Pagine

domenica 13 maggio 2018

Acquisti e non acquisti al Salone del Libro 2018


È difficile oggi mettere a fuoco i concorrenti del libro
Gli e-book si sono rivelati un'alternativa molto poco adatta, non rilevante in termini di impatti e fatturati e comunque hanno riguardato solo chi leggeva già. Il CERN di Ginevra cerca da anni l'ereader che abbia aumentato di almeno 1 il numero dei lettori nel mondo senza trovarlo.
Le statistiche 2017 dicono invece che il 58% degli italiani non legge niente, mai. E questa non è una battuta mal riuscita

Credo che Amazon e Co. siano grandi competitor delle librerie, e anche che abbiano i libri in catalogo solo per vendere videogiochi, telefonini, calzini coi puffi e sigarette elettroniche.
Ultimamente ho visto però clienti di librerie puntare l’app di Amazon sul libro che avevano in mano per comprarlo on line e riceverlo poi a casa, con lo sconto e l'oltraggio al libraio incorporati. 
Direi però che i competitor diretti dei libri (e del teatro e del cinema e del …) siano ormai le serie tv. Sono magnifiche, ben scritte, ruffiane, creano dipendenza, immergono in mondi, risucchiano il tempo delle serate e dei momenti finora dedicati alla cultura e spesso ti danno l’impressione di essere parimente inteligente a vederle. Ne puoi fin parlare nei salotti né più e né meno dei libri, con maggiori possiblità che chi annuisce davanti a te l'abbia davvero seguita.

Con idee confuse ecco allora come mi sia atteso qualche illuminazione dal Salone del Libro di Torino. Giovedì scorso ci sono andato. Gli editori erano piuttosto confusi e nel complesso senza strategie e tantomeno soldi. I piccoli sono di appassionati sognatori, i medi boccheggiano e i grossi sono troppo grossi per fallire. Qualcosa di nuovo sta forse nascendo in alcune nicchie e molto è su binari morti. 
Ho pure speso con gioia un mucchio di soldi in libri.
Ho soprattutto capito come occorra dire BASTA a:
  • Tutti i libri -centinaia - i cui protagonisti crescono/cambiano/diventano adulti nel corso di una calda estate, peggio se in meridione, peggio ancora se in Puglia (la Puglia ci ha sfinito, ditelo a chi di dovere)
  • Tutti i romanzi - decine - con occhi in copertina, anche con la parola ‘occhi’ o ‘sguardo’ nel titolo;
  • Tutti i romanzi in cui titolo includa le parole ‘mistero’, ‘biblioteca’ ‘perduto’ 'segreto' 'sentiero' e qualsiasi combinazione tra esse
  • Tutti i libri - milioni - che ti spiegano come si… vive / riordina / cucina / cura il cancro / nutrono i bambini / scoprono i tuoi talenti nascosti (che se ti serve un libro per capirlo vuol dire che... vabbé non te lo dico).
  • Tutti i libri che sono ‘la mia storia/biografia‘ a 20 anni come youtuber / influencer / rapper / trapper / fancazzista mantenuto e paraculo che però da giovane ho tanto patito e ora ho il mio meritato successo.
  • Tutti i libri illustrati per bambini, perfetti e eleganti per sedurre i genitori. Libroni cartonati che per 30 euro spacciano storie così pallose e così ben disegnate/acquarellate/xilografate che i bambini se le rollerebbero all'istante se la carta non fosse patinata.
  • Tutti i libri che ti spiegano come si scrive un libro, si trova l’ispirazione, si pubblica in barba a quelle brutte e cattive case editrici che invece di pubblicare i tuoi libri pubblicano quelli che ti spiegano come scriverli
  • I romanzi che raccontano di un/una giovane che ha dei poteri che non conosce e che poi li conosce e allora poi va in una scuola/posto/deserto/pianeta dove si fa degli amici/apostoli e impara a combattere il male che potrebbe distruggere la terra e far sparire ogni cosa inclusa la ricetta magica delle tagliatelle di nonna Pina (dal Vangelo a  Harry Potter a Percy Jackson in poi)

Quello che rimane forse ha senso, non occupa molto spazio sui vostri scaffali e se è brutto godetevelo comunque tra i rischi del lettore esperto.  


venerdì 6 aprile 2018

Cosa sono e come cambieranno il turismo le Esperienze di AirBnB

Da parecchi anni mi occupo di sharing economy e social innovation. Per capirle e per cogliere le conseguenze di questi cambi di paradigma in termini di competenze per i lavoratori e gli impatti sull’economia. Oltre al leggere libri e frequentare convegni cerco di provarle. Ho condiviso auto, bici, moto, case; fondo e lavoro in spazi di coworking; faccio social cooking, uso ogni piattaforma almeno una volta.

