorre anche uscire presto dallo schema papà-mamma ma dargli riferimenti in entrambe le lingue già in Italia. Fate sì che abbiano altri bambini con cui giocare e parlare la lingua diversa dall'italiano.
  • La quantità è importante: i detti popolari come ‘i bambini sono delle spugne’, ‘ da piccoli si impara più facilmente’ hanno sicuramente una base scientifica. Non ho elementi per valutare; so solo che la lingua si impara per quantità e amore. Se si ascolta tanto tanto tanto da una persona che si ama, si impara naturalmente. A ogni età. Ecco tutto. E dunque occorre costanza e impegno. Ritengo importante che, almeno sinché non sono sicuri in entrambe le lingue, le vacanze vadano fatte nel paese straniero.  
  • La lingua ‘forte’ e quella ‘debole’, come riequilibrare: una delle due lingue è sempre più presente. Di norma è quella del paese in cui  si vive, che spesso diventa anche quella veicolare tra fratelli e sorelle. Ecco allora che occorre difendere e valorizzare quella meno presente. Suggerisco fin da piccoli l’uso sistematico di film e cartoni animati in lingua, l’introduzione di feste tipiche (ad es. noi abbiamo la Martinsfest a Novembre, l’arrivo dei Re Magi, e altre simpatiche ricorrenze con musiche e rappresentazioni), di legare il cibo alla lingua introducendo spesso nel menù italiano piatti dell’altro paese spiegandoli, raccontandoli.  Di estrema importanza sono poi  i libri e le canzoni in lingua: qui occorre esagerare perché nell’ascolto e nella riproduzione infinita si marchino nei bambini i pattern della lingua.
È facile, molto più di quanto sembri, per i bimbi e per i genitori.



Per chi volesse approfondire alcuni casi precedenti:                     

venerdì 27 settembre 2013

Signor Barilla, mi consente?

La recente vicenda del signor Guido Barilla che argomenta con forza la sua filosofia commerciale diretta alle coppie etero, quelle in cui la donna è felice di essere lei sempre ai fornelli, col marito che sbuca solo quando i fusilli sono in tavola, non mi scalda poi così tanto. Lui non è interessato al target omosessuale? Lui vede la donna solo come angelo del focolare? Fatti suoi. Governa un brand che se non cambia perde, ma sono fatti suoi. Non ritengo che le pubblicità debbano essere politicamente corrette, tantomeno orientare gli atteggiamenti morali. Servono a condizionare i comportamenti d’acquisto. In questo senso la reazione irritata di molti fa pensare che i consumatori sappiano scegliere.

Il signor Barilla ha detto quello che pensava, che pensano purtroppo in tanti, di certo quelli a cui lui vuole vendere la sua pasta e (come dice lui) gli altri sono liberi di mangiare altro.
Cosa che senz’altro faremo. Io perlomeno se posso evito Barilla per motivi che oggi trovo sensato esplicitare:  
  • E’ una pasta mediocre: tra le opzioni sugli scaffali le scatole blu della Barilla non sono niente di chè. Si è scelta la nicchia della mediocrità, di pasta sicura e tranquilla, quasi l’icona del conformismo a tavola. Ma il conformista oggi è modaiolo, sfuggente. Ecco allora che da un po’ la Barilla tenta di posizionarsi su una fascia medio-alta ma sotto i denti però non supera in qualità le paste da mensa e, come per i tappeti, nei supermercati è sempre più spesso in sconto. (mentre le paste buone sono in sconto due volte l’anno, se va bene).
  • I formati paraculi: prende per i fondelli con la varietà della sua offerta. Ha recentemente varato le Specialità, paste normalissime che costano di più perché … non si sa. Tra queste ci sono anche le Farfalle, la pasta meno speciale e esclusiva mai immaginata da trafilatore annoiato. Poi ecco i Piccolini: mini penne, mini fusilli, mini farfalle, bonsai di grano duro per sedurre i genitori insicuri che – magari con pupi che mangiano poco – pensano che una simile paraculata basti a convincere l’infante. E infine gli Integrali, che alla Barilla costano uguale se non meno degli altri formati ma che il signor Barilla si sente in dovere di vendere a prezzo maggiorato.
  • Lo spot di Forza Italia del ’94. Lo ricordate? Ha ampiamente saccheggiato musiche e immagini Barilla, ne ha travasato il populismo in politica. Fa sorridere che oggi qualcuno si indigni per le posizioni tradizionaliste dell’azienda. Mi basta pensare a quella musichetta infame per cancellare il carboidrato in scatola blu.
  • Le mani in pasta: la condanna per le attività di cartello tra le aziende produttrici è alquanto irritante e ormai definitiva. La Barilla paga 5,7 milioni di Euro di multa dei 12 complessivi (divisi tra 26 aziende di settore).     
  • L’invenzione del Mulino Bianco Questa poi non gliela perdonerò mai. Come tutte le madri, anche la mia fu sedotta dalla pubblicità e da un’incontrollabile pulsione verso le raccolte a punti. Non si parlava più di gusto, di fragranza, di morbidezza, ma solo di pupazzetti, di cuscini gonfiabili e di improbabili mollette a forma di animali della fattoria. Sulla nostra tavola, a colazione, i Bucaneve persero lo status di unici fornitori della mia unica colazione e ebbero dignità di una presenza in biscottiera ogni tre apparizioni di Mulino Bianco, e solo dopo mie insistenti lamentele. Anni dopo frequentai un master in cui il docente di marketing strategico elencò gli stratagemmi adottati dalla Barilla per affermare il Mulino Bianco. Quella lezione diede certezze ai miei peggiori sospetti quando compresi le finezze della campagna pubblicitaria centrata sull’idea del ritorno alla natura ma in realtà facente perno sul terrore di vivere in un mondo contaminato dove nessuno è disposto a fare un passo indietro ma tutti si vantano di apparire ecosostenibili. Un mondo dove le sorelle sono tutte bionde, ricce e saputelle. Mi fu chiaro quanto la metafora del mulino celasse in realtà un immenso hangar di pesticidi che venivano liberati nelle colazioni e contaminavano la coscienza di una generazione.
Barilla non mi è simpatica, ok.
Forse oggi è il consumatore a dover provare a essere politicamente e papillarmente corretto.
Stasera rigatoni con spada e melanzane.

