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mercoledì 2 dicembre 2015

Sul tempo del lavoro, quello dello studio e quello della pensione.

Interessanti le due affermazioni del ministro Poletti rifilate in un paio di giorni: “Laurearsi a 28 anni con 110 e lode? Non serve a niente: meglio a 21 con 97″; “Dovremmo immaginare contratti collettivi che non abbiano come unico riferimento le ore lavorate“
E ieri, si è aggiunto Boeri, presidente di INPS, col suo “I nati negli anni 80 andranno in pensione dopo i 70 col 25% in meno di pensione” che riflette nei numeri cosa succede iniziando a lavorare a 30 anni con contratti che non prevedono quasi contributi versati.
Ci sono stati sindacalisti indignati  pronti a sollevare argomentazioni che mai hanno parlato alla maggioranza di cittadini. Ho letto di docenti o genitori affermare senza timore del ridicolo che la colpa è solo dell’università se i giovani hanno dei problemi a laurearsi. Poi c’è chi accusa il ministro di fare il gioco delle aziende sfruttatrici di mano d’opera, o di – semplicemente – non capire nulla del mondo reale. Sulla questione previdenziale pochi i commenti, anche perché tre sono le soluzioni: ricalcolare le pensioni di chi già le percepisce, rendere più efficiente la pubblica amministrazione e far pagare i contributi a chi non paga, tutte talmente impopolari che qualsiasi politico, sindacalista, confederazione, preferisce aspettare il 2040 quando ci sarà la rivoluzione dei sessantenni in povertà.
Quasi tutti i commenti svicolano il succo delle questioni con depistaggi paraculi tipo: “Il ministro offende chi si laurea a 28 anni perché nel frattempo lavora!”, “Vorrei vedere il lavoro di un infermiere o di una sarta non legato al tempo!

In fondo sono tutte ovvietà che per come vengono poste non danno risposte a nulla. A mio avviso emerge forte la necessità di ripensare completamente l’idea stessa di cosa sia la formazione e cosa il lavoro, per tutti (e non arroccarsi sulle mosche bianche col tempo indeterminato).
Quelle di Poletti sono due frasi brevi che dovrebbero sollevare piuttosto una lunga teoria di “dipende”, “è vero ma…”, distinguo ragionati che diano il senso di una società e di una economia complesse in cui permangono, ad esempio, molte professioni in cui il tempo contingentato da un contratto è centrale sia per la prestazione che a garanzia del lavoratore, e molte altre in cui è del tutto evaporato, in cui l’orario è una gabbia antistorica e nei fatti impedisce il lavoro di qualità e lo svolgimento stesso delle attività.

Le tre affermazioni, per caso o per scelta, solo connesse al Tempo. Forse è intorno a questo che la riflessione può trovare corpo. Da almeno 20 anni è finito lo schema che separava i tempi della vita attiva in studio-lavoro-pensione. Gli ambiti oggi si compenetrano, si alimentano, si sviluppano secondo schemi non più lineari (una volta: studio ragioneria = farò il ragioniere). Per la stessa ragione non ci si indentifica più in una professione e in una categoria (questa è una delle ragioni per cui il sindacato non è più vissuto come rappresentativo). Ci si riconosce professionalmente sulla base delle competenze possedute e della forza che si ha di generare opportunità. Si muta pelle su base annuale, e per farlo si sviluppano competenze acquisite con percorsi di apprendimento lungo tutta la vita, in luoghi diversi, con modalità varie, non necessariamente certificate o certificabili.  Alla pensione non si pensa, per non intristirsi, nella speranza di mettere da parte un gruzzolo che non ti faccia sentire dipendente dal poco che forse riceverai indietro dallo Stato dopo i 70 anni.
È complicato, non si è educati né formati per ragionare in questi termini, per avere cura e manutenzione del proprio futuro professionale. Si perdono un mucchio di anni senza un progetto, come senza un progetto paiono le università, molte aziende. 

Riprogettare il futuro, questa secondo me è la sfida a cui puntano le tre frasi  citate.