Il mondo della condivisione ha molti vantaggi e molti limiti. Sono pratiche sostenibili per l’ambiente, rispondenti a bisogni di esperienza più che di possesso, divertenti, capaci di creare relazioni. Vedo però anche bene come spesso favoriscano un’economia in nero, lavoretti precari, concorrenza selvaggia e sregolata.
Si tratta di trasformazioni epocali, sotto i nostri occhi e vanno gestite al meglio per il valore che possono creare per singoli e comunità. E' impossibile reprimerle.

Occorre che la politica ne colga le opportunità per sanare per tempo le possibili distorsioni. In quest'ottica gli scontri tassisti-Uber o albergatori-AirBnB/Booking  si  potevano risolvere prima del nascere.

Oggi come una suocera stonata, sono di nuovo a scriverne sperando di non dover mai pronunciare “Io l’avevo detto…” quando il fenomeno sarà di nuovo sfuggito di mano.

Quattordici anni fa passai una giornata di luglio splendida  in mezzo al nulla della brughiera irlandese a far biglietti di Natale in carta, metallo, legno e altro, a casa di una signora molto creativa che non rinunciò a rifilarci il the delle cinque. Pagai il mio e uscii dalla mia (allora inconsapevole) prima esperienza di turismo esperienziale.
Poco più di un anno fa AirBnB ha lanciato le sue ‘Experiences’ sulla piattaforma già più usata al mondo per affittare camere o appartamenti. Sono subito un successo pazzesco con una crescita spaventosa. Hanno iniziato con poche città: Milano, Roma, Firenze, Venezia… da oggi è possibile offrire questi servizi  in tutta Italia.

Per capire, ho lanciato la mia Experience tre settimane fa e ho già ricevuto una decina di prenotazioni. La prima cliente è stata con una giornalista tedesca che su di me ha fatto un’intera puntata per un programma radiofonico nazionale. Mi sono divertito, ho imparato tanto, lei era soddisfattissima, io lo rifarò. Insomma… l’effetto è quello di una bomba e sposta di molto quello che può significar viaggiare.

Oltre che da seri giocherelloni come me, le Experiences sono offerte da un variegato movimento di appassionati, esperti della materia, disoccupati che si reinventano, piccoli imprenditori, storyteller con sacro fuoco del racconto, hobbisti che magari per 50 euro ti offrono una giornata con gli aquiloni al parco, l’osservazione delle starne sul Tevere,  un giro con bici vintage, fare gli gnocchi con la nonna, fare il pane con i migranti, contare i passi del dinosauro sulla montagna, la nottata col fantasma nel castello, la cena bendati, un minicorso di fotografia al parco, la pesca del merluzzo albino.
Tutte cose bellissime, nuove e rilassanti, che in una giornata a Roma o a Busto Arsizio possono tranquillamente sostituire un giro al museo, la coda per tirare la moneta a Fontana di Trevi, e talvolta pure una visita al Palatino intruppati in un gruppo.
Alcune esperienze esistevano già sul mercato e oggi hanno una piattaforma mondiale per moltiplicare il proprio bacino d’utenza; la stragrande maggioranza dell’offerta nasce proprio perché esiste la piattaforma. 
Ho capito che:
  • Le Esperienze scalate nella dimensione globale ribaltano il turismo per come lo conosciamo, aumentano spesso la qualità del legame col luogo, liberano cretaività, spingono allo slow turism e a permanenze più lunghe.
  • Metteranno in grande difficoltà il sistema professionale delle Guide Turistiche, Guide Escursionistiche e Guide Alpine, tutte categorie a cui si accede con determinati requisiti e che verranno scosse alle fondamenta.
  • Sono reali opportunità di socializzazione e rientro nel  mercato per chi non ha lavoro, ha competenze, sa qualche lingua, ama il suo territorio.
  • Sono anche una opportunità per gli hotel, i tour operator che sapranno cogliere il senso di un’offerta così diversa e integrativa,
  • L’offerta ‘tradizionale’ più intelligente le sta già inserendo con nuovi format  in cui si ripensa come luogo di scoperta, in un confronto dove le visite valgono il senso che esse assumono per i visitatori.

