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lunedì 14 gennaio 2019

Nessuna scusa: andateci!


Mi sono concesso quattro ore per un’infilata di mostre al Maxxi di Roma culminate con: “Zerocalcare – Scavare fossati, Nutrire coccodrilli” e “La Strada – Dove si crea il mondo”.
Andateci, è la parola definitiva.

Perché “Zerocalcare” vi terrà incollati per ore sul senso, le domande, la rabbia di un autore che è quella di tutti noi. Erede di Andrea Pazienza, integro e ironico assieme, modesto e sognatore, di un’intelligenza citazionista riscontrabile solo in Caparezza. L’allestimento poi è magnifico, luminoso e avvolgente. Ricco di centinaia di tavole/poster/striscioni e – soprattutto – con una lettura per storie degli ultimi 20 anni dell’Italia che nessun altro si è permesso di fare. Da tutto si sente il bisogno che Michele ha di comunicare e la sua fede per la sincerità; tutto è così personale da risultare universale. Erano anni che non vedevo tanto interesse del pubblico per le didascalie e le introduzioni, veri pezzi d’arte letteraria anch’essi.

Poi c’è “La Strada”, una mostra che ti sembra di essere all’estero. Finalmente una mostra prodotta a Roma con la dignità di un pubblico internazionale dove Hou Hanru e il team curatoriale del MAXXI hanno fatto un capolavoro. C’è un’idea forte e semplice assieme (La strada, appunto, come luogo dove il contemporaneo nasce e muore) poi opere d’arte, progetti di architettura, fotografie, performance, interventi site specific e video che ti accolgono in un allestimento sontuoso esaltato dall’architettura del MAXXI con una successione di gallerie che formano una strada lunga centinaia di metri. Ridi, pensi, ti turbi, ti stupisci, ti poni domande: cosa volere di più.

Entrambe le mostre dovrebbero essere rese obbligatorie alle scuole superiori e agli universitari perchè si abituino alla complessità; ai politici perchè scendano dal seggiolone e si confrontino con analisi concrete e soluzioni possibili; alle elite vere e presunte e agli intellettuali perchè smettano di raccontare l'ombelico e guardino alla luna; ai curiosi che gongoleranno; ai dubbiosi che ne usciranno ribaltati; ai coraggiosi che ne verranno esaltati; agli innamorati che cementeranno i loro progetti per il futuro di tutti. 

Quattro ore sono il minimo per godere più volte.
Mi è capitato di rado di pensare subito ‘Qui ci devo tornare! E lo devo raccontare a tutti.

venerdì 21 dicembre 2018

Nel 2018, la Prima Volta che…


Esistono snodi rilevanti nel percorso professionale di un consulente. 
Tra tutti, le ‘Prime Volte’ rappresentano punti di svolta che spesso segnano un nuovo filone di attività, l’emersione di un bisogno di mercato, l’intuizione di cosa succeda sul territorio, e che hai una certa età, e che ‘senior’ significa anche che devi essere utile altrimenti quello che fai è tempo perso.

Più di altri, il 2018 è stato per me un anno ricco di Prime Volte professionali. 
Credo abbia senso raccontarle, sia per confrontare gli input di mercato che colgo, sia per sentirmi magari proporre “Anche io mi muovo in quella direzione, facciamo qualcosa assieme?

