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sabato 6 ottobre 2018

Un aborto di civiltà.


Quando le mie due amiche sposate tra loro si sono chieste chi avrebbe portato avanti la gravidanza il tema mi si è presentato diversamente: cosa accadrebbe se in una coppia etero ci si potesse porre la stessa domanda. Io? Te? Ne facciamo uno per uno? Fosse così l’uomo di certo avrebbe opinioni molto più sensate sull’aborto, o semplicemente avrebbe dimostrato scientificamente che comunque è meglio che partorisca la donna. Perché a noi uomini piace governare le vite degli altri.

È davvero forte l’immagine delle donne ancelle in consiglio comunale a Verona. (Consiglio a tutti la lettura del libro o almeno la visione della serie televisiva a cui si ispirano “Il Racconto dell’ancella”di M. Atwood”). Nella storia sono donne costrette alla riproduzione controllata dall’autorità, senza identità ma solo con uno scopo, accudite e mantenute sane anche contro la loro volontà, corpi come contenitori.

Ricordo al corso prematrimoniale l’anziana coppia che ci ha fatto una tirata sull’innaturalità dei procedimenti della fecondazione in vitro. E poi di quando si è ricreduta visto che l'amato figlio ha avuto problemi a renderli nonni ed è ricorso a ogni trovata della scienza, legale in Italia e oltre.
Ricordo la dottoressa di un grande ospedale pubblico che non dava il proprio nome ai pazienti e fissava appuntamento per un ricovero “a mezzanotte” a chi chiedeva di poter esercitare il diritto di aborto nei termine previsti dalla legge.
Ricordo quel pratico ginecologo che spiegava “A Roma… non saprei. Le mie pazienti vanno tutte a Londra, due giorni, servizio impeccabile, vicino all’aeroporto, 1500 euro volo incluso. Tutto pulito e legale, si intende.”
Ricordo anche lo psicoterapeuta che spiegava come - da protocollo - la visita alla donna sia prevista solo prima dell'intervento e che "sarebbe interessante fare qualche studio su come le donne stanno dopo. Forse l'hanno fatto in Svizzera..." Lui, per stare sicuro, prescriveva sia i calmanti che gli antidepressivi.

Ricordo la coppia che usava l'aborto come metodo anticoncezionale, e la ragazza che ha dovuto farlo come unica via d’uscita da una situazione impossibile e dopo 30 anni ancora elabora il lutto. 
Il tema è di una complessità comprensibile solo con l’amore per le donne. Invece a parlare d’aborto è sempre una gamma di uomini aspiranti alfa col cervello in versione beta, non testato sul mondo reale ma governato solo sull’algoritmo dei loro desideri.

E l’idea di una “Città a favore della vita” mi ricorda il ridicolo pronunciamento ormai fuori moda di “Comune denuclearizzato”. Li ricordo i cartelli in paesini insignificanti: Melegnate, Cuzzolo sul Lento, Acquastretta, Grullo Superiore tutti ‘denuclearizzati’ perché - si sa - la radioattività rispetta le delibere, i confini catastali e il voto della maggioranza. E quando le Giuliette e i Romei dei consiglieri comunali avranno bisogno di una interruzione di gravidanza cercheranno un Comune che si dichiari a 'sfavore della vita' motivando con “la mia situazione è speciale…”, “dipende…”, “è per il bene della madre…”, "Sono giovani, hanno fatto uno sbaglio," aggiungendo "Posso avere il nome di quella clinica di Londra?"

“I diritti civili non sono nel contratto di Governo” ha detto giorni fa uno di questi sfascisti, chissà se su quello straccio di carta velina hanno messo la Libertà.

lunedì 3 settembre 2018

Tu avresti chiuso il ponte? Non ci credo.