Se però non vengono pensati come parte di un più complessivo sistema turistico legato al terriotrio le Esperienze rischiano solo di alimentare un precariato già molto diffuso.
In fondo si tratta di nuove forme di autoimpresa e in tal senso occorre che si creino le condizioni perché questo insieme di attività venga esercitata al meglio, con chiarezza fiscale, certezze per clienti e operatori, senza finire però per strozzare di regole la creatività innata dell’offerta.

Visto che state facendo il Governo, mettete un po' di attenzione anche all'Esperienza (vostra e nostra ;-)

lunedì 2 aprile 2018

Ho assistito al Giudizio Universale, ve lo racconto.

Una decina di giorni fa sono stato a vedere Giudizio Universale: Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel” all’Auditorium della Conciliazione a Roma, il nuovo grande show teatrale e multimediale sugli affreschi della Sistina. Dura 60’, è stato concepito da Marco Balich & Co. per coinvolgere vecchi e giovani attraverso un format innovativo ed immersivo senza precedenti. Lo spettacolo è realizzato con la consulenza scientifica dei Musei Vaticani.
Per lo scopo l’Auditorium di Via della Conciliazione è stato completamente rifasciato alle pareti e soffitto con pannelli su cui decine di proiettori ad alta definizione disegnano la Cappella Sistina, e poi scene di conclave, effetti atmosferici, acqua e fuoco. Ho letto di molti milioni investiti. Si narra che rimarrà in scena per oltre un anno con due show al giorno.

La trama è quasi nulla: Michelangelo fa lo scultore di David a Firenze. Il papa Giulio II lo chiama a Roma per dipingere la volta della Sistina. Lui risponde “No, io sono uno scultore” e dopo un secondo comincia a dipingere. Trent’anni dopo, Clemente VII lo chiama per dipingere il Giudizio Universale, lui dice “No, io sono vecchio” e un secondo dopo inizia a dipingere.
Nei fatti, lo spettacolo è una specie di Bignami degli affreschi della Cappella Sistina: ogni scena dell’Antico Testamento presente sulla volta è descritta con i suoi riferimenti biblici, così come accade per il Giudizio Universale. La spiegazione delle voci narranti è scolastica, totalmente appiattita sui versetti delle scritture.
Nulla c’è di Michelangelo, che rimane del tutto bidimensionale. Non ci viene detto né come, né perché dipinge. Non sappiamo nulla delle sue idee, dei suoi soggetti e modelli. Niente neanche sulla storia degli affreschi, sui mutandoni dipinti per coprirli, eccetera.
Gli attori recitano (sarebbe meglio dire ‘si muovono lentamente’) tutti parlando in playback, sia per agevolare la realizzazione di spettacoli in lingua inglese (e poi magari altre lingue) che per dare qualche chance in più al marketing e poter dire ‘La voce di Michelangelo è di Favino’, cosa vera ma di poco conto, viste le trenta parole che dice in tutto lo show. Il famoso tema musicale di Sting si riduce solo alla canzone finale dal minuto '59 in poi, pure bella ma davvero miserella.
Nello spettacolo c’è qualche risibile balletto, con un paio di volteggi in stile 'Amici', fumo e vento come ho visto al saggio di danza di mia figlia. Simpatico è l’uso dell’incenso diffuso in sala nella scena del conclave.

Siamo però tutti lì perché nello spettacolo la tecnologia comanda, perchè essa è lo spettacolo, e Michelangelo solo il pretesto. Questo è il vero messaggio che trasmette quel guscio trasformato in affresco. L’intento dello spettacolo è di essere sostitutivo alla visita reale implicitamente tacciata di essere superata e noiosa (anche perché dopo aver speso qui almeno 20 euro difficilmente se ne trovano altrettanti per andare ai Musei Vaticani). Quello che si raccoglie di senso e sostanza è molto molto meno di una replica di Alberto Angela. Si sintetizza in “Dammi venti euro, stai comodo e ti risparmi la coda e il consumo delle suole ai Musei Vaticani per correre dritto alla Sistina e uscirne in meno di un paio d’ore,” questo è il sottomessaggio. E' talmente vero che già le recensioni dello spettacolo su Google sono confuse con quelle della Cappella Sistina vera. L'unica differenza lamentata è che all'Auditorium non si possono fare i selfie.