domenica 22 settembre 2013

Di cosa parliamo se parliamo di senza lavoro.

La crisi ci avvolge e le soluzioni latitano. Le comunità si sfilacciano, le famiglie scoppiano, le persone si abbruttiscono, si disperano, muoiono talvolta per mancanza di alternative.
Le risposte alla domanda di lavoro, di opportunità, di futuro, sono ostaggio di una politica disattenta e colpevole. Oggi però lascio a voi l’individuazione dei responsabili. Oggi i miei pensieri devono andare a chi in questo caos prova a dare un aiuto concreto.
Avete mai avuto a che fare con i Servizi per l’Impiego? Ci lavorano molte persone. È sempre più un vero Pronto Soccorso per anime perse.
Gli operatori che vi rispondono, che si impegnano a darvi nuovi indirizzi e opportunità sono sia dipendenti pubblici che specialisti privati. Forse alcuni si sono arresi alla montagna di richieste che ricevono ma, vi assicuro, in molti ci mettono l'anima. Contribuiscono come api operaie a portare grani di futuro a chi ormai non ne vede più. Molti sono supereroi del quotidiano con una vera vocazione all’ascolto, talento nel superare la burocrazia, abilità nel fare il possibile con gli strumenti disponibili. 
Hanno una grande  preparazione, ma senza compassione non riuscirebbero a fare nulla. Moltissime sono donne e ritengo che ciò non sia casuale.

Ne conosco parecchi, li ammiro, di alcuni ho la stima per aver fatto assieme  pezzi di strada. Ho l’onore di essere incluso nei loro pensieri, e in qualche mail.
Federica ha mandato quella che segue a me e ai suoi colleghi. Vorrei che la leggeste, e  che la faceste leggere, perché il loro è un lavoro oscuro, poco valorizzato. Spesso si prendono le colpe di un sistema che non dà alternative ai più deboli in realtà sono sentinelle di umanità al servizio dei cittadini:

“Sono sul treno per Novara e questi giorni sono stati un po’ faticosi.
Martedì abbiamo dovuto chiamare i Carabinieri per mandarli a casa di un nostro utente che non andava più al tirocinio da 3 giorni e aveva il cellulare staccato. Sfondando la porta lo hanno trovato senza vita.
Non ti dico la tristezza che stiamo accumulando: sono 6 mesi che gestiamo e situazioni al limite dell’umano...tendenti al disumano per certi aspetti... Sono tutti soli, solissimi. Tutti senza lavoro, a volte senza casa con figli a carico e spesso malati.
È tredici anni che faccio questo lavoro. Ricordi, all’inizio li assistevo al telefono e già pensavo di esser più un'assistente sociale che un’addetta alle informazioni sul lavoro. Ora, qui, nell’incontrarli di persona puoi immaginare...
Spesso siamo per loro l’unico appiglio, le uniche che li ascoltano veramente.
Ascoltando i loro problemi le loro storie pazzesche pensi a quanta fortuna hai... Ogni giorno in me cresce la consapevolezza di essere veramente fortunata.

