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domenica 20 maggio 2012

Sulla perdita della nostra innocenza.

Quello che mi fa più rabbia è la perdita dell’innocenza, la mia.
Non riesco più a pensare a un attentato mafioso o anarchico come tale, come a una violenza voluta da qualcuno per i propri interessi e per attaccare noi, che siamo lo Stato, che siamo il Paese e che siamo i buoni mentre loro, i cattivi, vogliono il dominio del terrore, come la Spectre dei fumetti.
Quando incontro gli austriaci, gli americani, i norvegesi, i tedeschi, mi rendo conto come loro credano che ci sia uno Stato che li difende, che pensa a loro, che fa i loro interessi, che ne accompagna benevolmente le vite quotidiane. Io non ci credo più, e questo mi fa arrabbiare, vorrei ci fosse un diritto all’innocenza.
Ho fessurato la mia innocenza a 9 anni quando le BR hanno gambizzato il papà di due miei compagni di classe alle elementari, un uomo giusto. L’ho spaccata pochi anni dopo sotto l’impatto  della bomba alla Stazione di Bologna, i cui echi macabri sono tuttora nella mia testa. L’ho spazzata via con le due autobombe destinate a Falcone e Borsellino, che mi hanno lasciato orfano della giustizia. Ne ho calcificato eventuali germogli rimasti coi fatti del G8 di Genova, una follia che mi impedirà per sempre di guardare a una divisa come a un simbolo di sicurezza. 
E allora nella mia testa l’attentato al manager dell’Ansaldo a Genova, la difficile reintroduzione del falso in bilancio, la bomba davanti alla scuola di Brindisi, il finto tentativo di suicidio di Bernardo Provenzano, il secondo turno delle amministrative, il PDL che perde il 40% dei voti in Sicilia, Beppe Grillo e il suo frinire scomposto, il Vaticano che non riesce più a tenere sotto controllo le bave dei propri interessi con la mafia e la banda della Magliana, diventano un gigantesco quadro di malaffare dove – come nella scena finale di Magnolia -  tutti cantano la stessa canzone stonata pur non conoscendosi, e non partecipando alle stesse malefatte, senza conoscersi ma rispettando il male reciproco come necessario.
Io questa canzone agghiacciante, stracciata dalle grida, schizzata di sangue e ipocrisia non la vorrei sentire mai più.
So che non cesserà solo perché lo voglio ma solo se io, con voi, con molti che mai conoscerò parteciperemo alla costruzione del futuro che vorremmo.
La mia innocenza ormai è andata nel vento, quella dei miei figli può ancora mettere radici.

lunedì 7 maggio 2012

La nave fantasma e il fantasma della nave.

Si è parlato tanto della Costa Concordia e di quel vanaglorioso di Schettino che l'ha spiaggiata davanti al Giglio portando a morte assurda decine di passeggeri e lasciando in eredità ai turisti un vero monumento alla stupidità umana.
Si è parlato poco, pochissimo, della Costa Allegra che poche settimane dopo è andata alla deriva nell'Oceano Indiano per tre giorni per una grave avaria dei motori.
Ora, mettiamoci nei panni delle 1049 persone a bordo, dotate di certo di ogni ritrovato audio e video, con il tempo di girare interviste, documentari, 'drammatiche testimonianze' sulla fine dei canapé al salmone e poi raccontarlo al mondo, ai giornali, ai talk show del pomeriggio. Ebbene: non è uscito nulla, di quelle giornate non sappiamo nulla, come fossero state inghiottite dal Triangolo delle Seychelles.
I giornali: assenti. Le TV: distratte. I talk show: sovrappensiero.
Quando di una cosa così grande e affollata si parla così poco vuol dire che a molti interessava non parlarne, o meglio, a molti conveniva non parlarne.