È come se il dio della tecnologia  ricreasse per gli spettatori del XXI secolo quello che un Dio forse vero, l'ispirazione, l'estro, e la vocazione hanno creato per pochi in Vaticano.

È davvero strepitoso l’effetto di decine di proiettori per ricreare ambienti, zoomare su dettagli, aggiungere e togliere figure possenti. L'iconico contatto tra Dio e l'Uomo in punta di dita sembra dedicato alla creazione di Photoshop. Talvolta si accendono così tante luci che tutto sconfina in un effetto-discoteca che sarebbe facilmente evitabile. Sparare su sei metri quadri il dettaglio perfetto di un coscione michelangiolesco ricorda più la pornografia che l’arte: avrà anche un pubblico ma non mi scalda né i neuroni né l'anima. 

Passati i primi venti minuti di pura curiosità, mi sono reso conto di come lo spettacolo sia uno spartiacque nelle scenografie digitali. Come capita a molte innovazioni basate sulla tecnologia, sia al servizio di sé stesso e della voglia di scatenare “Wow!” negli spettatori. Un’ora di wow però non si regge e alla fine ci sono pochi applausi e molta distrazione, specie da parte dei più giovani.  

Lo consiglio solo agli operatori del settore. Che settore? Qui mi sento d'essere molto trasversale. A chi fa teatro (registi, tecnici, sceneggiatori), a chi organizza eventi, allestisce musei e centri commerciali, a chi è stuzzicato dalle potenzialità della tecnologia applicata alle narrazioni. Mentre il trionfo del decibel e del lumen proseguiva io mi chiedevo “Cosa farei io conquesto carnevale di luci e videomapping?” e se questi pensieri vengono a me che sono solo un piccolo praticante, immagino quanto possano esaltare chi ha stoffa e talento.

Ho speso bene i miei soldi perché ho imparato qualcosa, non di certo però sulla Cappella Sistina.

giovedì 8 marzo 2018

Donne e Uomini, Vittime e Carnefici, Passato e Futuro.


L’ultimo a finire sui giornali è stato un italiano, un carabiniere che ha preso la pistola, ha sparato alla moglie, ucciso le figlie e si è suicidato. Un omicidio premeditato fin nei più piccoli particolari.
Nei prossimi giorni ci sarà la sentenza per l’omicidio ugualmente premeditato di Michela, una nostra amica, da parte del suo partner, un manager bancario. Michela era una donna radiosa, un’insegnante molto impegnata nell’educare studenti e studentesse al rispetto e alla giustizia tra i sessi.
La stragrande maggioranza di questi reati avviene per mano delle persone più vicine e fidate. Quasi sempre uomini incapaci di affrontare la realtà e la vita. Inermi di fronte alle difficoltà proprie e a quelle della coppia. Alcuni in cerca di una madre nella partner, tutti inabili alla costruzione del futuro assieme. Uomini convinti del possesso,non abituati alla sconfitta, così come all’uso della ragione.
Come ben si sa, non sono né il reddito né il livello scolastico a inquadrare il fenomeno, né a darci spunti per combatterlo.
Gli uomini coinvolti in atti di violenza ragionano male, vivono male, pensano male. Qualcosa dentro di loro non funziona, o ha smesso di funzionare negli anni o non si è mai acceso. Parliamo di adulti, e  dunque la colpa è loro. Trattano le donne come oggetti di proprietà, o nel mito incatramato della coppia perfetta hanno annegato proprie imperfezioni con cui non hanno mai fatto i conti.

In questi fatti, i rotocalchi cercano la causa scatenante, l’alibi, i fantasmi del passato, gli amanti misteriosi. I media fanno il possibile per razionalizzare i ‘fatti’ o scaricano tutto sul ‘raptus’ e la ‘follia’. Non puntano mai il dito alla Colpa. Vi è un chiaro rifiuto a portare la riflessione su milioni di persone, perlopiù uomini, che dovrebbero fare i conti col proprio essere adulti per darsi un modo diverso di vivere le relazioni affettive.
Sul tema, nella nostra cultura è diffusa una superficialità giustificabile col non voler porre mai le domande che contano. Perché succede? Ci si arrende davanti a risposte troppo complesse e – soprattutto - scomode.