Questo signore aveva 65 anni, nessun parente, credo nessun amico perché è triste pensare che siamo stati addirittura noi a dare l’allarme dopo tre giorni. A nessun altro è venuto in mente di andare a casa sua per vedere che fine avesse fatto... La scorsa settimana si lamentava ancora con me perché la Provincia (in realtà era la banca) gli tratteneva quasi 3 euro al mese su un bonifico di 530 al mese sulla sua tessera ricaricabile... una follia... mi ha spiegato che lui con 3 euro ci mangiava 2 volte. Gli ho chiesto cosa mangiasse e mi ha detto ‘una scatoletta di tonno e un pomodoro.’
Ti rendi conto???? Mi vengono i brividi ancora oggi a pensarci... la povertà e la solitudine messe assieme sono due cose tremende.

Il lavoro in questo momento è estremamente complicato, ci disarma la sofferenza che si portano dentro in così tanti. È emotivamente pesante.
Allo stesso tempo sto imparando molte cose. Mi sento davvero utile, sento che stiamo aiutando queste persone mettendoci tanta umanità, calandoci nelle situazioni di ciascuno. A volte penso che forse questa sia la mia vera vocazione... chissà...  ci sono però volte che mi porto a casa troppi pensieri legati a loro, forse dovrei essere più distaccata... ma è impossibile...

Che dire… se questo può far riflettere ancor più ciascuno di noi ben venga. A me ha fatto riflettere moltissimo. Banalmente, tutte le volte che sto per lamentarmi di qualcosa che non va nel verso che vorrei penso ai nostri utenti. A volte vorrei  portare con me i bambini per fargli ascoltare qualcuna delle storie che ascoltato io. Ma forse sono ancora troppo piccoli per capire, e da loro troppo non posso pretendere....ma a qualche adulto farebbe bene toccare con mano la realtà...
In questi 13 anni pensavo di avere affrontato molte situazioni disagiate e disperate ma, credimi, niente a che vedere con alcune di queste, con quello che sta succedendo ora ...
Pensa che questo signore aveva scritto delle poesie e un libro che parlava di bambini. Aveva provato anche a pubblicarlo ma gli avevano risposto che avrebbe dovuto comprarsi le prime 100 copie e lui, come puoi immaginare, non avrebbe mai potuto farlo. Mi dicono che queste poesie e il racconto siano ora nelle mani della segretaria della scuola presso cui lui prestava tirocinio. La signora era, insieme a noi, una delle poche persone che avevano un contatto con lui.... e lui giovedì, ultimo suo giorno in ufficio, gliele aveva portate.

Oggi dovrò gestire la chiusura del tirocinio di questo pover uomo... un persona veramente carina… Dovrò sentire il maresciallo dei carabinieri perché siamo state le ultime persone ad avere contatti con lui ecc ecc... sarà una mattinata molto pesante...!

Questo è stato il mio sfogo...

Buona giornata Fede”



(Post dedicato a tutta Conform e ai tanti amici nei Centri per l'Impiego in tutta Italia. Grazie.) 

martedì 10 settembre 2013

Si può e si deve fare a meno di Silvio. Concediamoci a una Speranza Laica.

Daremo aria a queste stanza molto prima che sia Natale” afferma Ivano Fossati in ‘Ventilazione’ nel 1984. Ecco, credo che nel 2013 sia ora di dare aria nuova alle stanze dove vivono 60 milioni di italiani e dove l’aria è viziata, viziosa, mafiosa, omertosa,  arresa al fetore emanato da 20 anni di berlusconismo edificati sulle regole della P2.

Un fetore di cui diventi consapevole subito uscendo dal paese. Lì, dove l’aria è diversa. I sogni sono realizzabili. Vige la meritocrazia e l’attenzione ai più deboli. Dove valgono le regole e si pagano le tasse, funziona la sanità e la scuola (con libri, scuolabus, etc) sono sempre gratuite. Dove se un politico per errore paga con soldi pubblici la torta di compleanno della figlia deve dimettersi sotto la spinta del proprio partito.

Nel 2013 il Paese può e deve ricominciare a vivere senza Berlusconi e i suoi cloni e accattoni, i ricatti e i riccastri, i tronisti e gli intronati, le scorte e le escort, le mazzette e i mazzieri, i tricologi e gli stallieri.

Il fatto che uno dei pochi processi che non è riuscito a pilotare, cambiando le leggi o intimidendo la magistratura, sia arrivato a conclusione e lo metta elegantemente ai margini della politica, è una vittoria dello Stato e assieme una sconfitta della Politica. È andata così, non piace neanche a me. Tutti avremmo preferito venisse cestinato dagli italiani, ma troppi italiani hanno un prezzo e alcuni giudici no.