Cosa è successo in quei giorni? Quanti maroni sono girati? Quanti amori sono sbocciati?
Ma, soprattutto, cosa è stato offerto ai 1049 per tacere e passare al forno le loro video cassette, memorie SIM, e foto di viaggio di nozze? E cosa rischiano se spifferano del menù a pane secco e acqua di mare del terzo giorno alla deriva?
Quante crociere sono state regalate ai giornalisti di tutto il mondo perchè non parlassero dei fatti, né pubblicassero foto, né video sui loro bei portali sempre pronti a far svolazzare farfalline integrali accanto a kamikaze integralisti e gare di parrucchieri per cani dislessici?

Si parla sempre tanto di italico ingegno, del nostro artigianato di precisione, di geni scienziati e navigatori dimenticando che il nostro punto di forza è sempre stato quello di essere dei depistatori. Siamo una nazione che è riuscita a uscire dalla II Guerra mondiale dalla parte dei vincitori e delle vittime, a non condannare nessuno per i fatti del G8 di Genova, a santificare papi oscurantisti e assolvere intere generazioni di calciatori dopati e corrotti, e pure far passare Piazza Fontana come un attentato delle BR, ma direi che nei fatti della Costa Allegra la figura del Gestore della Crisi abbia raggiunto un picco di professionalità prossimo all'arte raramente visto prima.
Non so se chi coordinato il tutto nella Emergency Room della Costa abbia un passato in Digos, nella Democrazia Cristiana o nella commedia dell'arte ma di certo padroneggia le tecniche dell'insabbiamento, della mistificazione, della disinformazione meglio di un tg berlusconiano gestito dal Mossad.
Quest'uomo, o questa donna, meriterebbe un cavalierato, or anche un sottosegretariato alle Politiche AntiCrisi, una copertina su 'Chi' e comunque di non rimanere nell'ombra, soddisfatto magari solo da un aumento di stipendio a sei zeri.

venerdì 4 maggio 2012

La nonna sussidiaria: Complementi di educazione per Genitori adulti (caso 1)

La nonna ha una settantina d'anni e ama chiacchierare. Ci incontriamo spesso al parco dove anche io porto i bambini. La vedo col nipotino di sei anni circa, un bambino vivace, ribelle quasi. Lei talvolta è esaperata, oggi particolarmente: "Mio figlio esce di casa alle otto di mattina e, se va bene, rientra alle otto di sera; il sabato lavora spesso e la domenica il bambino non deve fare nessun rumore fino alle 10 per lasciarlo dormine. Mia nuora lavora, e in teoria alle cinque dovrebbe aver finito ma sembra faccia apposta ad avere degli impegni perchè non sopporta il bambino. La poverina non può far a meno del corso di aggiornamento di informatica, di quello di yoga per rilassarsi, dell'aperitivo con le amiche antistress. E il bambino cresce cosi nonni...".
Non vuole la mia opinione, le bastano le mie orecchie. Forse sa che scrivo (a volte il fatto che io scriva aiuta il fluire racconto, forse fa sperare a chi ha dei fardelli che fissati dalla mia penna sembrino meno squallidi e insensati di come sono in realtà).
Si è accesa una sigaretta, "I genitori non vedono mai il bambino ma hanno letto un  mucchio di libri e visto qualche bel documentario sull'educazione e pretendono di dire a me che me lo spupazzo tutto il tempo come lo devo educare".
Il mio sguardo la incoraggia a fare esempi, allora eccoli: "Domenica lo hanno messo in punizione: una settimana senza tv e videogiochi. Lunedì me l'hanno detto per telefono 'mi raccomando, niente...'. Ma lo ha visto?"
Il pupetto sta risalendo uno scivolo al contrario abbattendo come birilli i malcapitati sul suo cammino.
"Come cazzo lo tengo io quello lì per una settimana senza televisione e giochini? Io sono quella messa in punizione!"
Mi verrebbe da suggerirle alcool o droghe leggere sia per lei che per il bambino ma il mio umorismo non sarebbe ben accettato.
"Sono degli incoscenti: si sono tolti il pensiero di essersi fatto il figlio e poi...", seguiamo il piccolo mentre tira la sabbia negli occhi a una bambina coi boccoli, "... hanno letto sul giornale che i bambini non si picchiano mai: bella stronzata. Sa, io il mio l'ho cresciuto a ceffoni e lui lo sa bene, a sei anni era ingestibile come mio nipote, e adesso invece, guai a alzare una mano sui bambini. Bella stronzata e questo a quindici anni papà e mamma se li mangia in un boccone".