Per quel poco che ho vissuto e conosciuto, ho contezza che per quanto il panorama delle relazioni appaia a volte desolante le donne di oggi stiano in Italia molto meglio delle nostre nonne, ed è da questo che vorrei partire per smantellare la tesi del raptus.

È il caso di ricordare come le nostre nonne (se avete 50 anni) o bisnonne (se ne avere 20-30) hanno in genere avuto delle vite di coppia di merda. Sia lette con i nostri parametri che con i loro: zero affetto, zero complicità, tante legnate e tante corna. Non amano parlarne, non vogliono; siccome era inevitabile, le hanno educate a non parlarne mai: occhi bassi e mente a Dio.
Se vi capita, fate loro domande perché spesso la loro intelligenza aspetta solo di dimostrare quanto non fossero fesse ma piuttosto tenute al giogo.
Dall’alba dei tempi fino al dopoguerra – pochi anni fa - gran parte dei matrimoni erano combinati dalla famiglia, un’altra bella fetta erano riparatori, altri ancora casuali nati grazie al parroco, alle inserzioni sui giornali e simili. Qualcuno d’amore, lo concedo, vere perle rare. Anche quelli d’amore avevano quasi sempre uno schema chiaro nei ruoli di forza e nelle regole che segnavano la distanza del maschile dal femminile. Le nostre nonne erano considerate donne degne dallo Stato e dalla Chiesa solo se si riproducevano parecchio. Questi parti numerosi rispondevano a necessità socio-economiche e ottenevano anche il risultato di tenerle impegnate e con la testa bassa, lontano da libri e civiltà. Oltre a quello dovevano gestire casa, cucinare, educare i figli, etc.
Gli uomini dovevano lavorare e portare a casa soldi, fecondare le mogli e quando ‘serviva’ sfogarsi con le prostitute. Questi criteri li rendevano bravi padri di famiglia.

Era così, punto. Un ordine millenario sancito da necessità ed equilibri di forza. Poco da dire e recriminare. Chi ci provava finiva all’indice se non schiacciata dagli schiaffoni. Era la regola in tutti i matrimoni. Non bello da raccontare. Un po’ come il fatto che in quegli anni quasi tutti erano fascisti e antisemiti, parlo sempre dei nostri nonni e nonne, e oggi che riabbiamo i fascismo alle porte si ritiene ancora indecoroso parlarne, per rispettare la memoria posticcia fissata nelle foto in bianco e nero in bugiardi album di famiglia. 

Le cose cambiano. Credo che dopo l’invenzione della ruota, nulla abbia trasformato il mondo come la pillola anticoncezionale. L’appropriazione da parte delle donne del controllo delle loro funzioni riproduttive è il grande punto di svolta, il primo passo per porsi in una relazione nuova con se stesse, l’economia, la famiglia, la coppia.
L’altro elemento centrale è stata la Pace. Le donne sono il motore e la forza maggiore di un periodo di pace, quale quello che per fortuna stiamo vivendo in Europa da almeno 60 anni. Se non occorre prendersi a mazzate la donna sa bene come manifestare la propria intelligenza, ricchezza e il proprio ruolo. L’uomo del '900 non era programmato per la pace.
L’accelerazione fu forte e la miccia del ’68 servì a contarsi, a scoprirsi una forza, a uscire dalla solitudine a rivendicare quello che è dovuto non solo come donne ma come esseri viventi.

Gli uomini? Eccoci.
Per uscire dalla cultura della clava e del conflitto, dopo millenni dobbiamo cambiare i modelli di riferimento. Di certo abbandonare quello dei nonni e in larga parte dei padri. Possiamo funzionare anche disarmati solo se gli uomini che ci hanno cresciuto riusciamo a amarli e rispettarli, consapevoli che ci sono aspetti per i quali non possono essere dei modelli, e che la nostra felicità passa anche nell’essere diversi da loro. Non può essere altrimenti anche perché le donne che incontriamo sono contemporanee e in tutto diverse dalle nostre madri (meno male, aggiungo).
Il mondo che voglio è un altro, la pace è troppo importante, le donne sono immensamente interessanti per non coglierne il valore.