I molti avremmo preferito fosse cestinato dalla sinistra. “No way” dicono a Londra. Non ci sono i presupposti perché troppi a sinistra lo hanno invidiato, mitizzato, studiato (magari per generare un B. ‘buono’ geneticamente modificato).
Mi pare ancora di sentirlo Nanni Moretti che a piazza Navona urla rivolto alle statue di sale di D’Alema e C. “Con questi dirigenti non vinceremo mai.” Non ci siamo spostati di molto ma qualcosa succede anche lì. Spifferi di aria nuova anche in quelle stanze. Se ascolti o leggi (qualcuno lo fa ancora?) Barca, Cuperlo, Civati, Puppato capisci come non tutto il valore della giustizia, della solidarietà, della sussidiarietà, del sogno europeo, sia andato disperso nel silicone che ha modellato le menti in questi anni. 
Se il PD potesse essere certo di sopravvivere senza Berlusconi non avrebbe dubbi al voto sulla decadenza dell'impresentabile evasore fiscale. Qui comunque non è in gioco la sopravvivenza del PD, (diciamo pure ecchissenefrega, i partiti sono mezzi non fini), ma di tutto il Paese. Di noi.
Quel che è certo è che torneremo democristiani per un po’, perché è quello che sono Letta, Renzi, Monti, Lupi, e compagnia bella che resteranno a governare.
Perché i germogli hanno bisogno di tempo per crescere. Perché non credo nelle rivoluzioni, né nella democrazia elettronica. È così. Forse è pure il meno peggio. Me ne farò una ragione. Ma la Speranza non ha il copyright di Bergoglio e mi permetto di averne molta anche io.

Voglio coltivarla per me, i miei figli, le persone con cui lavoro, a cui voglio bene, e per quelli che non conosco ma che guardano a un futuro assieme in un mondo sostenibile anche politicamente. Insomma, una bella Speranza Laica di cui andare orgogliosi, con cui illuminare la strada per schivare le buche e trovare nuovi compagni di viaggio.

Non sono un romantico. So che per quarant'anni almeno sentirò dire "Quando c'era B. le cose andavano meglio. Si scopava pure le crepe nei muri ma aveva tolto l'Imu" (che sta a Mussolini come "ha fatto qualche errore ma non fondo ha migliorato il paese"). Li lascerò parlare perché sono per la libertà di espressione e perché il positivo senza il negativo non si percepisce neppure. Spero invece che la libertà dalla Casa delle Libertà faccia nascere una destra degna del XXI secolo.
Non sono un figlio dei fiori. La mia Speranza che l'Italia cambi si fonda sui talenti e sulle idee, che in gran parte ci sono, che già si incontrano, che già la politica la fanno. C’è già chi questa società la sta innovando, nonostante l’ignavia di chi ci governa oggi. C’è chi fa impresa schifando gli incentivi pubblici, chimere per i ‘soliti noti’. Chi nelle scuole si batte per portare libertà di pensiero e capacità di integrazione. Sono in molti a sperimentare nuovi modelli di vita, di acquisto, di educazione, di incontro, di arte, di partecipazione.
Loro stessi hanno timore della portata delle loro azioni, spesso pensano che afferiscano al loro ‘privato’ e non realizzano che spegnere una luce inutile è già fare politica.

Spegniamo dunque le luci inutili, accendiamo la voglia di fare e diamo aria a queste stanze molto prima che sia Natale.     

venerdì 6 settembre 2013

Ecco un'altra lista di prodotti sul mercato che dovrebbero temere l’ira dei consumatori.