Tocca a tutti ma di certo è troppo gravoso per il singolo farlo su larga scala
Dovrebbe essere la missione di qualsiasi organismo di rappresentanza che a partire dalle esperienze virtuose dei singoli e dei piccoli gruppi dovrebbe diffondere i modelli e le soluzioni. E se non si parte dal fatto che le disparità oggi sono tropo grandi per essere reiterate nel futuro non si va da nessuna parte.

lunedì 23 novembre 2015

Bruxelles: come la conosco, amo e temo.

Frequento Bruxelles con regolarità da oltre 20 anni. Ci ho studiato, sviluppato progetti, ho frequentato centinaia di convegni e riunioni. Molti cari amici ci abitano; molti sono italiani e altri nati sotto ogni bandiera. Più di una volta sono stato tentato da ipotesi di lavoro sul posto ma, conoscendola, ho sempre valutato che per uno come me i contro fossero più dei pro. Insomma, il coprifuoco di questi giorni mi turba, preoccupa ma non sorprende.

È una città diversamente importante. Molto penalizzata dalla II Guerra Mondiale, rispetto alle altre capitali europee sembra quasi anonima. Forse avrebbe avuto un percorso identitario diverso se non fosse diventata la capitale della UE con un ruolo innestato dall’alto per evitare la lotta tra le capitali che contano davvero, quasi equidistante da Londra Parigi e Berlino. Ha un ruolo prestigioso che quando ci sei puoi godere per la concentrazione di opportunità, talenti, interessi, per le politiche che vi si discutono e prendono forma.
Negli anni è diventata però un centro-servizi per l’Europa perdendo molte dei requisiti che definiscono una città come tale. Tutto questo è avvenuto sulla testa di gran parte dei suoi abitanti spesso impegnati come comprimari a pulire, nutrire, curare, coccolare il mondo dei funzionari internazionali.

È una città divisa dove i conflitti si percepiscono all’istante, e si realizza come non siano su nessuna agenda politica. Lì c’è talmente tanta politica continentale che non si sente per nulla quella del Comune o della Regione, relegata a spazi interstiziali o funzionale a far vivere bene gli ospiti di riguardo.
Non si può dimenticare come il Belgio sia stato recentemente 540 giorni senza governo. I cinici hanno detto che le cose hanno funzionato meglio così. È stata una situazione politica oltre i limiti del paradossale, in grado di minare ogni fiducia per lo Stato, barzelletta tra i più, con alcuni analisti lesti a considerarlo come modello invece che come alieno tra le democrazie e ragione di preoccupante avvelenamento delle regole dello stato sociale.

La prima spaccatura che salta agli occhi è quella linguistica tra francesi e fiamminghi. Capisci subito che il tassista all’aeroporto di Zaventem preferisce ricevere indicazioni in inglese piuttosto che in francese. Gli amici che poi incontri ti dicono chiaramente che dopo 10 anni in città non hanno bisogno di sapere una parola di fiammingo.

Poi viene la divisione tra classi, caste quasi. Su un milione circa di abitanti, 100.000 sono funzionari della Commissione, della Nato, ambasciate e altre istituzioni. Molti tra loro sono trapiantati lì da percorsi di carriera, da stipendi spropositati rispetto a impegni e responsabilità, senza alcuna ragione di sentirsene veri cittadini. Non parliamo dell’1% di privilegiati caro a OccupyWallStreet ma di un 10% che nei fatti occupa tutto quello che di qualità esiste e succede in città. Per anni ho percepito dei miglioramenti alla qualità della vita, ora comprendo che a migliorare erano gli aspetti che volevo vedere: rispetto al passato si mangia molto meglio, ci sono mostre strepitose, trovi gli antiquari più interessanti d’Europa, tutto però per gli occhi e le tasche del solito 10%. Non è certo colpa delle persone che vi abitano ma la sproporzione tra i numeri segna a fondo il tessuto sociale.
La città è violenta, lo percepisci appena esci dalle quattro vie della movida (e a volte anche lì). Molti amici mi raccontano fatti di violenza quotidiana che – ad esempio – a Roma sono rarissimi. Vengono vissuti come parte naturale dello stare in città. Il Belgio è nelle prime posizioni in Europa per quasi ogni categoria di crimini (se avete perplessità in merito navigate questa mappa. o altre dello stesso genere da dati ufficiali).
C’è fin una separazione architettonica: cemento e vetro stanno radendo al suolo gli spazi e i quartieri tradizionali con una violenza e disarmonia rara e colpevole. Dopo un po’ che ci vai hai la sensazione che sia giusto e siano le abitazioni 'normali' a disturbare la scale e la possenza delle sedi del potere.