mercoledì 2 maggio 2012

Le parole sono importanti, specialmente se le ascoltano in 500mila

Ieri mi sono goduto gran parte del concertone del Primo Maggio.
Mi piace andarci di persona, amo aggirarmi in quella bolgia riconoscendo anche come mie le ragioni che spingono mezzo milioni di giovani a concentarsi lì, conscio pure del fatto che giovane non lo sono più. Quest'ultimo particolare sposta spesso la mia osservazione sul versante antropologico della situazione e posso studiare 'dall'esterno' comportamenti, codici, riti di quella marea umana.
Lì ci trovi energia, speranze sogni, sorrisi, complicità poi, subito evidente come una nuvola nera a ferragosto, anche tanta voglia di dimenticare. Per molti c'è da dimenticare la condizione in cui si trovano, la disoccupazione (o la sottocupazione), l'incertezza, il nepotismo subito, il nepotismo agito che non lascia comunque in pace con se stessi, la difficoltà a mettere punti fermi su cui fare leva e raggiungere altri obiettivi. E dimenticare assieme, riconoscendo la propria bellezza e la propria rabbia in quella degli altri, aiuta assai.
I giovanissimi a San Giovanni sono tantissimi e nei fiumi di alcol e droghe che circolano di mano in mano misuri la distanza che cercano di prendere dalla realtà. Forse si tratta della realtà familiare, forse quella culturale o sociale, di certo la quantità non modica di schifezze che assorbono  misura bene quella che percepiscono come la propria inadeguatezza ai tempi (troppo facile dire specchio dell'inadeguatezza della mia generazione a essere di esempio?).
E' interessante stare lì in mezzo anche se sono così distante da loro. Non è un posto per quarantenni, mi verrebbe da dire (anche se nessuno ti caccia :-).
Una cosa però quest'anno mi ha legato più del solito a quel posto: le parole. Ti avvolgevano con la loro forza, per scuoterti e farti ragionare. La piazza quest'anno era quasi più un posto per scrittori che per musicisti.
Attaccati alle inferriate e agli alberi c'erano decine di striscioni che  raccontavano lo strazio e la rabbia di crisi aziendali, chiusure di stabilimenti, licenziamenti. Le parole delle t-shirt vendute nei loro mille colori, tutte orfane dei facili lazzi antiberlusconiani, erano concentrate sul sognio di un mondo più pulito e giusto. Tante ragioni e informazioni erano volantinate e raccontate dai loro protagonisti. E poi c'erano le parole delle canzoni dal palco a sfondare con la loro forza la scenografia di cartavelina televisiva fatta di un eterno San Remo o XFactor o Amici.
Davvero belli molti testi, un passo in più rispetto al passato, spremute di intelligenza non credo segno di una improvvisa alfabetizzazione dei protagonisti ma legata al fatto che in Italia è passata la sbronza e c'è qualcosa da dire perchè molti si sono posti nella condizione di voler ascoltare. Fantastici Nobraino, Sud Sound System, Subsonica.
Su tutti loro, imperioso e definitivo, si è eretto Caparezza la cui intelligente presenza scenica ha pochi paragoni in Italia e che nei testi raggiunge vette degne di un'antologia della lingua italiana.