Nelle molte cose fatte e pensate spiccano per novità:
  • Sviluppo e realizzazione di un percorso formativo nuovissimo su “Politiche e strumenti collaborativi per lo sviluppo sostenibile del territorio.” In verità, non credevo che avesse un mercato: quando mi sono trovato l’aula piena di funzionari entusiasti ho pensato a come il mondo sia molto meno peggio di quello che ci immaginiamo. Peace and codesign.
  • La scrittura di un’intera campagna di videospot, 12, per raccontare in una storia la filosofia di un marchio, la sua differenza, i vantaggi che crea, la forza dei suoi dipendenti. E pure scrivere un cortometraggio di 12 minuti per una multinazionale che lo userà per formare i propri dipendenti in tutto il mondo ai rischi sul lavoro. Storie che diventano immagini che creano azioni
  • È stata la prima volta anche per un webinar in diretta streaming a oltre 600 funzionari pubblici sullo sviluppo di servizi per l’impiego adatti alle necessità di lavoratori e aziende nel  XXI° secolo. Parlare ad uno schermo sperando di mantenerli svegli…
  • Per la prima volta ho insegnato in un singolo corso per adulti (di storytelling digitale) per oltre 30 giornate. Tantissime per i normali standard. Ho però così la rara fortuna di partecipare all’intero percorso di scoperta, consapevolezza, azione da parte di donne e uomini fantastici in cammino verso la propria autorealizzazione. (… e non è finita ancora…)
  • Ho poi progettato e messo in pratica una piccola offerta di Turismo Esperienziale a Roma per capire come funziona, come si inserisce nei flussi, come contribuisce allo sviluppo, cosa vuole il turista, quali competenze include, cosa significa erogare esperienze e conversazioni. Vorrei che a questo seguisse un libro…
  • Per la prima volta mi hanno scelto come Valutatore di progetti in diversi posti in Italia. È un’esperienza segnata dall’età, occasione preziosa per contribuire alla crescita del sistema e per capire cosa manca sul piano della visione, della capacità di analisi, di progettazione, di lettura dei bisogni. C’è tanto da fare, credetemi. Il livello medio è ancora troppo basso.
  • Ho partecipato assieme a molti pischelli a hackathon dove i cervelli si nutrono uno dell’altro e le cose accadono meglio di come te le saresti mai immaginate (ok, qui non era la prima volta, lo ammetto, ma ogni volta è come se fosse la prima)
  • Ho concluso la scrittura due biografie personali. Quella di Nino (78) e quella di Pina (92), eroi a prescindere, ormai zii acquisiti, capace di aprirmi la mente sul futuro concedendomi l’accesso al loro passato. La scrittura portata a un livello di utilità mai provato prima.
  • Un giorno di novembre, mi sono ritrovato in una assolata città del sud a fare il fratello maggiore a quindici ragazzi in lotta, che vorrebbero un mondo diverso per avere una vita e una famiglia normale. Sono diventato per un attimo il loro specchio, la loro voce e la loro penna. Da allora li ho con me e ascolto attonito la rappresentazione fiabesca che la politica vuol dare della realtà.
  • Sono sbarcato su Instagram. Non un passo memorabile forse, piuttosto un avamposto che diventa una sfida riempire di senso. Portarvi contenuto vitale è come seminare nel deserto.
  • Infine è stato l’anno in cui all’improvviso in molti mi chiedono di essere relatore alle tesi dei master dove insegno, anche là dove faccio una sola lezione. Mi hanno detto che porto ossigeno, forse è un complimento. Forse ho più domande che risposte, e questo serve sempre tanto.

Ora è Natale, sono un po’ stanco e bisognoso di letargo, stupore, cioccolato, coccole e formazione.

Ci leggiamo nel 2019. Auguri a tutti!

sabato 15 dicembre 2018

La famiglia Italia, in Viale Europa 27.


Nel condominio di Viale Europa, la famiglia Italia abita al primo piano. E' un grande edificio, bellissimo, abitato da tante persone, ricco e povero, con i suoi problemi e le sue grandi forze. 

Gli Italia hanno un ampio appartamento che vale almeno  il 12% dei millesimi dell’intero palazzo: sarebbero in grado di orientare tutte le scelte, di aiutare a risolvere i problemi, peccato che alle riunioni non vadano quasi mai e se sono presenti passino tutto il tempo al telefonino o deleghino a votare per loro comparse prezzolate che non hanno idea di dove siano, e pensino solo a chiedere il numero di telefono alle studentesse dell’Erasmus del terzo piano.