C’è un evento in particolare, gli OpenDays, a cui partecipo ogni anno: 5000 persone di  tutta Europa prendono parte in una settimana a centinaia di seminari che si tengono in parallelo in decine di sedi in tutta la zona delle istituzioni UE. È bello e utile prendervi parte. Ogni due ore ci si mette in movimento e un fiume di persone sciama da un posto all’altro, tutti col badge al collo, sciarponi di lana e voglia di capire il futuro. Negli ultimi anni, per questa transumanza da una sala all’altra, ho più volte scelto i percorsi più brevi e non quelli consigliati; a 200 metri dalla cittadella della Commissione ho trovato gli avamposti della città “di sotto”. Quartieri dove gli onnipresenti e sterili bistrot biologici con frullati al rabarbaro e mango cedono spazio a self service bisunti con menu completo a 7 euro, le boutique setose a rassegne di poliestere al 100%, i bar sono affollati di uomini nullafacenti e le donne non appartengono al panorama.

Sarà difficile ripartire, dire cosa sarà la città dopo il coprifuoco. Una strada può essere quella della polizia, di muri e divisioni sempre più alte e presidiate da videocamere e filo spinato, l’altra guardare invece alla costruzione di ragioni nuove e condivise del vivere assieme. Di certo occorre una forte guardia perché questo processo superi la fase embrionale, nei convegni della UE la chiamerebberro 'resilienza', una politica legittimata dagli abitanti che lavori per unire e sappia arginare Commissione Europea, costruttori e multinazionali, capace di creare pari opportunità per tutti. 

venerdì 13 novembre 2015

Di cosa parla IL DONATORE, il mio nuovo romanzo.

Mi ha contattato una studentessa che sta facendo una tesi sui nuovi strumenti di finanziamento social. Vuole avere il mio libro Il Donatore nella sua bibliografia poiché ‘ovviamente’ riguarderebbe i temi del crowdfunding e della collaborazione, tutti argomenti che bazzico da anni per lavoro.
Invece no. Proprio per niente.

Il Donatore è un romanzo, il mio ottavo libro di finzione dal 2005. Un testo in cui credo molto e che rispecchia la mia voglia di leggere la realtà in questo momento.

Come gli altri libri, nasce dall’urgenza di rispondere a domande che mi trovano impreparato, le cui possibili risposte mi spaventano anche.
Prima di tutto: il tempo indeterminato è un concetto superato anche nella coppia? Già nel mio precedente People from Ikea affrontavo il tema della flessibilità come strumento per sopravvivere. Stavolta però guardo nella coppia e provo a capire come pormi rispetto alle sfide frequenti che il tempo lancia al retorico “Finché morte non vi separi”? Intorno a me, come immagino a voi, tante coppie si avvitano in contraddizioni e difficoltà, spesso si sfaldano. Credo che nessuno possa tirarsi fuori dall'incertezza di fondo e dalle scelte quotidiane che, se rimandate, portano alla deriva.
In tal senso, racconto una storia al maschile, con un punto di vista diverso dalla maggioranza dei libri e dei film sul tema. Un libro sui sentimenti con con molta azione e distillati di ironia. Può piacere, straniare e forse anche a tratti irritare. Per questo cerco lettori e lettrici complici e aperti al rischio di non amare i protagonisti anche per il timore di immedesimarsi in loro.  

L’altro tema è quello della messa in discussione al nostro vivere cittadino, con priorità e desideri dettati da un ambiente artificiale, dall’alta densità di relazioni in cui si è immersi anche controvoglia. Questo viene messo in relazione con un ideale ritorno alla natura, alla montagna nel caso del mio protagonista. È l’idea del piano alternativo, che può diventare una fuga ma anche una ripartenza  
Tutte questioni che mi pongo immergendole nel presente e proiettandole in un futuro sempre capace di stupirmi.