Caparezza e le sue parole per dirlo

"Cervelli in fuga, capitali in fuga, migranti in fuga dal bagnasciuga
È Malincònia, terra di santi subito e sanguisuga
Il Paese del sole, in pratica oggi Paese dei raggi UVA"

sabato 28 aprile 2012

Beato il popolo che sa scegliere i propri eroi.

C’è una petroliera italiana, la Enrica Lexie, che naviga al largo della costa indiana, una barchetta da pesca gli si avvicina, per qualche ragione ancora sconosciuta due pescatori rimangono perforati da colpi di arma da guerra provenienti da bordo della nave. Sulla nave sono imbarcati 6 militari italiani, lì per scortare la stessa nelle tratte pericolose battute dai pirati, spesso somali, che prendono in ostaggio le navi. Con uno stratagemma, gli indiani fanno fare alla nave il percorso fino a un loro porto, la trattengono e lì incriminano due marò di omicidio.
Nel tempo succede che, per sommi capi:
  1. l’Italia nega tutto, dice che i marò hanno sparato alcuni colpi in aria a scopo dissuasivo e che anche un’altra nave greca in zona ha denunciato un attacco di pirati, lasciando intendere che se qualcuno ha sparato sono stati altri (della nave greca si perderanno le tracce: depistaggio fallito);
  2. molti giornali italiani insorgono per l’incriminazione ai due soldati ritenuta illegittima e un vero affronto nei confronti del nostro Paese (qualcuno li chiama ‘eroi’ nello slancio patriottico tipico che usa la lingia con maggiore velocità del cervello denunciando una seria carenza di competenze semantiche)
  3. l’Italia chiede subito il rispetto di una serie di convenzioni internazionali che prevedono in sintesi che se mai i marò si fossero macchiati di omicidio dovrebbero essere processati in Italia; continua però anche a sostenere la loro innocenza;
  4. le autorità indiane non mollano anche perché di lì a pochi giorni in India ci sono le elezioni e l’idea di resistere alle pressioni internazionali per il rilascio dei due presunti colpevoli fa salire i punti di ogni schieramento politico (cosiccome difendere i due ‘eroi’ aiuta parecchi partiti italiani a far dimenticare la loro inettitudine su ogni tema non retorico); inoltre Sonia Gandhi, la leader politica nazionale, è italiana e qualsiasi apertura governativa al dialogo verrebbe da molti media letta come un favoritismo.
  5. la situazione appare in stallo per molti giorni: si muovono assieme avvocati, ambasciatori, mediatori e chissà chi altro non sapremo mai
  6. il test balistico evidenzia chiaramente che a sparare sulla barchetta piena di pescatori disarmati sono stati proprio i nostri marò.
  7. Da questo momento in poi le notizie dall'India sui giornali italiani rimpiccioliscono; si sà, la colpevolezza dei nostri eroi non aiuta le vendite e non sostanzia di petti in fuori le dichiarazioni dei politici che, infatti, si eclissano.
  8. le notizie diventano ancora più piccole e ritracciabili a stento tra i reportage dal salone del mobile di Milano e la recensione del nuovo libro della Tamaro quando occorre dire a denti stretti che alle due famiglie dei pescatori morti sono state dati 150.000 euro ciascuna sottolineando ipocritamente che ciò non si deve intendere come ammissione di colpevolezza e che la cifra corrisponde a "oltre 250 anni di stipendio dei morti". Il patto ovvioè che venga ritirata ogni accusa di parte verso i militari.
  9. La Corte Suprema indiana ha a questo punto accettato anche il ricorso italiano e tutto fa presagire che prima o poi i soldati torneranno in Italia accolti da eroi con articoloni tronfi e ormonali. Poi gli faremo un bel processino finalizzato a sostenere la tesi di qualche eccesso di autodifesa con contorno di cavilli giuridici e tanti saluti.