Siamo consumatori, è vero, ma anche esseri pensanti. Ritengo doveroso ribadire ai produttori che non ce le beviamo tutte, che non tutti ossequiamo la pubblicità, che coi soldi non si riesce a asfaltare tutta la pubblica opinione.
Per qualche motivo che ancora non comprendo appieno, il mio post con la Lista dei Prodotti che Spazzerei dai Supermercati dopo oltre un anno continua a avere decine di visite al giorno. Ciò un po' mi turba ma mi incoraggia anche a allargare la riflessione a altre categorie di prodotti e servizi facenti parte del nostro quotidiano.
Lo faccio attendendo commenti, critiche  e condivisioni.
  1. I carburanti: essi devono solo carburare rispettando le leggi. Punto. Nella scelta del distributore l’unica variabile logica di confronto può essere il prezzo. Al rogo le raccolte a punti, le tessere fedeltà. Io il diesel non lo voglio Blu, Up, Blitz, o Race. Lo voglio per andare di qui a là. Poi vorrei che ai distributori che truccano le colonnine o aggiungono acqua al prodotto (sono circa il 10%)  venga ritirata la licenza,  mi parrebbe il minimo.
  2. Le carte igieniche: sceglierle è un incubo. Non potendole provare lì sul posto, né tastare, Le guardi come Amleto fece col teschio. Ti chiedi soprattutto quanto ti dureranno cioè il loro fattore C ( numero cagate * rotolo). L’unico indicatore che vorresti sul pacco è la lunghezza del rotolo che invece non c’è. Non mancano mai invece aggettivi più appropriati per un cuscino che per un pezzo di carta da culo. Il vertice della cacofonia lo raggiunge la ‘Morbistenza’ di Tempo (che per questa ragione specifica e sintattica invito a boicottare duramente, checché ne dicano le vostre chiappe).
  3. Le insalate in busta: un prodotto luciferino. Si tratta della stessa insalata che costa 1 euro al chilo al mercato venduta a prezzi di filetto di sogliola. Mi pare un’offesa prima di tutto al buonsenso. Anche il palato non è che ne gioisca molto: sanno sempre un po’ di gas inerte, pare che abbiano sudato a lungo per uscire dal sacco, e trasmettono ai contorni una certa tristezza inconsolabile.
  4. I Giochi: lo sapete vero che in Italia ci siamo giocati più di 80 Miliardi di Euro nel 2012? Diciamo più di mille euro a testa inclusi i neonati e i clandestini. Il gioco è un prodotto di Stato molto sofisticato, che si presta alla perfezione per arricchire le mafie, evadere le tasse, rovinare le famiglie, ammalare le persone, spegnere la vita nei giovani, prosciugare le rimesse degli emigranti. Il costo per la collettività è enorme e include la cura delle ludopatie e le altre dannate patologie inevitabili. Invece che curare chi gioca occorrono campagne imponenti affinché i ragazzi capiscano che con quella roba si perde sempre.  
  5. La telefonia e le sue tariffe: un bel settore senza nessuna concorrenza reale. Andate in Germania o Austria e fatevi un abbonamento illimitato verso tutti, estero UE incluso, a 10 Euro al mese, magari con 3 o Vodafone che operano anche qui, e capirete come ci trattano da popolo bue anche in questo settore. Le tariffe sono alte, i profitti spaventosi e le società riescono pure a essere in difficoltà di mercato. I manager: o banditi o incompetenti.
  6. Il Calcio come prodotto: di cosa parliamo? Di un prodotto fasullo e pericoloso, che proietta sui ragazzini la propria mediocrità e quella dei propri interpreti dicendogli che quella è la cifra dei vincenti,  che cambia simboli e divise ogni anno per vendere più magliette, popolato da personaggi di uno spessore morale tale che sarebbero reali solo se fossero fumetti, che spende più tempo e soldi a rifarsi l’immagine che calciare la palla. Su, siamo seri, lasciamo perdere, parliamo d'altro.
  7. Le mostre acchiappagonzi: hanno quei titoli tipo "Van Gogh e la neve" o "Raffaello e l'ipotesi del viaggio", "Da Leonardo ai sofficini", "La Pop Art e la cucina leccese", "Il silenzio nello sguardo di Giotto". Di solito hanno un unico quadro disponibile del un grande autore ed è messo sui poster in quadricromia che tappezzano la città e sulla copertina catalogo. La mostra è una rassegna di croste, di copie di autori minori, testimonianze, gossip, pezzi di pittori parenti (di Leonardo ma anche dell'Assessore comunale che patrocina la mostra mostruosa). L'ingresso costa da 8 a 10 euro, nessuna riduzione studenti, sempre parenti esclusi. Lasciano il mal di pancia.
  8. La pasta integrale: ne ho parlato con un grande produttore. Ora vi spiego: la farina integrale costa poco di più di quella normale. Ma in fase di lavorazione quella integrale incorpora più l'acqua e rende di più e ha mano scarto. Alla fine la pasta, al produttore, costa uguale se non di meno. A noi molto di più perché fa figo e fa cagare con regolarità. 
  9. Il Satellite: prossimo a affermazioni luddiste, e in linea col mio conterraneo genovese, mi viene da dire forte che il satellite è una cagata pazzesca anche quando trasmette la Corazzata Potemkin. Un normale digitale terrestre ti dà quello che serve ogni occhi e alla testa e anche molto di più. I canali digitali in chiaro della Rai valgono fin il canone per chi proprio ama il palinsesto. Non hai lo sport e i canali Disney? Meglio per te e i tuoi figli che svilupperanno meno dipendenze. Hai meno filmissimi? Esci di più, vedi gente, e vattene al cinema e al teatro.


sabato 24 agosto 2013

L’uomo in sala parto: Complementi di educazione per genitori (caso 10)