Sto per iniziare le presentazioni che immagino come la proiezione dei personaggi nelle opinioni dei presenti. Non vedo l'ora. Si comincia con Roma e Genova, il resto d'Italia seguirà. 
In generale accetto proposte sia in luoghi formali come librerie e biblioteche che in spazi e modalità inconsuete come case private, associazioni, fate voi, Per saperne di più, leggete qui  


Il libro è disponibile da pochi giorni su tutte le piattaforme di vendita on line e la distribuzione sta via via rifornendo le librerie in tutta Italia, dove però non vergognatevi di ordinarlo.

lunedì 2 novembre 2015

Halloween a Roma, tra politica, dolcetti e scherzetti.

Sabato sera ero a una festa di bambini dove molti genitori parlavano di politica. Dopo essere stati tutti esperti di motociclismo per una settimana, gli italiani si sono scoperti tutti esegeti della politica capitolina; vivendoci,  vi assicuro che dal di dentro le cose sono assai diverse. Contribuisco con un po’  di opinioni e punti di vista raccolti e sentiti tra dolcetti e scherzetti. Molta rabbia, disullusione, parole in libertà. Parolacce, sfanculi e simili sono epurati:

Sul PD: Massacrato da tutti con precisione e competenza.
Il PD a Roma è finito, le persone schifate, le decisioni prese incomprensibili e faziose, su questo unanimità totale. C'è spaesamento perchè la città guarda da sempre alla sinistra con interesse, ma non è disposta a farsi fregare oltre il tollerabile. Le opinioni in merito spaziavano dai metodi dell'opaco Orfini definiti “fascisti” e “pericolosi”, specie per aver imposto le dimissioni ai suoi senza portarli in aula nell’evidente timore di non riuscire a controllarli; al classico “la pagheranno alle urne, la pagheranno cara.” Un diffuso “Questi vivono sulla luna, non hanno idea di cosa pensino gli elettori, sono loro i marziani.” "Barca ha detto che metà delle sezioni vanno chiuse, l'altra metà vanno trasformate in temporary shop". A un più sottile e caustico: “Il metodo Boffo in mano al PD romano diventa cicuta pura e ognuno di noi deve preoccuparsi.”

Su Marino: utile e inutile assieme.
Chiaro il commento dell'esperto: “Con Veltroni l’opposizione non esisteva, con Alemanno l’opposizione non esisteva, con Marino c’era solo opposizione perché l’Alieno aveva deciso di non atterrare nella merda che vedeva dappertutto e ha provato a spazzarla e a ripulirla.” Parecchi lo rivoterebbero. Molti non lo rivoterebbero ma “Marino è crollato perché invece di chiudere gli occhi ha schiacciato i piedi di tutti, e non è di certo un genio.”


Su Milano capitale morale:
“Questa cagata pazzesca di una città grande come il Tuscolano che vuol darsi delle arie e invece è marcia: con mezzo consiglio regionale inquisito, la mafia a ogni livello e l’Expo con più scheletri nelle fondamenta che la Salerno – Reggio Calabria”. “Cantone l’ha detto e due giorni ci ha rifilato Tronca, uno che mandava suo figlio alle feste con le auto di servizio, che come prima cosa è corso a leccare in Vaticano.” 
Una chiosa sull’Expo condivisa da molti “Ci sono stato e mi hanno fregato con una truffa in scala planetaria: se in un cinema ci stanno 300 persone e vendono 1000 biglietti tu che non vedi nulla non ti incazzeresti?  L’Expo era quel cinema moltiplicato per mille. La quantità è qualità solo per chi salta le code.”  "Una colossale occasione sprecata pagata da tutti noi."

Sul Vaticano:
Colorito il considerarlo “Una banda di scappati di casa per non lavorare, attenti solo al loro portafoglio, a non far adottare i bambini a chi li desidera, fuori dal tempo e dentro solo ai loro giochetti per mantenere aperte quattro scuole private per ricchi e a non pagare le tasse.” Utile a capire il “In Sicilia c’è solo la mafia, qui abbiamo la mafia e il Vaticano e non c’è davvero nessuna speranza.” Sul tema ho detto la mia su  un post precedente

La Repubblica
"Non serve neanche per accendere il caminetto: è stata schifosa e falsa per tutto il tempo sapendolo di esserlo e questo la rende degna del fallimento." "La tessera all'ordine dei giornalisti serve solo a entrare gratis allo stadio" "Vedrai se quel mentitore seriale di Francesco Merlo non ce lo ritroviamo eletto dal PD." In effetti, concordo, il quotidiano è stato indegno dellla sua storia e ha stampato pagine nere del giornalismo.