L'insieme dei fatti rientra nella logica delle cose e dei rapporti tra Paesi poveri e ricchi, nelle ragioni di Stano e non mi soprende, conosco le regole, magari mi indigna un pochino (un grosso pochino). Ho messo tutto in fila però per darmi il tempo di entrare nella parte di un indiano qualsiasi, e poi di nuovo nelle vesti delle famiglie delle decine di vittime italiane del Cermis quando un esaltato aviatore americano giocando a svolazzare sotto i cavo della funivia lì ha tranciati, è rientrato alla base e è tornato in America a fare i suoi giochetti di guerra lì e il nostro Paese per anni ha invocato di conoscere il volto e poterli processare. Stesso disagio fisico per l’impunità concessa a chi ha sparato a Nicola Calipari mentre liberava Giuliana Sgrena in Iraq, ma anche ai militari olandesi che hanno consentito la strage di Srebrenica in Bosnia. Le vesti di chi ha subito stanno strette, fanno male, umiliano, oltre ogni ragione di stato.
Ho pensato anche a cosa sarebbe successo sulla stessa stampa partigiana che spalma di eroismo due uomini che hanno sbagliato nel loro difficile lavoro se una nave da carico indiana avesse sparato su due pescatori di Posillipo. Poi mi sono figurato tutti assieme i danni che i nazionalismi fanno alla credibilità delle istituzioni, all’ideale di verità che provo a trasmettere ai miei figli.
Mi duole poi constatare ogni giorno il totale distacco che le forze armate italiane hanno dalla popolazione che le esprime (e le finanzia). Una deriva aumentata con la fine del servizio obbligatorio di leva, evidente dal disinteresse conclamato per le nostre truppe all’estero, per le ragioni che ce le tengono, per gli effetti che comportano.
E se ogni tanto ne muore qualcuno la reazione cinica della massa a digiuno di verità come di semplici informazioni è: “tanto è il loro mestiere”. Tale disinteresse diffuso è, a mio avviso, perfettamente pianificato dalle stesse gerarchie militari, già, perché è impossibile per noi familiarizzare con dei fantasmi che non appaiono mai, di cui non si sa niente, di cui i giornali non parlano mai, e dunque non sono evidentemente interessati a trasmettere la loro ‘utilità’ perché preferiscono non essere amati per non essere giudicati: per quello che fanno, per quello che spendono, per gli effetti collaterali delle loro armi, per le scelte, le alleanze.
Vorrebbero magari essere amati per fenomeni da baraccone costosissimi e inutili come le Frecce Tricolori, la parata del 2 giugno o l’Amerigo Vespucci, lustrini dal fascino limitato e non certo sufficienti a dare ragione e motivo della macchina che li mette in campo.
Credo nell’utilità degli eserciti ma ho paura della loro autoreferenzialità; diffido degli eroi e delle santificazioni emotive; temo più di tutto la deriva antidemocratica che contraddistingue chi si permette di non rendere conto a nessuno di quello che fa.