È arrivato il momento di parlarne. Si tratta di un argomento attuale ma non di certo alla moda. Verrebbe quasi da dire “L’uomo in sala parto? Siamo nel ventunesimo secolo e stiamo ancora a parlare di una cosa così ovvia?”
Poi ti capita di origliare i discorsi delle amiche e delle neomamme e capisci che il tema è lontano dall’essere dibattuto, ma forse solo affrontato, meno che mai capito nella sua importanza. Sento di donne che in sala parto ci hanno portato la madre, la sorella, la miglior amica, perché il ‘lui’ non era gradito, era indisposto, indisponibile, indisponente. Poi conosco uomini che affermano con certezza che l’uomo deve stare fuori a passeggiare nervoso e limitarsi a sollevare il neonato davanti alle folle come fa Simba nel “Re Leone” e null’altro. Ci sono poi quelli della Via di Mezzo: “il travaglio lo seguo ma in sala parto non ci entro”.
Io la penso così. Quando ciò è possibile sul piano medico:
  • L’uomo DEVE esserci dall’inizio alla fine: il parto è di solito l’esperienza più forte, magica, emozionante che possa capitare a una coppia. Lo so, può essere anche la più tragica, dolorosa (e non intendo sul piano fisico), shoccante. In entrambe i casi va vissuta in due perché il figlio sia di tutti e due, perché la gioia o il dolore siano patrimonio di entrambi e tutto venga così con-diviso, raddoppiando i sorrisi o dividendo le pene.
  • L’uomo in sala parto non serve a nulla e dunque serve tanto: l’uomo lì non serve, questo è certo. Lei vi dirà “La tua presenza è stata importante” e non saprete mai quanto sia stato vero, specie se siete svenuti al taglio del cordone ombelicale. Ogni tanto, se lei si accorgerà se ci siete, vi chiederà cose in apparenza insulse come un bicchier d’acqua, un massaggio alla schiena, eseguite e vi sarete guadagnati il gettone di presenza.
  • Non fatevi venire delle idee: anche se abbiamo letto qualche libro, noi uomini di parto non possiamo fiatare. Non suggerite mai nulla, non proponete e, soprattutto, non raccontate dei suggerimenti della mamma, sorella, cugina, blogger o esperti di settore. La cosa migliore è tacere. Zitti e basta. Le donne sono concentrate su cose già abbastanza complicate da stare a sentire la vostra opinione su quale posizione assumere o sul tasso di epidurali nell’Africa sub-sahariana.
  • Imparate da Lei: assistere a un parto non può che far aumentare il rispetto e la conoscenza per quella donna. Ne sarete orgogliosi, ne coglierete la forza, l’istinto, la potenza direi. La guarderete con occhi diversi. Aver visto come sia stata capace di fare un figlio ve la farà sentire più vicina e se mai avete avuto dubbi sulla sua forza, ecco che lì verranno spazzati via da un paio di urla come si deve.
  • Godetevi lo spettacolo: eccolo, ammettiamolo uomini, assistere a un parto è anche bellissimo. Quindi, osservate più che potete. È meccanico e magico assieme. Guardate le mani dell’ostetrica. Fatevi spiegare la forma della placenta. Chiedete di esser voi a fare il primo bagno, di esserci mentre gli fanno la puntura sul tallone, mentre il pediatra fa la prima visita. Potrete vederlo da vicino, per la prima volta.
  • Non fatevi prendere la mano: tale è la forza e la bellezza dell’evento che in alcuni scatta la sindrome da Evento Premium e la voglia di filmare o fotografare tutto anche in sala parto. Non fatelo. Vi prego. Anche se lei acconsente. Non mi vengono in mente momenti più intimi di questo: tenetelo per voi.
  • Fate muro: l’unica cosa davvero utile che l’uomo può fare è ‘fare muro’. L’aspetto peggiore del parto può essere la processione di parenti, consuocere, amici e tifosi in ossequio al bambinello che riempiono la stanza di fiori e ancora peggiori chiacchiere e contumelie. Fate muro, filtrate, rimbalzate, lasciate dormire la mamma, fatela stare da sola il più possibile col bambino. È l’unica cosa importante. Soprattutto se il figlio è il primo.       


Per chi volesse approfondire alcuni casi precedenti:                    

lunedì 12 agosto 2013

Italia 2013. Estate in un Paese anormale.

Come forse parecchi di voi, sfrutto le vacanze anche per ragionare su cosa stia succedendo in Italia. Cerco di fare chiarezza delle condizioni di fondo della nostra società. Sapete, odio vivere ‘a mia insaputa’.
Dall’estero sono subissato da domande di stranieri che vedono il nostro Paese molto più nudo di quello che ci immaginiamo. L’incredulità che li faceva sorridere dal 1994, la grassa ironia sul presidente scopaiolo, sono ormai superate da un misto tra la pietà e la preoccupazione.
Ritengono indegno che in un momento di crisi così profonda gli abitanti di un paese civile (che loro amano spesso più di noi) siano ancora ostaggi del ventesimo secolo e scoprono come i tumori nella nostra democrazia siano profondi.
Io non so”, potrei parafrasare Pasolini. Io non conosco i mandanti delle stragi né chi sta dietro alle riforme volutamente mai riformiste. Nel mio piccolo, colgo però molte evidenze che messe una vicina all’altra disegnano un quadro possibile forse non lontano dalla realtà.