Dobbiamo anche imparare a litigare con loro. Perché è umano, serve, capita. Ce ne sono pure di stronze, prevaricatrici, crudeli. ‘Come un uomo’ verrebbe da dire. A questi conflitti va applicata la ragione e la giustizia e, se ci vedono perdenti, devono essere un insegnamento, come ogni altro fallimento nella vita.
Chi non ci riesce, chi questo non l’ha capito, si ammala di rancori e rabbia. Diventa vittima di sé stesso e genera vittime attorno a sé.

Dunque. Non parlate più di follia, raptus, pazzia, non ci credo. Basta scuse! La violenza è l’arma dei perdenti. Come faceva ogni giorno Michela, insegniamo alle donne e agli uomini – fin da ragazzi e ragazze – a cogliere la forza negli altri, a valorizzarne la differenza e a identificare i comportamenti deviati rifiutando anche le piccole violenze che, se accettate, autorizzano implicitamente questi criminali a atti sempre più distruttivi e umilianti.

domenica 25 febbraio 2018

Il futuro che vogliamo, a nostra insaputa.

Remo ha due figli da poco maggiorenni e mi guarda, sconsolato, “Sono ragazzi fantastici, anche impegnati. Il problema vero è che con loro non litighiamo mai. Intendo sulle cose importanti, cose come la politica, il futuro, il lavoro, la coppia. Una volta fissata la paghetta settimanale tutto il resto va da sé… non hanno una visione del mondo diversa dalla mia: proprio non hanno una visione del mondo di cui sentirsi responsabili.”
La difficoltà a immaginare il futuro è il limite di una generazione e di un’epoca. Non parlo di pessimismo ma dell’oggettiva difficoltà a immaginare come saranno le cose  5 o 10 anni. Chi lo sa? Io guardavo mio padre, gli zii, nonni e prendevo su di loro le misure di quello che volevo e non volevo ‘essere da grande’. Oggi è inimmaginabile ipotizzarsi a 20 anni di distanza. Certo, tutti d’accordo su Pace e Amore ma poi? Quale Pace? Quale Amore? Con quale significato?

Il modello è forse quello falso e modaiolo dello startupper? Patetico. Quello dell’influencer? Peripatetico. O quello dell’ingegnere che se non emigra si ritiene il nuovo operaio della catena di montaggio?
Più di venti anni di ammollo nel berlusconismo hanno azzerato gli anticorpi a una generazione o due. Siamo autoimmuni alle nostre coscienze. La colpa è sempre di qualcun altro. Il fine giustifica i mezzi. Tre quarti dei cantanti che passano in radio usa meno di 3000 parole perché, come i politici, hanno capito che la lettura di un bugiardino è oltre le capacità (e la voglia) di quasi tutti i loro ascoltatori. La politica gemma furboni, cretini e pupi bidimensionali  come Renzi e Di Maio, berlusconiani a loro insaputa, con la voglia di piacere, tutta tattica e zero strategia (B. la strategia l’aveva e si riassume nel fare politica per salvarsi da inchieste e fallimenti).  

Il Paese come sta? In Italia non ci sono mai stati così tanti occupati (nella storia); economia e fatturati aziendali sono in decisa crescita; criminalità in calo costante e importate. Da decenni non venivano legiferate riforme sociali così importanti e incisive. I clandestini sono in deciso calo. Le infrazioni comunitarie dimezzate. Eppure…
Eppure gli urlatori hanno uno spazio immenso, tra bugie e verità distorte, e chi le cose le ha fatte ha quasi timore a ricordarle. Ho tra le mani il volantinone delle 100 cose che il PD si propone di fare nella prossima legislatura e lo trovo confuso e infelice, quasi timoroso di dire “Siamo di sinistra. Riteniamo che l’interesse collettivo venga prima dell’individuale. Che la paura si combatta con la conoscenza e non con i muri. Che le tasse vadano pagate come dovere. Le case abusive abbattute. Le regioni governate dalle mafie, liberate. I dipendenti pubblici premiati per il loro lavoro quando è meritevole e cacciati quando fanno i furbi. Gli istituti di cultura italiana all’estero potenziati. I nostri cervelli (in fuga o no) coccolati. Gli insegnanti valutati, oltre che assunti e ben pagati. Gli stipendi dei parlamentari dimezzati. Gli imprenditori sostenuti, soprattutto se investono in economie sostenibili.”
La paura va combattuta con argomenti: il tempo indeterminato è finito, defunto, stop, chiaro?  e i migranti possono essere una risorsa determinante come lo sono in molti Paesi. La tecnologia è un toccasana per mille cose e una criticità in altri contesti, che si possono gestire se non si interviene sempre in ritardo. La Scienza non ha a che fare con la democrazia, e i vaccini non portano l’autismo.
Per vivere in questo futuro ci sono parecchi modelli di intervento che escludono la pistola ad ogni famiglia.
Il futuro comunque rimarrà un’incognita e dunque i venditori di risposte facili non valgono un lettore di tarocchi al luna park.