Gli Italia escono poco, quindi capiscono anche meno. Sono però iperattivi. Per distrarre i figli che hanno intuito quanto sarebbe meglio conoscere gli altri abitanti il condominio, e tranquillizzare i nonni che si annoiano e parlano solo a quant’era bello quando avevano trent’anni, i denti, i capelli e la pensione regalata, si sono messi a fare  lavori inutili e di grande effetto, come capita nelle migliori gabbie di criceti e negli imperi egizi.

Alza quel muro!” è stato il primo imperativo “Dobbiamo impedire l’ingresso dei gatti randagi dal cortile!” e “Così bocchiamo le correnti d’aria fredda!” e “Impediamo l’ingresso di cibi senza carboidrati!” Poi è venuto  Installiamo un nostro videocitofono!” un bel gadget tecnologico per divertire i bimbi che possano vedere l’esatta posizione dei fattorini prima di lanciare i gavettoni, utile anche a scegliere le badanti in base allo zigomo e i raccoglitori di pomodori in base all’apertura pollice-indice. Ecco poi “Stampiamo i soldi finti come a Monopoli e facciamo finta che siano veri! Siamo ricchi!” cosa che ha divertito un po’ tutti e aumentato per due giorni gli scambi economici nell’appartamento. Ecco allora “Pitturiamo le serrande color cachi!” è stata poi una proposta utile a dare un lavoro inutile ai ragazzi di casa e a lanciare l’hashtag #cachisenzavergogna, per sentirsi trasgressivi e divertire sui social. Infine è arrivato il ferale “Non rispettiamo le regole condominiali! Non ci piegheremo alla dittatura dello zerovirgola!”

Gli Italia sono rumorosi e inaffidabili, si sa, e usano spesso paradossi pensando che grazie alla loro simpatia nessuno li ascolti davvero, però quest’ultima affermazione ha stranito gli altri condomini che hanno cominciato a chiederne ragione, anche perché il cattivo esempio non stigmatizzato è in grado di condizionare anche altre menti semplici nel grande palazzo.
Gli Italia, a cui non manca la fantasia, hanno subito trovato motivazioni fanfaroniche e d’impatto: “Perché in Viale Europa il tempo atmosferico è sempre deciso dagli ultimi piani! Perché non possiamo neppure più russare in casa nostra! Perché siamo belli, furbi e veniamo da lombi nobili e dunque i diritti e i doveri degli Italia sono diversi geneticamente da quelli degli altri! Perché quello che facciamo coi muri in casa nostra, sono solo mattoni nostri, e non ci interessa se siano portanti! Cosa? Dite che c’era un accordo scritto? Di certo a nostra insaputa! Avete ancora da ridire? Noi allora ci infiliamo le dita nelle orecchie e urliamo democraticamente blablabla!  Non vi va bene? Siete fascioidi, antidemocrastici e xanadufobi!
Ecco una montagna di parole sparate a casaccio, scoregge false, rutti utili solo a sollevare polveroni di saliva portatrice di contagio. Con l’obiettivo di convincere i giovani e gli anziani in famiglia che in Viale Europa non li vuole nessuno, che per loro non c’è posto, non c’è aria, non c’è libertà. Per convincerli che sarebbe meglio trasferirsi altrove, in un posto libero dove gli altri non ci saranno, nessuno gli ruba il diritto di piangersi addosso, e non avranno pressioni per guardare al futuro, risolvere i problemi, combattere le mafie, far amicizia e business col vicino di casa, rispettare le leggi ambientali e fiscali. In un posto dove potranno vivere degli ortaggi dell’orto piantato su bei terreni contaminati, ruminare prodotti bioillogici fatti dagli Italia, da maestri del telecomando, orgogliosi della loro bella lingua, anzi liberi di usare un dialetto in cucina, uno in bagno e uno in salotto.