In un paese normale (non virtuoso né di particolare moralità) gente come Verdini, Formigoni, Polverini non siederebbe in Parlamento ma su una panchina al parco, se non su uno sgabello di qualche carcere sovrappopolato. Personaggi come Calderoli e Bossi sarebbero cacciati dai locali pubblici.  Tristi figuri come D’Alema, Santanché o Rutelli verrebbero avviati a lavori socialmente utili. Teorici della fuffa come Di Pietro, Cacciari o Grillo sarebbero eclissati sul nascere dall’ombra di chi le idee le ha davvero. Ma così invece non è.

In un paese normale, specie se con l’acqua alla gola come il nostro, le cose da fare sembrerebbero ovvia conseguenza di quelle che andrebbero anche dette con maggiore frequenza (e non solo nello spazio opportunista di un comunicato stampa).

  • Dire che le riforme del mercato del lavoro sono puri esercizi di stile se non si ha il coraggio di definire politiche di sviluppo parrebbe logico ma purtroppo abbiamo più giuslavoristi disoccupati e aspiranti stregoni che fiducia per chi ha idee su cosa fare di questo Bel Paese. A forza di fantasticare su chimere come il reddito minimo dimentichiamo di costruire il nesso tra reddito e lavoro. 
  • Dire come occorra investire sul Made in Italy, sulla cultura, sul turismo, sull’enogastronomia, sulla meccanica di precisione, sulle energie alternative sembrerebbe pleonastico ma rimane nel libro dei sogni. Dire come occorra dare un taglio all’acciaio, alle lavorazioni inquinanti, alle opere inutili, alla costruzione di autostrade maremmane, all’edilizia indiscriminata, sarebbe già un passo, poi occorrerebbe agire di conseguenza.
  • Dire che occorre introdurre meritocrazia, trasparenza e qualità nella Pubblica Amministrazione  ha l’ovvietà della sciocchezza, eppure non si sente da nessuna campana. Dire che ai pochi bravi e motivati vadano riconosciuti i meriti e resi i pilastri di un rinnovamento che non deve neanche per forza passare per il taglio di teste, è solo parte del buonsenso che nessuno frequenta.
  • Dire che occorre che tutti paghino le tasse (anche per pagarne meno tutti), e fare in modo che ciò sia possibile, usando il buon senso e qualche banale sistema di intelligence è nell’abc del bilancio della massaia ma purtroppo le massaie non diventano mai ministri.
  • Dire come occorra abolire ogni incentivo alle imprese per passare invece a rendergli la vita più facile diminuendo la pressione fiscale, i bizantinismi normativi, e snellendo burocrazia e procedure, è talmente banale che lo dice pure Confindustria, forse però solo per schiarirsi la voce.
  • Dire che l’avere svariati corpi di polizia, con innumerevoli livelli di comando, deleghe sovrapposte, uffici, distretti e sistemi ottocenteschi impedisce agli stessi di funzionare e di rendere conto alla collettività. Una follia questa dispendiosa e pure pericolosa.  Semplificare parrebbe solo un’applicazione del buon senso ma, si sa, i diritti sono di chi li ha è può difenderli anche con le armi.
  • Dire che la scuola e l’università debbano assumere un ruolo e un’importanza degna alle sole istituzioni capaci di plasmare il nostro futuro collettivo è il minimo per un paese che si definisca ‘civile’ e se immagina il domani guardi ai nipoti e non ai Gratta e Vinci.
  • Dire che la nostra incapacità di programmazione e spesa dei Fondi Europei è seconda solo all’assenza di un progetto per il futuro e all’incapacità di decidere  spingerebbe a rivedere logiche e organigrammi. Significherebbe ascoltare per decidere, magari scontentando qualcuno. Ma ciò è impensabile senza coraggio.
  • Dire che i diritti di tutti vanno tutelati fa sempre figo ma poi occorrerebbe smetterla con i distinguo quando tra questi  ‘tutti’ si vogliono mettere anche i carcerati, i profughi, gli omosessuali, i rom, giusto per citare alcuni.
  • Dire che l’assenza di coraggio, di capacità, di idee, sia da addebitarsi a fattori esterni come ‘la crisi’ è riduttivo e fuorviante. Sappiamo fare poco ma dedichiamo molto del tempo disponibile a costruirci alibi che ci assolvano dalle responsabilità politiche e da quelle storiche.  