Sul Sindacato:
Analitico il “Marino è caduto due giorni dopo aver dichiarato nel silenzio generale che i 41 dipendenti comunali per cui è stata provata l’assunzione illegale da parte di Alemanno andavano licenziati”. Più circostanziato il “Stanno tutti a rompe li coglioni con questioni di diritto ma tutti timbrano il cartellino degli altri, si rubano pure le scrivanie e fanno quello che gli pare.” Opportuno “I sindacati hanno lasciato andare a schifo qualsiasi idea sensata sul lavoro in cambio di migliaia di assunzioni illegali.”

Sul M5S
“Se candidano qualcuno meglio dell’Asino di Buridano vincono a occhi chiusi.” Con aggiunte tipo “Se non vincono è perché se la fanno sotto a gestire Roma e non vogliono vincere.” In effetti la sensazione è che se riescono a presentare un candidato credibile e capace, magari già con la sua squadra di qualità e non i soliti scappati di casa col sorriso bianco come la fedina penale, vincono a mani basse.

Sulla Destra

Quando si parla della destra e di Alemanno, la Meloni, di gente così, i toni si abbassano: “Fanno paura, paura paura.” I danni fatti dal precedente sindaco con la complicità di questo stesso PD bruciano ancora sulla pelle di tutti quelli che prima di votare pensano  al bene collettivo e non al figlio da far assumere (e fortunatamente ce ne sono tanti).

Su Roma:
"Hai visto il cielo di questi giorni? Hai mai visto un cielo più bello in vita tua? Non esiste."

domenica 25 ottobre 2015

Cos’è e come funziona il Social Eating.

Da più di un anno sono iscritto come cuoco a una piattaforma di Social Eating. Nel mio caso si tratta di www.eatwith.com , nata in Francia, ce ne sono comunque diverse.
Ho fatto finora 6 cene. Sempre due commensali, tranne nell’ultima che erano quattro. Per loro era sempre ‘la prima volta’ in un contesto del genere, età tra i 35 e i 50, benestanti, amanti della convivialità. Si tratta di cenare a casa di sconosciuti di cui si sa qualcosa attraverso i meccanismi di creazione di fiducia tipici dei social, con cui la naturale riservatezza viene compensata dalla curiosità e dalla sensazione di poter vivere qualcosa di unico. Qualcosa di totalmente diverso dal ristorante.  
Adoro cucinare, ho spesso amici a tavola, sperimento anche quando ceno da solo, cerco anche da sempre di capire come il cibo e la convivialità generino dinamiche di relazione, accoglienza, affetto, comprensione. Ovviamente in quei casi  miei invitati sono ospiti, al massimo si presentano con una bottiglia di vino o una vaschetta di gelato (oltre che con un paio di amici invitati a sorpresa).
Nel socia eating invece le persone pagano per mangiare a casa tua. Tu fissi il prezzo e la piattaforma che mette in contatto e gestisce le transazioni ci aggiunge un 10% per il proprio servizio.
Il perché lo fanno e perché, le persone cucinano può a grandi linee dividere il modello in due grandi categorie:

I social chef PULL
Il mio caso. Mi sono iscritto al sito con le mie credenziali social, ho descritto l’ambiente della mia cucina, il fatto che a tavola potrebbero ritrovarsi anche i miei pupetti, ho messo le foto di un po’ di piatti possibili a titolo di esempio. Non faccio nulla di attivo, mi limito a segnare le giornate in cui posso ricevere ospiti. Sono anche disponibile a farli cucinare con me o a ipotizzare un giro mattutino al mercato assieme. Ogni tanto mi arriva un amail “Pascale vorrebbe cenare da te il 27, accetti?”
Se tutto questo (unito alle recensione degli ospiti precedenti) convince qualcuno, mi contattano. Se posso, il profilo di Pascale mi convince, le sue eventuali  richieste sono di senso (es. ben accetti celiaci, astenersi vegani), accetto. Allora discutiamo (poco)  di menù e di quello che vogliono e li aspetto nella sera e all’ora concordata. 
Il prezzo è il costo degli ingredienti per tutti i presenti al tavolo. Siccome poi offro assaggi, grappini etc, il costo è spesso solo una parte del rimborso alla spesa.
I miei ospiti (massimo 4) arrivano assieme e tra loro si conoscono sempre, sanno che sarò a tavola con loro con la mia famiglia a parlar di cinema, di Italia, viaggi, a dare consigli su come godersi Roma, sui nuovi percorsi di Street Art a Roma, a rispondere domande sul costo degli affitti nella mia zona, sulla provenienza dei porcini che ho accoppiato al pesce spada, sui quadri che ho alle pareti.  
Il cibo sarà una sorpresa per tutti i presenti.  
Lo faccio non più di una volta ogni due mesi, perché voglio dare il meglio, perché non è un gioco e loro si meritano l’accoglienza di uno non annoiato, perché la mia famiglia deve vivere la novità dell’ospite con entusiasmo. Sanno infine che faccio tutto questo anche per poter parlare un po’ il francese, difficile da praticare a Roma.

I social chef PUSH
Sono cene più organizzate e che vanno molto di più incontro al mercato. 
Ragionano dunque di comunicazione, programmazione di cene, stagionalità.
Sulla piattaforma, una italiana perfetta allo scopo è anche www.gnammo.it , chi apre la propria casa a ospiti presenta la cena, in una data da sé scelta, per un prezzo da fissato, per un menù esplicitato per intero dal principio. Spesso si tratta di eventi aperti a numeri maggiori (anche fino a 15-20 partecipanti).
Anche in questo caso, la reputazione conquistata con precedenti cene favorisce la scelta e rassicura tutti. L’organizzatore rimanda l’evento creato dalla piattaforma attraverso i propri social e con le proprie mailing list. Vi è dunque un importante lavoro di comunicazione non presente nel caso precedente da cui spesso dipende la riuscita della serata.  
In questa tipologia il padrone di casa è straimpegnato e la regia della serata deve essere più accorta e complessa, dedicando il tempo a tutti, includendo i timidi etc. In molti casi questo è favorito dal fatto che le cene sono a tema, o c’è l’ospite di riguardo (architetto, attore, …), magari qualcuno suona.
Sono cene conviviali, dove i commensali tra loro spesso non si conoscono e, anzi, usano l’occasione per allargare la cerchia delle relazioni, sia in ambito professionale che amicale. Per questa ragione è più bassa la presenza di stranieri, al tavolo si parla spesso italiano.

Responsabilità, fiscalità, rapporti con i vicini di casa? E’ tutto poco definito nel dettaglio. Sia chiaro: non si fa ristorazione ma si invitano persone a casa. 
Finché non c’è guadagno in chi ospita, si tratta di un contributo al costo della spesa. Per chi invece guadagna e lo fa spesso esistono i commercialisti, le leggi e la propria coscienza. 
Come per AirBnB, si stanno sviluppando forme assicurative ad hoc.
Come molte pratiche di Sharing Economy, il social eating intercetta bisogni e necessità reali e la realtà è anni avanti alla normativa, agli interessi corporativi, ai vuoti discorsi su certo turismo ‘esperienziale’ fatti dagli esperti di fuffa. Porta turisti nelle periferie e riempie di ricordi i carnet di viaggio. È bello, e mentre lo fai ti rendi conto che è intelligente, utile e mischia le idee generandone di nuove.   

venerdì 16 ottobre 2015

Vi racconto l'imperdibile Maker Faire a Roma.