Itala, la più giovane, che è poco interessata a quelle fregnacce e ha già capito che gli adulti alzano il tono quando devono coprire le loro colpe, e parlano di libertà quando sanno di togliertela, chiede “Com’è ‘sta storia di Zerovirgola? L’avete ritrovato? È diventato dittatore di che?”
Ovviamente lei si riferisce al gattino sparito da qualche settimana, in realtà annegato nello sciacquone dallo zio che non ne sopportava i miagolii notturni e per la cui dipartita ha accusato ad arte lo chat del vicino di pianerottolo.
“Grazie per la domanda, piccola Itala, e non farne mai più. Ciò mi consente di parlare d’altro,” i capifamiglia lo spiegano bene alla famiglia riunita sotto l’albero, “Loro, quelli qui di Viale Europa… Loro i gatti li mangiano. Loro non ci vogliono e neppure capiscono che siamo diversi. Ad esempio, noi volevamo indebitarci verso di Loro spendendo il 2,40% di quello che non abbiamo, ma Loro ci hanno guardato male, allora abbiamo detto subito che sarà solo il 2,04% - che poi è la stessa cosa perché sia sa che qualunque numero moltiplicato per zero dà sempre lo stesso risultato . Ma Loro non sono contenti, mai. Loro sono cattivi e non amano la matematica. E noi siamo buoni e. Semplice, chiaro.” Molti annuiscono.

“E Zerovigola dov’è finito?” la bimba è interdetta dai funambolismi illogici dei capifamiglia.
La doppia sberla biguanciale le arriva da entrambe i capifamiglia mentre il terzo riprende  la scena col telefonino e la posta con #cachisenzavergogna #eallorazerovirgola #unatroiettapresuntuosa #vialeeuropacovodiserpi #primagliitaliaepoiildiluvio #ridebenechihaancoraidenti
Con le mani fumanti in bella vista, i capifamiglia riprendono, “Il regalo che vi chiediamo a Natale è consentirci d’abbattere il condominio in primavera, quando si voterà per il nuovo amministratore.”
“Con noi dentro? Siete scemi?” chiede il cugino Italicchio che gli altri trattano come un animale da cortile perché ha preso addirittura la licenza da geometra.

I dettagli non sono importanti: noi siamo gli Italia! Noi i dettagli ce li pippiamo come farina taragna!" e lo mettono a quota 100, gradi nel forno. "Autorizzateci a imbottire i pilastri di casa con bombe! A cambiare tutto! A mettere la realtà aumentata nell’ascensore sociale! A chiudere la bacheca degli avvisi che spreca carta! A accorciare le divise delle stagiste e a impedirgli di abortire! A malmenare chi vuole rimanere in Viale Europa! A abolire la logica, l’università, la cucina fusion, i rapporti tra condomini consenzienti! Fateci rendere obbligatorio l’uso dell’esclamativo al termine di ogni frase! Autorizzateci a tutto, visto che non ci capiamo niente! E sarete sempre più felici di appartenere a questa famiglia!
(continua?)


Dedicato a Antonio Megalizzi.
R.I.P.

lunedì 10 dicembre 2018

Sullo scrivere e sul leggere ai tempi dell’emoticon


Caso 1) Un amico funzionario  in Commissione Europea mi racconta che in un comitato impegnato a trasferire norme di sicurezza e igiene ai parrucchieri di tutta Europa si è sentito dire: “No, non possiamo presentare questi contenuti con una brochure perché i parrucchieri non leggono mai!” Era chiaro come il problema non fosse ‘quella’ brochure ma l’uso di testi in generale.

Caso 2) In uno dei miei corsi di storytelling applicato ai beni culturali abbiamo visitato diversi musei. Abbiamo provato a ragionare sulle didascalie alle opere. Mi sono subito reso conto come l’esercizio non destasse entusiasmo. Il perché mi si è chiarito quando, con schiettezza, un partecipante è sbottato: “Vabbè, Andrea, il fatto è che io non leggo mai le didascalie, per me si potrebbero proprio togliere. Dobbiamo inventarci altro…” In molti annuivano.