Siamo nel 2014, in una relazione si dice che il Ponte Morandi è in condizioni critiche, che vi sono segnali di debolezza, che forse è a rischio. Alti dirigenti pubblici e privati non affermano le stesse cose, perlomeno non con la stessa urgenza. Alcuni tecnici sono d’accordo con loro, per altri bastano i lavori che si stanno facendo. Qualcuno vuole costruire una strada alternativa per sgravare il traffico sul ponte, utile magari il giorno che il ponte andrà rifatto, tra qualche decina di anni; alcuni comitati di cittadini si oppongono con forza.
Oggi eccoli in migliaia a berciare che qualcuno avrebbe dovuto chiuderlo per 2-3 anni di lavori, bloccando e stravolgendo la logistica in città. Chi lo avrebbe chiuso? Con quali coraggio e diritto? Lo avessero davvero fatto, voi che oggi fate i censori e i mugugnoni avreste detto che la chiusura era esagerata, che bloccava l’economia, che i ponti non crollano, che serve solo a far lavorare le aziende amiche della politica e a bruciare denaro pubblico, etc.

Intervenire... si dovrebbe.

A Napoli decine di migliaia di cittadini abitano follemente in zona a rischio eruzione del Vesuvio. Da decenni la politica oscilla tra fasulli piani di evacuazione, ipotesi di spostamento, scientifiche preghiere a San Gennaro e ampie di distribuzioni di tarallucci e vino. A Messina centinaia di persone sono in abitazioni provvisorie e malsane nate dopo il terremoto di inizio ‘900; molte trasformate abusivamente e oggetto di compravendita, eredità; il nuovo sindaco ha minacciato le dimissioni perché a nessuno in consiglio comunale interessa sistemare la cosa. A Taranto l’Ilva produce più tumori che utili, va superata ma nessuno ha la forza e le idee per imporre un modello alternativo, anche solo di dire la verità. A Roma, decine di ordinanze hanno sancito l’obbligo di abbattimento di decine di ville abusive sull’Appia Antica, non è però una priorità per l’amministrazione che si caga sotto solo all’idea di scontentare qualcuno. La Calabria è una regione persa, e solo una extradose di realismo, unione e coraggio potrà farla tornare in questo mondo, sempre che a qualcuno interessi davvero. Da sempre un lavoratore in cassa integrazione o mobilità a cui venisse offerto un lavoro e rifiutasse, perderebbe il suo sussidio; è una clausola mai applicata: chi dovrebbe farlo, l’operatore precario dei centri per l’Impiego col rischio di trovare le gomme della sua auto bucate all’uscita dall’ufficio? Quando un sito di previsioni meteo scrive che a Rimini o Sanremo pioverà nel weekend, e poi non capita, i comuni e il Codacons minacciano denunce ai siti per aver sbagliato e aver dirottato altrove i turisti.

Affrontare la realtà comporta decisioni impopolari.
Le decisioni impopolari sono possibili solo ai politici di grande spessore, sostenuti da cittadini che non pensino solo al proprio culo e portafoglio e abbiano visione di lungo periodo. Perchè la scienza spesso nelle sue conclusioni è probabilistica e indifferente ai meccanismi della democrazia, alle statistiche di gradimento, agli umori della piazza, ai like.

Se vuoi credere che si possa tutt’assieme diminuire le tasse, dare reddito a tutti, far funzionare scuole, autostrade e ospedali pubblici, tollerare l’evasione fiscale e il lavoro nero, chiudere un occhio su criminalità e inefficienza della pubblica amministrazione, allora dobbiamo provare a ragionare assieme passo passo su quello che è reale, sui sogni e gli incubi, sulle somme, le sottrazioni, le divisioni. Se non riusciamo a spostare l'attenzione da noi, la nostra felicità, al massimo dai nosti figli, alla felicità dei figli degli altri non avremo chance di un futuro migliore ma solo solitudine e paura da proiettare contro i più deboli.

Tu avresti nel 2014 chiuso il ponte? Per favore, parliamo d’altro… 

martedì 14 agosto 2018

Il Ponte, aorta di una città.