We are Makers since the Big Bang” dichiarano i due cartelloni scritti a mano posti fuori dalla chiesa de La Sapienza per attrarre all’interno qualcuno dei 100.000 visitatori attesi quest’anno. Credo da sempre che i seminari formino i migliori copywriter sul mercato e anche questi non fanno eccezione. La passione e la voglia di cambiare il futuro, per i visitatori, hanno comunque qualcosa di messianico.
Per la prima volta all’interno della cittadella universitaria, la Maker Faire è colossale.  Era pienissimo di gente e oggi Venerdì 16 ottobre era solo il primo giorno.
Si tratta di circa 600 stand che presentano pavimenti che suonano se li calpesti, bici fatte di bambù o tagliate al laser, droni di ogni dimensione che svolazzano qui e là, orti idroponici da appartamento, stampanti 3D capaci di realizzare gioielli o case, tessuti in fibra di legno, tutori intelligenti, sensori che apprendono, una rock band di robot (stonata ma scenografica), una scatola nera per il trasporto di opere d’arte, robot per fare modellazione 3D degli spazi catacombali, specchi che portano il sole nel buio anche negli scantinati, macchine per scrivere sulle pappardelle. Poi robot che annusano, spostano, aiutano anziani, programmabili da bambini, realizzati con lego, gli scarti, la gomma.

A cosa serve tutto questo?

Non si sa, non è chiaro neppure agli espositori, e proprio per questa ragione è bellissimo. È necessario. È energia e sogno. È magmatico e si ridefinisce continuamente. 
In posti così capisci che il futuro è adesso. Se si trattasse di prodotti per il mercato la fiera sarebbe solo noia e grosse cravatte su giacche blu. Ogni stand è una sorpresa, ti accende neuroni, ti stupisce.
Sì, alcuni sono destinati al fallimento, altri meno, altri sono figate pazzesche: in questi casi è il tutto che acquisisce valore perché valgono tutti lo stesso rispetto e proprio dai fallimenti nasceranno le più grandi fortune.

Percepisci anche la distanza di quell’accozzaglia di cervelli dalle istituzione e dalla politica. Amici politici, andateci, almeno 4 ore, potrebbe cambiarvi la vita e dare ossigeno ai vostri neuroni. Anche l’Università che l’ospita sembra un guscio vuoto, e i palazzi diventano quinte polverose per  un dinamismo dimenticato tra quelle mura che è forse quello che ha fatto, centinaia di anni fa, nascere l’idea stessa degli studi superiori.

La curiosità è la leva che sposta le persone lì, la collaborazione è il pilastro che le cementa, la fiducia un prerequisito naturale all’essere lì. Il talento l’indicatore di reputazione.
Mi ha colpito la forte presenza femminile in tutti gli stand che leggo secondo due direttrici: più donne nelle facoltà scientifiche, nei gruppi di coding e nei fab lab, così come (finalmente!) la presa d’atto che la tecnologia senza l’umanesimo magari sviluppa mercato ma non ha impatto sulla società e lascia l’Italia sempre più in fondo alle classifiche.
In quei vialoni, oggi ho sentito davvero forte il senso della tanto declamata Social Innovation e di cosa voglia dire progettare con e non per.
Grande la presenza di designer. Intendo dire che le cose presentate erano spesso molto belle, molto più di quello che ti aspetteresti da un nerd o da chi pensa che le soluzioni siano responsabilità delle procedure. Grande attenzione quindi alla esperienza d’uso.
Mi ha sorpreso come gli stand delle grandi aziende come Google, Telecom o Microsoft elemosinassero visitatori a suon di gadget. Se li filavano in pochi, così come le loro soluzioni ‘chiavi in mano’ reperti di una preistoria fatta di SMAU e saloni del genere. A generare la ressa erano invece gli stand che abilitavano gli utenti a fare cose nuove, a esplorare strade, non a applicare procedure codificate in California per essere usate da Tivoli a Tahiti.  

Andateci, lasciatevi stordire, guardatevi intorno, fatelo per voi stessi e poi – chissà – darete anche voi vita a qualcosa di buono per tutti.

venerdì 2 ottobre 2015

Il Giubileo della Misericordia nel costato della città ferita.

Decido a sorpresa di invitare a casa tua 35 milioni di pellegrini e te lo dico con soli sei mesi di anticipo. Lo so, scherzi da prete! L’ultima volta, nel 2000, gli imbucati nella tua città per la mia festa erano solo 25 milioni e ti sei preparato per 4 anni. I tempi sono cambiati, bisogna stupire. Un Giubileo a sorpresa fa tutti felici, è come un democratico gratta e vinci dove la Chiesa stampa e benedice i coupon e tutti vincono, e vengono a grattare a casa tua. 