Caso 3) Non c’è bisogno di un semiologo per notare come lo spostamento verso Instagram dell’uso dei social non coincida affatto con la capacità di fare belle foto quanto piuttosto con la voglia di senso immediato dato dall'imagine ritoccata, fasulla, patinata. Traspare il totale disinteresse per l’approfondimento, e si nasconde una scarsa capacità di approfondire, quasi che la consapevolezza di non avere gli istrumenti per comprendere la complessità travasi l’attenzione e la dedizione dove non c’è nulla da capire.

Caso 4) Il diluvio di whatsapp vocali e la loro illogica serialità che trasforma ogni affermazione in provvisoria. Svuotato dal contesto di un processo di apprendimento, parlare a Siri, Alexa e Hal9000 diventa più dannoso che spiegare l’Iliade a un cane o conversare con gli alberi (perlomeno questi non danno problemi di privacy). L'Intelligenza Artificiale avrà in futuro decine di fantastiche applicazione ma il suo distaccarci dalla parola scritta ci allontanerà anche dalla necessità di capire concetti complessi e al gusto di considerare alternative meno efficienti ma più costruttive alla soluzione dei problemi.

Vivo scrivendo, scrivo per vivere. Mi ricarico leggendo.
Parte delle mie parole esce in forma di libro edito; quando scrivo biografie personali queste diventano un libro privato in edizione limitata; le mie sceneggiature diventano spot o plot; progetto esperienze che fanno ridere, imparare, piangere, scoprire, in musei, negozi, spazi; poi c’è il blog, il sito, i post, le lettere a chi amo, gli appunti lasciati a macerare nei notes per anni che al momento giusto sanno prendere vita.
Nello scrivere trovo manifesto il coraggio di affermare la propria esistenza, è un continuo mettersi in discussione, affrontare la vita adulta, serve a mediare e a comprendere, lascia inermi, muove energie.

Per quello che scrivo vengo anche contestato, talvolta in modo acceso. E sono tra i momenti migliori, quelli che ti fanno capire come scrivere serva, come io di strada ne debba fare ancora tanta, quanto debba imparare, e di nuovi compagni di strada incontrarne molti.
Spesso chi mi contesta non è in grado di argomentare le sue ragioni e la butta in caciara, in quei casi mi spiace. Vorrei sapesse argomentare meglio, contestarmi meglio, usare delle fonti, separare fatti da opinioni. Perché altrimenti il nostro incontro non serve a nessuno dei due.
Perchè scriversi e leggersi è la migliore via conosciuta per moltiplicare le vite che ci sono concesse.




sabato 10 novembre 2018

"Paganini Rockstar" - Il racconto di una mostra con ambizioni fuori dal comune.


Con la classe del corso di digtal storytelling che tengo a Genova, sono stato pochi giorni fa alla tanto attesa mostra Paganini Rockstar, al Palazzo Ducale. Megaproduzione locale di ambizioni almeno europee. 

Annunciata per mesi con una comunicazione poppissima e intelligente, la possibilità di poterla finalmente visitare elettrizzava tutti noi. L’idea di base è che Paganini ai suoi tempi fosse una star, un virtuoso, un dannato, un marziano della musica come Hendrix.
Il primo, grande, calo di tensione è arrivato già all’ingresso quando la signorina in tailleur – consapevole della eresia che stava dicendo – ci ha invitato a “non fare foto e video, per favore.”  Le ragioni erano di copyright  e dintorni: posso anche capire ma non devono diventare un mio problema e sono tutte cose risolvibili volendo e pagando. Sono anche le ragioni per cui sui social si parla poco e niente della mostra (e forse anche perchè per 2 ore siamo stati quasi gli unici visitatori).
Di colpo siamo tornati in Italia, in periferia, in mano a chi non ha capito nulla del pubblico e di quello che cerca. La partecipazione attiva è la prima cosa che determina il successo e scattare foto per raccontare è il top  (anche perchè poi poco è arrivato in tal senso) …. Con molti corsisti rassegnati  entriamo.