Scopro adesso che si chiamava Ponte Morandi, per me è sempre stato il Ponte della Nonna Angela.
Sotto le enormi campate c’è tuttora un quartiere di case popolari in larga parte destinate ai ferrovieri emigrati dal sud, arrivati negli anni ’40. Come i miei nonni, appunto. In quei 70 metri quadri hanno vissuto per 50 anni e i loro 13 figli hanno costruito le basi della vita al nord.

Me lo ricordo fin da piccolo. Saprei disegnarlo a occhi chiusi. 
Si vedeva da lontanissimo e avvicinandosi a piedi avevi modo di capire quanto fosse fuori misura ed imponente. Per me era come la presenza preistorica di una civiltà aliena, altissimo sopra le case, espressione di uno stile architettonico particolare. Unico nel suo genere. Forse bellissimo. Di certo l’orgoglio del quartiere e della città.
Era la forma più particolare e maestosa che avessi mai visto: nella mia classifica di bambino si giocava il primato solo con le linee della Michelangelo e della Raffaello, transatlantici di bellezza assoluta, miti dello stesso periodo storico. Per me era il design, la simmetria, la forza della bellezza al servizio dell’uomo.
Crescere lì, a pochi metri, attraversarlo sopra e sotto migliaia di volte, per lavoro, per andare al mare, a trovare amici, in Francia, sulle Alpi, all’aeroporto, dagli zii, dalla mia amica Pina, ha significato per molti (per me) trasformarlo in una icona del quotidiano. Era un vero simbolo. Cento volte più presente, possente e significativo  dell'irraggiungibile Lanterna.

Era da sempre in manutenzione, ristrutturazione o quello che volete. Bastava avere un amico nel settore per sentirsi dire “E’ fatto in calcestruzzo precompresso, non resiste. Va continuamente sistemato. È più complicato tenerlo su di come sia stato costruirlo.” Siccome sono un positivista ho sempre pensato che tutto fosse sotto controllo. Mi sbagliavo.

E ora? Voi che non siete di Genova, non potete capire la domanda. È caduto un ponte, suvvia…

No, è stata tagliata l’aorta della città, la strada che rendeva possibile attraversarla, collegarla con i mercati, portare i turisti, muovere la vita. Il ponte è caduto sulla ferrovia che porta le merci da/per il porto che rischia di strozzarsi e di perdere in un attimo il ruolo che verrà in pochi giorni ridistribuito in Italia e all’estero. Se una città non si muove perde qualsiasi ruolo e opportunità.
Metteteci pure che Genova non è servita dall’Alta Velocità, ha un aeroporto che non è mai decollato, indicatori della qualità della vita molto peggiori del resto del nord, un continuo saldo negativo degli abitanti, è gestita senza idee da molti anni, la principale banca è a pezzi, ha un territorio devastato da anni di incuria, ecco che la sfida diventa epocale. Genova non può farcela da sola.

Ci sono tantissimi talenti, energie capaci di affrontare anche questa, di farsi forza. Ci sono imprenditori validi che guardano all’Italia e ai mercato mondiali. Molti di loro non hanno ragioni di rimanervi se non quelle affettive e di legame con territorio. Se questo disastro non ha anche l’effetto di un elettrochoc allora davvero la fuga di tutto quello che ancora si muove rischia di diventare inevitabile. Invece la città deve diventare attrattiva, per chi studia, chi lavora, chi viaggia, chi cerca un posto diverso da ogni altro. Attrarre per evolvere, per innovare, per non spegnersi.

Che il ponte vada ricostruito subito è indubbio. In questi 3-4 anni sarà imperativo ripensare il rapporto tra città-abitanti-territorio.  Che quest’elettrochoc attraversi l’Università, le categorie, i molti immigrati, i zeneizi doc, chi ha il materasso infarcito di euro e chi porta in dote solo le braccia, fino a chi fino oggi si stava chiedendo la ragione vera dell’essere proprio lì ora. Stop al mugugno.
Questa non è un’alluvione in cui con fatica tremenda si cerca di riportare le cose a come erano prima. Questo è un punto di non ritorno.