martedì 24 aprile 2012

W il 25 Aprile

La crisi si vive, si tocca, ti avvolge, ti fa la festa.
Ho decine di amici cassintegrati e preoccupati, altri che il lavoro lo perderanno o lo hanno già perso, e c’è chi ancora ne ha uno che però non gli consente però di vivere in autonomia e a 40 anni torna a casa dei genitori. I clienti migliori mi chiedono di accettare una riduzione del compenso del 20-30%, scusandosi per la loro mancanza di risorse, con lo sguardo greve di chi sa che dopo aver tagliato a me dovranno autotagliarsi; un mio editore è fallito; un ente pubblico che mi doveva un botto di soldi è stato chiuso da Tremonti da un giorno all’altro.
Puoi però andare a teatro senza prenotazione pagando prezzi da cinema, al cinema invece ci si portano ormai solo i bambini per il loro compleanno, e per scaricare un video pirata con eMule ti devi mettere in fila come al botteghino.
Poi ci sono le auto… a Genova e a Milano tutti dicono stupiti che il traffico è dimezzato, che la mattina ci mettono 20 minuti in meno per andare al lavoro. A Roma poi la scusa principe di ogni ritardo “C’era traffico sul Raccordo Anulare” non regge più, e ciò manda nello sconforto una platea geneticamente ritardataria che negli effetti collaterali della crisi trova pure emendamenti ai propri vizi.
C’è tensione nell’aria perché le risposte e le proposte sono poche, confuse, in ritardo, vecchie già sul nascere, nate per semplificare e non risolvere. Un governo tecnico che perlomeno sa usare le tabelline ha bollato una classe politica, industriale e sindacale autoreferenziale e autistica, che per decenni ha rimestato l’aria per bersi tutta l’acqua e spegnere ogni fuoco. Adesso il Paese deve reimparare a pensare, a creare, a lottare, a indignarsi e anche a sorridere e godere. Sarà duro ma necessario.
La crisi non è un’opportunità, basta retorica, ma è una condizione drammatica che abbiamo in gran parte generato rinunciando a pensare, agire e a far di conto. Alcuni sono più responsabili di altri, sicuro, vanno messi all’angolo e gli va impedito di perseverare. Ne usciremo però solo se sapremo collettivamente esprimere l'idea di un diverso modello di vita, e lottare per ottenerlo. Un po' come partigiani.

domenica 22 aprile 2012

Palinsesto pubblicitario a delinquere.

Guardo poco la tv, davvero il minimo necessario per soddisfare qualche curiosità culturale, risciacquarmi il cervello con alcune fiction ben fatte e tenermi ben aggiornato su 'ciò che la gente guarda' per avere qualche elemento in più per capire cosa la gente pensa e di cosa ha paura.
E nel mio poco permanere davanti allo schermo riesco ancora a irritarmi per l'usanza becera, irrispettosa, mai discussa e mai condannata che ha il duopolio Rai/Mediaset di sincronizzare gli intervalli pubblicitari per scoraggiarti dal cambiare davvero canale.

Sei su Rai2, il tuo investigatore preferito sta per scoprire perchè il cinese defunto ha un microchip nello stomaco, e lo spot dell'auto coreana che sprizza allegria entra col jingle deficiente; tu reagisci spostandoti su Italia1 per una mesta occhiata alla triste allegria delle Iene ma prima di te un'auto francese si è sostituita alla carrozzeria della signora Totti per sottolineare come nel traffico le francesi sputacchino meno anidride carbonica; vai a pisciare, ti prendi un bicchiere d'acqua, torni e c'è una birra allegra come un'auto coreana; skippi allora sul Rai1 sperando che ci sia una pubblicità di biancheria femminile e invece ci trovi Bruno Vespa che gobbeggia intorno a un serial killer; allerta! è il segnale che ovunque gli spot sono finiti in quel momento esatto, torni su Rai2 e del microchip hanno però già parlato, hai perso il filo delal storia e l'investigatore sale su un taxi e dice "insegua quell'auto".

Ecco, l'auto che ci insegue su tutti i canali è l'obiettivo primo del mezzo televisivo. Corre, l'auto, su inesistenti strade nel verde, con inesistenti autisti sorridenti, felici di portare la propria gioia di possesso verso divani sconosciuti. E, nel frattempo, l'impossibilità di sbirciare cosa fa la concorrenza durante quella pausa spot diventa un grande disincentivo a cambiare canale; specularmente, la certezza che quando c'è la pubblicità essa sia ovunque ci tranquillizza sul fatto che ovunque ci sia anche la stessa triste programmazione afona. La tv ormai esiste perchè esiste lo spot e il palinsesto risponde solo alle esigenze di riempire gli spazi tra uno spot e l'altro.
Ci tornerò, c'è molto da dire su questo tema, non sulla televisione, non mi merita, ma sul dominio del mercato sulla realtà.