Il primo exibit è il più bello di tutti: su uno schermo parole vanno alla velocità delle battute dei “Capricci” di Paganini. Siamo davvero senza parole.
Approcciando poi i testi sui muri invece ne troviamo troppe: migliaia di parole, verbose e adatte a altri scopi, sicuramente scritte da esperti di musica ma da inesperti di allestimenti e incuranti dei livelli di attenzione e di diottrie di noi umani paganti.

Poco oltre la cosa più malriuscita, che purtroppo si ripete per tutta la mostra. Lungo il percorso ci sono numerose ampie pareti specchiate. Vi sono attaccate, come lavoretti scolastici, centinaia di testi, foto, talvolta con finestrelle video che hanno tutte la stessa caratteristiche: caratteri piccolissimissimi, testi lunghissimi, in contesti buissimi. Poi sarebbero davvero la cosa più interessante perché costruiscono la relazione tra Paganini e Jimi Hendrix. (Quei pochi che sono riuscito a leggere hanno confermato quest’ipotesi)
Ho scritto ‘come lavoretti scolastici’ perché diversi dopo meno di un mese di mostra si stavano staccando per colpa di un biadesivo acquistato in saldo, sotto gli occhi del molto personale che forse è più preoccupato di chi fa le foto piuttosto di che cosa fanno le foto della mostra.

Meglio riuscite le proiezioni su grande schermo: magnifico Bolle che balla su musiche di Paganini, interessante Morgan che ne analizza la musica, e simpatica la Nannini che racconta il suo rapporto col palco. Noiose e ripetute nei format le interviste-testimonianza a una serie di esperti paludatissimi che dicono la loro in un set statico, statici loro e monocorde le loro narrazioni.
Progettate malissimo le postazioni touch dove puoi sfogliare centinaia di pagine digitali di testi e diari che dovrebbero essere interessanti ma sono illeggibili: sarebbe bastato evidenziare o animare delle parti per moltiplicare il nostro interesse.

Il calo della libido da mostra è totale nella sala dove sono mostrati sotto vetro un violino e una chitarra elettrica smembrati in parti (niente di prezioso, kit acquistabili su Amazon). Sono in legno. Vorresti toccarli, sniffarli fare esperienza emotiva del rapporto con tutto ciò ma niente.

Lì accanto, una delle poche cose che ha animato gli studenti: una chitarra elettrica e un violino elettrico a disposizione di tutti. Ovviamente molto graditi a chi suonicchia qualcosa, zero agli altri che magari avrebbero invece apprezzato un tutorial o qualcosa del genere.

In chiusura c’è una piccola parte dedicata a Jimi Hendrix che è quello che ti aspetti: un fantastico videowall dove suona, qualche bell’abito di scena e un’intervista a Ivano Fossati che ne giustifica l’accostamento con Paganini e gli toglie un po’ la scena.

Molte cuffie per ascoltare interviste e musica, tutte di bassa qualità. Dopo la mostra dei Pink Floyd dove avevamo tutti una cuffia Sennheiser da 70 euro, lo standard deve essere posto a un livello decisamente più alto

Il merchandising… penoso come quasi sempre in Italia: la tazza, il catalogo e il magnete da frigo, nient’altro.

Insomma, una mostra con ambizioni pop ma senza il coraggio di osare davvero. Con di certo alto budget ma con poca attenzione a noi visitatori. Con idee ancora poco chiare di come si storicizzi e racconti la musica, la fama, la fatica. Allestita in modo discontinuo e disomogeneo. In bilico tra varie idee di fondo, con forse troppe mani e teste che hanno detto la loro senza mai voler litigare e dunque senza accordarsi su un tono che mettesse al centro le nostre orecchie, i nostri cuori, i nostri sogni. Un discreto punto di partenza per porsi mete più ambiziose.

sabato 6 ottobre 2018

Un aborto di civiltà.