Il 4 si vota e mai come questa volta vedo la discesa in un trampolino per il salto con gli sci, nel mese di agosto. La mia amica Barbara, che vota da San Francisco, crede che l’eventuale vittoria di questa destra becera non ricompatterà affatto le opposizioni come sta accadendo in USA perché “Con la vittoria di Trump, qui siamo rimasti scioccati a livello viscerale. In Italia nessuno si scioccherebbe. È  questo il problema. Lì tutti si adattano.”

Avremo il futuro che ci meritiamo, anche a nostra insaputa. 

lunedì 12 febbraio 2018

Vedi, piccolo, questo si chiama ‘Fascismo’.

Vedi piccolo, questo si chiama ‘Fascismo’.
Quando uno dei migliori direttore museali spiega a una signora poco informata che gli uomini sono tutti uguali, che molti egiziani sono cristiani, che esiste un mondo reale oltre alla voglia di sangue immigrato, e il partito di lei risponde che quando vincerà le elezioni licenzierà tutti i direttori di musei, si chiama Fascismo. Eliminare per primi quelli che pensano meglio e magari in modo diverso, è una delle tecniche del Fascismo: il Fascismo adora i mediocri e ha paura di ogni novità.

Sai piccolo, quest'uomo appassionato mi ha fatto pensare... la settimana scorsa ho lavorato con con un gruppo di ungheresi che raccontavano come lì il presidente eletto abbia per prima cosa cambiato tutti i direttori di teatri e musei. Per paura della cultura, perchè libera le idee. Una signora intelligente mi ha confidato sottovoce “L’unica cosa che spero per mia figlia diciasettenne è che se ne vada prima possibile dal paese,” e mentre lo diceva aveva le lacrime agli occhi. Sì perché diventi diverso appena osi di ritenerti libero, e dal Fascismo vieni cancellato. Sì, questo si chiama Fascismo e mi rifiuto di pensare che per te sia meglio andartene per affermare che i tuoi sogni non sono in vendita.

Perché in Ungheria hanno eletto quel brutto presidente? Bella domanda piccolo. Perché per loro ha abbassato il prezzo del gas e della luce, fermato l’aumento del pane, aumentato le pensioni, distribuito lavori socialmente utili a spese dello Stato, perché gli ha tolto la paura di non arrivare a fine mese spostando l’attenzione dai suoi furti e dalle ruberie dei suoi amici a nemici deboli come gli immigrati e scomodi come i laureati.
Sì, questa è la vecchia tattica del Fascismo: far finta all’inizio di essere buono per poi trasformarti in carne da polpette. Funziona così: darti da mangiare se smetti di pensare; darti la luce se vivi ne buio; e poi chiederti in cambio di girarti dall’altra parte quando ti dicono che per farti continuare a mangiare devono bastonare il giornalista che racconta le storie, l’insegnante che spiega la Shoah, il genitore che si oppone alla tua divisa, il tuo amico perché è gay, la tua amica perché scrive libri che a loro non piacciano.   

A scuola hanno detto che bisogna stare attentissimi ai malintenzionati? Sta' attento ma anche calmo. Adesso ti svelo un segreto che può capire solo chi come me e te ama la matematica: l’Italia non è mai stata così sicura. Il numero di omicidi, di rapine, di cose brutte fatte a grandi e bambini, è diminuito tantissimo in questi anni. Così come gli incidenti stradali, di treno e aereo. E sappi che gli zingari non hanno mai rapito i bambini, zero. Gli immigrati integrati invece, che sono la maggioranza, pagano la pensione dei nonni. I numeri poi dicono bene come vaccini riducano drasticamente le morti ingiuste di bambini come te e gli antibiotici salvino la pelle a tutti.  Questi sono numeri, non favole, perchè la scienza non è fatta di opinioni ma di certezze costruite con fatica. La scienza non semplifica mai, il Fascismo sì.
È che ad alcune persone piace la paura perché così possono evitare di pensare al futuro, che è cosa faticosa anche se magnifica, e poi, se vuoi, con la paura di tutto è anche più facile diventare Fascisti potendo dire sempre “Io non sono fascista ma…”