Quello che ho scritto fin qui non è parte di alcuna fine analisi di cui non sarei all’altezza. È semplicemente ovvio.
Ma allora, perché non si agisce di conseguenza?
Qui vale la pena ragionare con più calma. Vedo tre questioni prepolitiche che ci pongono tra i paesi a ritardo di sviluppo democratico  
  • Il punto di equilibrio su cui fanno perno tutte le attività di quella che definiamo “politica” è il ricatto. Da quello morale a quello economico, da quello professionale a quello sessuale. Nel Pdl quasi tutti ricattano B., ciascuno per la parte di esperienza avuta con lui, e dunque lui non può prescinderne per galleggiare anche se evidentemente li schifa e preferirebbe farne pasto per le proprie piante carnivore. D’altronde si è scelto lui dei complici che sono diventati ricattatori o degli incapaci da ricattare a sua volta con l’incubo di farli tornare nell’anonimato che gli è proprio. A sinistra il ricatto è forse meno grossolano, più bizantino, passa per le belle parole e schiva idee e posizioni ferme, al massimo dispensa ‘opinioni’, merce in perenne trasformazione e ottima per galleggiare in assenza di proposte.  

  • L’incompetenza è considerata un valore. A destra la competenza non è richiesta tranne che agli avvocati che devono difendere il capo, accusando il Paese di essere causa e mandante dei suoi reati, e costruire i dossier di cui ai ricatti precedenti. A sinistra la competenza è vista con sospetto da chi ha letto qualche libro una ventina di anni fa, quando ancora sembrava utile che un politico ne capisse di qualcosa, e ritiene ancora che quello che ha letto rappresenti la realtà. Il fatto poi che la competenza sia talvolta prerequisito per l’autonomia di pensiero mette in crisi tutti gli schieramenti. Quando l’incompetenza è unita a una certa flessibilità sui valori morali, ecco che il candidato è ideale per essere clonato ai posti di responsabilità. Sono ovunque banditi gli intellettuali, che spingendo il ragionamento nella complessità del reale possono mettere in discussione obiettivi e strategie; si preferiscono i consulenti, robot prezzolati al servizio di disegni di piccolo cabotaggio, e gli opinionisti, megafoni a intensità variabile di chi li arruola. 

  • Sono altri a governare. È il punto di arrivo. Perché non è vero che il paese è ingovernato, anzi. Più passano i mesi più il disegno di chi ci governa diventa evidente. Non sono un complottista, solo un osservatore. In un’Italia debole e immobile che affama fasce sempre più ampie di popolazione tutto è in vendita. Il prezzo è giusto per chi ha i soldi per acquistarla. Per le mafie, tutte, a prescindere dal nome. Con la loro smisurata disponibilità di denaro si prendono bar, musei, ristoranti, isole, palazzi, sanità, università, panifici, grandi marchi, supermercati, aeroporti, anime. Lo fanno in centro e in periferia, sotto casa mia e vostra. Tutto è alla portata se hai disponibilità cash infinita per comprare, magari in nero da qualcuno con l’acqua alla gola, volente o nolente. L’opinione pubblica, depravata anche per necessità e alienazione, è fin contenta di sapere che nelle sale degli Uffizi si potranno organizzare matrimoni o che parte dei suoi magazzini si potranno svuotare per far spazio a un casinò. I reperti vanno così all’asta e i sogni sono messi in vendita col gioco d’azzardo. Magari vi è sfuggito, ma sappiate che nel 2012 il giro legale del gioco in Italia è stato di oltre 80 Miliardi, oltre 1.300 euro a testa, infanti compresi. Direi che il compromesso Pd-Pdl con la benedizione di Monti e Grillo sia dunque l’ideale per non disturbare il timoniere.

Conosco almeno cinquanta persone che potrebbero fare il ministro meglio di chi è oggi investito del farlo. Alcuni si chiamano Stefano, Paola, Giorgio, Angelo, Silvia, Roberta, Michele, Giovanni, Paolo, Massimo, Francesca, Mariella, Andrea, Valter, Ines, Guido, Isabella, Alessandro, Barbara, Diego, Luana. Filippo, Ferruccio, Silvia, Alessia. Hanno cognomi che non conoscete e non conoscerete mai.

Non sono ricattabili, sono competenti, hanno visto il mondo, conoscono l’Italia, sanno gestire e dialogare e dunque non hanno nessuna delle caratteristiche adatte a evitare la ripresa, a lasciare il paese in mano alle mafie. Molti di loro sono nel pieno della loro capacità intellettuali e  professionali, hanno idee, pensano in grande, saprebbero cosa fare. Nel frattempo lo fanno per se stessi e molti, quando li incontro, li vedo sempre più distanti dal Palazzo e più vicini ai confini. A loro insaputa, inclusi nel solo grande progetto governativo che funziona fin dai tempi del vate Licio Gelli, quello di eliminazione morbida dei cervelli non allineati, quello che a Berlusconi diede la tessera P2 numero 1816.