Quando le mie due amiche sposate tra loro si sono chieste chi avrebbe portato avanti la gravidanza il tema mi si è presentato diversamente: cosa accadrebbe se in una coppia etero ci si potesse porre la stessa domanda. Io? Te? Ne facciamo uno per uno? Fosse così l’uomo di certo avrebbe opinioni molto più sensate sull’aborto, o semplicemente avrebbe dimostrato scientificamente che comunque è meglio che partorisca la donna. Perché a noi uomini piace governare le vite degli altri.

È davvero forte l’immagine delle donne ancelle in consiglio comunale a Verona. (Consiglio a tutti la lettura del libro o almeno la visione della serie televisiva a cui si ispirano “Il Racconto dell’ancella”di M. Atwood”). Nella storia sono donne costrette alla riproduzione controllata dall’autorità, senza identità ma solo con uno scopo, accudite e mantenute sane anche contro la loro volontà, corpi come contenitori.

Ricordo al corso prematrimoniale l’anziana coppia che ci ha fatto una tirata sull’innaturalità dei procedimenti della fecondazione in vitro. E poi di quando si è ricreduta visto che l'amato figlio ha avuto problemi a renderli nonni ed è ricorso a ogni trovata della scienza, legale in Italia e oltre.
Ricordo la dottoressa di un grande ospedale pubblico che non dava il proprio nome ai pazienti e fissava appuntamento per un ricovero “a mezzanotte” a chi chiedeva di poter esercitare il diritto di aborto nei termine previsti dalla legge.
Ricordo quel pratico ginecologo che spiegava “A Roma… non saprei. Le mie pazienti vanno tutte a Londra, due giorni, servizio impeccabile, vicino all’aeroporto, 1500 euro volo incluso. Tutto pulito e legale, si intende.”
Ricordo anche lo psicoterapeuta che spiegava come - da protocollo - la visita alla donna sia prevista solo prima dell'intervento e che "sarebbe interessante fare qualche studio su come le donne stanno dopo. Forse l'hanno fatto in Svizzera..." Lui, per stare sicuro, prescriveva sia i calmanti che gli antidepressivi.

Ricordo la coppia che usava l'aborto come metodo anticoncezionale, e la ragazza che ha dovuto farlo come unica via d’uscita da una situazione impossibile e dopo 30 anni ancora elabora il lutto. 
Il tema è di una complessità comprensibile solo con l’amore per le donne. Invece a parlare d’aborto è sempre una gamma di uomini aspiranti alfa col cervello in versione beta, non testato sul mondo reale ma governato solo sull’algoritmo dei loro desideri.

E l’idea di una “Città a favore della vita” mi ricorda il ridicolo pronunciamento ormai fuori moda di “Comune denuclearizzato”. Li ricordo i cartelli in paesini insignificanti: Melegnate, Cuzzolo sul Lento, Acquastretta, Grullo Superiore tutti ‘denuclearizzati’ perché - si sa - la radioattività rispetta le delibere, i confini catastali e il voto della maggioranza. E quando le Giuliette e i Romei dei consiglieri comunali avranno bisogno di una interruzione di gravidanza cercheranno un Comune che si dichiari a 'sfavore della vita' motivando con “la mia situazione è speciale…”, “dipende…”, “è per il bene della madre…”, "Sono giovani, hanno fatto uno sbaglio," aggiungendo "Posso avere il nome di quella clinica di Londra?"

“I diritti civili non sono nel contratto di Governo” ha detto giorni fa uno di questi sfascisti, chissà se su quello straccio di carta velina hanno messo la Libertà.

lunedì 3 settembre 2018

Tu avresti chiuso il ponte? Non ci credo.