Sarai Fascista anche tu? Non lo so. Puoi decidere da solo cosa fare del tuo futuro. Anzi, devi. Se ti chiedessi di credermi solo perché sono tuo padre sarei ugualmente Fascista. Ti chiedo di prenderti il tempo per capire cosa è meglio per te e per tutti vivendo a occhi aperti, con una buona dose di scetticismo, con speranza e curiosità, amando le persone, guardando se le donne sono felici (sono sempre un buon indicatore di antifascismo), stando sempre attento a non trasformare le tue paure nelle armi di qualcun altro. 



(Riprendo a scrivere su questo blog dopo quasi un anno di pausa. Non è una bella notizia però, significa che ci sono cose che non riesco più a tenermi dentro, che mi preoccupano oltre misura, sulle quali non mi basta il confronto con la famiglia e gli amici  e che mi impongono di allargare lo sguardo a nuove soluzioni prima che i pensieri diventino paure)

lunedì 10 luglio 2017

Una cosa bellissima che non vi posso raccontare (completamente)

Qualche mese fa un editore amico mi chiese se fossi disponibile per un progetto particolare: scrivere un libro che raccogliesse l’eredità spirituale di un uomo, destinato a figli e i nipoti. Si trattava di una persona che aveva avuto alte cariche pubbliche e voleva fissare le ragioni e i pensieri che avevano guidato la sua vita e le sue scelte
Sfide del genere mi stuzzicano: per l'editore anni fa ho realizzato la mission impossible di riscrivere completamente un romanzo devastato da una traduzione sciagurata, soddisfacendo sia l’autore orientale che il traduttore incapace. Nel passato ho poi la scrittura di alcune biografie aziendali. 

Insomma, ho accettato la sfida e poche settimane dopo mi sono ritrovato seduto davanti a lui, con la testa libera da idee e preconcetti e il registratore acceso.
Lui ha quasi ottant’anni. Da alcuni mesi ci vediamo per lunghe e tranquille interviste in cui fluisce il suo senso della vita, del dovere. L’amore per la sua terra, i pensieri per chi non c’è più, le preoccupazioni per chi gli vuole bene. Ha l’età di mio padre, dei miei zii, della nonna con cui sono cresciuto, di tante persone silenziose che sfioro ogni giorno sulla metropolitana o al mercato.

Quando ci vediamo apre una porta sul passato e un pezzo alla volta ne sfila quello che merita la luce del ricordo. Spesso ridiamo, altre volte l’aria tra di noi si ferma perché le sue parole devono scolpire trame dolorose, dense di vita e responsabilità, abitate da voci che sono ancora in lui come nel momento in cui sono nate anni fa.
Rimango attonito di come dopo cinquant’anni dai fatti si emoziona ancora a raccontarli. Io lì per lì faccio l’empatico, accolgo senza ostacoli o domande e faccio fluire in rivoli di senso che diventeranno laghi quando li organizzerò sulla pagina. Poi, a casa, con le cuffiette davanti al computer, sgancio lacrimoni trattenuti che mi allagano la tastiera.

Ha un senso del dovere raro in questo millennio. Parlando delle sue origini contadine mi ha detto “La differenza di classe ti pesa se la vivi male: se mi fossi sentito inferiore loro si sarebbero sentiti superiori. Io l’ho sempre messa così: voi in partenza siete stati più fortunati di me, la vita è lunga e le cose possono cambiare.”
Lo rivedrò tra un paio di settimane per gli ultimi ritocchi al testo e so già che tra un piatto di pecora stufata e una mozzarella in carrozza sarà ancora generosissimo di sé. Poi talvolta capita che tra noi ci siano dialoghi del genere:
Andrea, questo che ho detto magari non lo mettiamo nel libro.
“È interessante però, spiega tante cose…” ribatto, “Poi a togliere c’è sempre tempo.”
Sì, però non la sa neppure mio figlio.”
“Allora recuperi senza tanti giri di parole.”
Non l’ho mai raccontato a nessuno…

 “E' una occasione in più per dare senso a quello che hai fatto finora nella vita.”