Tranquillo però: stavolta facciamo una cosa semplice, non voglio niente di ché. Dammi giusto qualche fontanella per l’acqua e due porchettari che spaccino merende; un menù a tarallucci e vino è perfetto. Magari, visto che ci siamo, fammi anche qualche via pedonale che porti di qui a lì, cessi a centinaia, e qualche parcheggio per migliaia di pullman. Per gestire la sicurezza io ci metto le guardie svizzere che spaventano i bambini e spazzano le cicche, tu pensa al resto. Se si ammalano, tengo aperta la Farmacia Vaticana; per il resto confido in te.
   
No, non puoi dire di no, questa non è mica una Olimpiade che prima di assegnartela verificano che tu abbia i requisiti, questa è la croce del Giubileo e devi portarla, ringraziare, sorridere ai pellegrini e darmi pure l'8 per mille.
So che hai un grande cuore. Sì, mi rendo conto che sei una città stremata dal maggior sconquasso accaduto da quando Romolo ha ucciso Remo. E con questo? Pensa positivo, keep calm, guarda avanti anche se la mafia è radicata in tutti i partiti di governo e opposizione; anche noi abbiamo parecchia brutta gente nell'organizzazione però siamo qui da duemila anni e anzi, valorizziamo le debolezze e organizziamo questi mega party per peccatori. 
So anche che hai i servizi di trasporto e la nettezza urbana in ginocchio, spolpati dalla politica, zeppi di dirigenti incapaci, sindacalisti conniventi e popolati dagli estremisti neri, però la festa del mio club è troppo importante. Sì, sanno tutti che i tuoi vigili urbani sono allo sbando e senza credibilità, e quelli dell’ufficio parchi e giardini quasi tutti al gabbio. 
Soldi? Fai tu, mi fido e mi riservo di lamentarmi dopo. Te ne darei anche un po’ se li avessi ma a mia insaputa mi impediscono di pagarti l’ICI sui miei hotel con la Madonna nell’ingresso e la piscina nel parco. 
Però sappi che ho parlato con la Provvidenza e mi ha assicurato che ci dà una mano. Non la conosci? È esattamente come la Protezione Civile, scende dall'altro senza elicotteri e se non fa il suo dovere non la puoi inquisire come Bertolaso.   

Sbrigati, su. Io non faccio parte dell’Unione Europea sai, e dunque se faccio le gare d’appalto uso la trattativa privata e in due settimane assegno i contratti a chi mi pare però, dai, per me anche tu potresti fare uno strappo. Lo so, per fare tutte le gare in regola ci vogliono almeno 12 mesi; accelera e dagli una botta. D’altronde l’hai già fatto per l’Expo di Milano. Ci saranno furti e illeciti? E chi se ne frega, tanto quelli del brand l’hanno chiamato Giubileo della Misericordia e basta una passeggiata sotto le 5 porte sante e i peccati di tutti saranno risciacquati via.

Poi, se proprio hai timore, a fare il capro espiatorio lasciamo Marino, l’utile idiota perfetto. 
Stava pure provando a aggiustare un po’ la città e se non arrivavamo noi col Giubileo Straordinario magari riusciva pure a sistemare questa città sbrindellata. Bell’idea, vero il nostro megaparty? Ci stanno ringraziando in molti. Gli abbiamo attizzato un roseto ardente sotto il Campidoglio: o scappa per il fumo o finisce arrosto. A forza di seminar zizzannia, abbiamo convinto il mondo che lui ha colpa ‘a prescindere’, perché tanto è quasi comunista, se la fa con i gay e non si inginocchia alla comunione, 'sto zozzone.  
La verità è che in realtà nessuna città al mondo potrebbe organizzare un party del genere in sei mesi. Se poi il Giubileo funziona, diremo che è stato un miracolo accaduto nonostante Marino. Qualsiasi casino sarà invece colpa sua.
Eh, bella la mia Roma, vedi, come è facile organizzare giubilei a sorpresa con le città degli altri.

Il tuo amato Stato del Vaticano