Siamo nel 2014, in una relazione si dice che il Ponte Morandi è in condizioni critiche, che vi sono segnali di debolezza, che forse è a rischio. Alti dirigenti pubblici e privati non affermano le stesse cose, perlomeno non con la stessa urgenza. Alcuni tecnici sono d’accordo con loro, per altri bastano i lavori che si stanno facendo. Qualcuno vuole costruire una strada alternativa per sgravare il traffico sul ponte, utile magari il giorno che il ponte andrà rifatto, tra qualche decina di anni; alcuni comitati di cittadini si oppongono con forza.
Oggi eccoli in migliaia a berciare che qualcuno avrebbe dovuto chiuderlo per 2-3 anni di lavori, bloccando e stravolgendo la logistica in città. Chi lo avrebbe chiuso? Con quali coraggio e diritto? Lo avessero davvero fatto, voi che oggi fate i censori e i mugugnoni avreste detto che la chiusura era esagerata, che bloccava l’economia, che i ponti non crollano, che serve solo a far lavorare le aziende amiche della politica e a bruciare denaro pubblico, etc.

Intervenire... si dovrebbe.

A Napoli decine di migliaia di cittadini abitano follemente in zona a rischio eruzione del Vesuvio. Da decenni la politica oscilla tra fasulli piani di evacuazione, ipotesi di spostamento, scientifiche preghiere a San Gennaro e ampie di distribuzioni di tarallucci e vino. A Messina centinaia di persone sono in abitazioni provvisorie e malsane nate dopo il terremoto di inizio ‘900; molte trasformate abusivamente e oggetto di compravendita, eredità; il nuovo sindaco ha minacciato le dimissioni perché a nessuno in consiglio comunale interessa sistemare la cosa. A Taranto l’Ilva produce più tumori che utili, va superata ma nessuno ha la forza e le idee per imporre un modello alternativo, anche solo di dire la verità. A Roma, decine di ordinanze hanno sancito l’obbligo di abbattimento di decine di ville abusive sull’Appia Antica, non è però una priorità per l’amministrazione che si caga sotto solo all’idea di scontentare qualcuno. La Calabria è una regione persa, e solo una extradose di realismo, unione e coraggio potrà farla tornare in questo mondo, sempre che a qualcuno interessi davvero. Da sempre un lavoratore in cassa integrazione o mobilità a cui venisse offerto un lavoro e rifiutasse, perderebbe il suo sussidio; è una clausola mai applicata: chi dovrebbe farlo, l’operatore precario dei centri per l’Impiego col rischio di trovare le gomme della sua auto bucate all’uscita dall’ufficio? Quando un sito di previsioni meteo scrive che a Rimini o Sanremo pioverà nel weekend, e poi non capita, i comuni e il Codacons minacciano denunce ai siti per aver sbagliato e aver dirottato altrove i turisti.

Affrontare la realtà comporta decisioni impopolari.
Le decisioni impopolari sono possibili solo ai politici di grande spessore, sostenuti da cittadini che non pensino solo al proprio culo e portafoglio e abbiano visione di lungo periodo. Perchè la scienza spesso nelle sue conclusioni è probabilistica e indifferente ai meccanismi della democrazia, alle statistiche di gradimento, agli umori della piazza, ai like.

Se vuoi credere che si possa tutt’assieme diminuire le tasse, dare reddito a tutti, far funzionare scuole, autostrade e ospedali pubblici, tollerare l’evasione fiscale e il lavoro nero, chiudere un occhio su criminalità e inefficienza della pubblica amministrazione, allora dobbiamo provare a ragionare assieme passo passo su quello che è reale, sui sogni e gli incubi, sulle somme, le sottrazioni, le divisioni. Se non riusciamo a spostare l'attenzione da noi, la nostra felicità, al massimo dai nosti figli, alla felicità dei figli degli altri non avremo chance di un futuro migliore ma solo solitudine e paura da proiettare contro i più deboli.

Tu avresti nel 2014 chiuso il ponte? Per favore, parliamo d’altro…