In un sera così dolente mi permetto di essere ancora positivo: Genova ce la può fare, Genova non deve crollare.


lunedì 23 luglio 2018

"How to be Italian", nel Turismo, nel Lavoro.


Da un paio di mesi sperimento un’Esperienza su AirBnB: propongo una passeggiata di quattro ore per turisti dal titolo “How to be Italian”. Racconto ai partecipanti cosa ci differenzia dal resto del mondo nel pensare, gesticolare, vestire, mangiare, bere, corteggiare, gesticolare. E, soprattutto, mi soffermo sul perché siamo così. A prenotare sono prevalentemente americani.
Da anni avevo in testa di scrivere un libro sul tema e la diffusione del turismo esperienziale su grande scala mi ha dato l’opportunità di poter incontrare degli interlocutori interessati al tema, utili specchi alle mie riflessioni. Con loro il libro si scrive da solo.
A oggi, il bilancio è entusiasmante:
  1. I miei ospiti godono di una mediazione culturale personalizzata che nessuno mai gli propone. Da quello che mi scrivono capisco come cambi in loro la percezione del contesto, delle ragioni, delle esperienze che segnano la loro visita in Italia.
  2. Io ho profondamente cambiato le mie opinioni sul turismo e su molto mondo che mi passa accanto

Ho scoperto ad esempio come:
  • Molti, soprattutto gli americani e australiani, non abbiano il senso del Tempo e invece vogliano ‘fare’. È irrilevante raccontargli come un luogo abbia 2000 anni e illustrare l’avvicendarsi delle epoche o dei periodi artistici, dei Romani agli Etruschi, del gotico al romanico: ciò per loro non ha alcun senso reale. (Noi, d’altronde non abbiamo il senso dello Spazio che hanno loro.)
  • Anche per il motivo precedente, la maggioranza frequenta qualche museo perché ‘deve’, gli è ‘suggerito’, fa ‘cool’ con gli amici. Di solito sono gli Uffizi o i Vaticani, dove il selfie giustifica abbastanza la visita. Fanno la fila lì e disertano del tutto luoghi anche più interessanti che sarebbero adatti a inclinazioni personali che non sanno di avere. L’interessante video di Beyonce e Jay Z al Louvre ben esemplifica tutto questo.
  • Non ci comprendono come forse noi non comprenderemmo il Giappone, o come ci illudiamo di capire New York o New Orleans perché li abbiamo visti in tv. La loro assenza di prospettiva storica, la loro distanza da tutto quello che determina la nostra identità spostano i loro interessi dalle cose alle persone.

Mi è capitata una coppia che nei Musei Vaticani è stata soverchiata dalla folla e ne è subito uscita, senza rimpianti: lì ho capito perché ha successo l’americanata del “Il Giudizio Universale” in scena a teatro.
Molti, ripeto, molti, al quarto giorno a Roma non sono stati a Fontana di Trevi. Non parliamo dei luoghi o musei minori… è escluso arrivare fino a San Giovanni in Laterano, a Sant’Agnese, Villa Adriana o altro.
Però hanno fatto la pizza, fatto la visita ornitologica del Parco della Caffarella e passato una giornata tra i vigneti a Frascati.
Mi scrivono “Mi suggerisci cosa fare a Roma nei tre giorni che sono lì: chiese e musei non mi interessano.
Una coppia contenta mi ha detto, “Abbiamo visto Roma, Firenze, Bologna e Venezia. La nostra preferita è senza dubbio Bologna: bella, piccola e rilassata. Lì si passeggia e si prende l’aperitivo.”

La loro innata pragmaticità punta tutto sul fare. Questo non significa minore curiosità, voglia di relazione  o di conoscenza, però la loro priorità non è capire Cosa c’è in Italia ma Perché l’Italia è così, oggi.
Perché è così bella, varia, interessante, creativa, migliore di loro in svariati campi, perché qui si vive più a lungo e ci si suicida così poco, perché metà dei loro stilisti preferiti sono italiani, perché gesticoliamo parlando, perchè i nostri ospedali e scuole siano meglio delle loro e gratuite, perché il parmigiano non vada sulle linguine alle vongole o perché non camminiamo con un beverone in mano, perché da noi non ci sono attentati terroristici, perchè tolleriamo così tanto l'infrazione delle regole.
Alcuni poi - gratificati dal Perchè - esplorano anche il Cosa secondo nuove prospettive

Questa nuova e prepotente richiesta dal mercato è diffusa, ricca, per noi è un'opportunità nuova: di crescita personale, di nuovi business, di lavori, per dare sostanza a termini modaioli come ‘turismo esperienziale’ e trasforma davvero i turisti in ‘cittadini culturali’: non più concentrati su conoscenze da acquisire ma su competenze nuove per capire e capirsi.

È anche una opportunità unica per specchiarci e imparare molto di noi stessi.                 

sabato 9 giugno 2018

Ero anche io al Gay Pride 2018: ve lo racconto.

Quando posso vado al Gay Pride. Ci sono riuscito tre o quattro volte negli ultimi dieci anni. 
Ci vado perché lo reputo un termometro attendibile di cosa accade nel paese, perché mi ubriaca di bellezza e esagerazione, perché obbliga a pensare, perché è giusto farlo. 
Vado al Gay Pride, e vado pure al Family Day e alle manifestazioni politiche di molte bandiere. Il Pride è l’unico che non è mai contro qualcuno ma è per il diritto ai propri diritti, alla propria esistenza, all’ovvio. La differenza è tanta.

La mia prima volta è stata per il World Pride del 2000, concomitante al Giubileo a Roma. Quella volta ero al ciglio della strada, sorridevo e facevo foto. Era poco tempo prima prima che uno dei miei migliori amici facesse coming out, prima di conoscere le due ragazze innamorate che da poco si sono unite con l’ipocrita formula italica e hanno avuto un figlio, e i due amici che quel matrimonio l’hanno fatto davvero a Barcellona. Tutti loro, le loro storie, la loro vicinanza mi hanno fatto capire perchè dal bordo della strada occorra entrare nella sfilata.

Da queste giornate assorbo sempre un’esplosione di energia senza pari. E l’energia è il tratto distintivo di ogni Pride.

È un’energia diversa, da vivere, che attraverso le maschere di un carnevale arcobaleno, spesso allegorico porta
assieme la bellezza di ciascuno dei partecipanti e la difficoltà che nella vita quotidiana accompagna le vite di molti. 
Dovete vederle, assieme e orgogliose, le famiglie omosessuali; contare i gruppo di impegno; ricordarvi che esistono ancora, e sono molti, i sieropositivi che lottano per combattere i pregiudizi; vanno guardate negli occhi le ragazze che si tengono per mano sorridendo e si amano. Quest'anno c'erano sia l'Associazione Nazionale Partigiani che i gay israeliani, un capolavoro di pace e di forza che a Roma non si riesce a vedere neppure il 25 aprile.

Le donne oggi erano tante, secondo me più del solito. A mio parere, a Roma, grazie anche alla lotta e alla testimonianza di molti, negli anni scorsi si è molto stemperato il pregiudizio verso le coppie di uomini; ora è il momento di
prendere atto con della felicità che provano le coppie di donne e della naturalezza con cui vorrebbero, come ogni altra coppia, condividerla. Era il tempo che accadesse.

Mi ha molto colpito la normalizzazione che su molti piani l’economia sta facendo assai meglio della politica: c’era il carro dell’American Express, nutrite le delegazioni della Gillette e della Dash, della Tim e di tante altre grandi aziende (molte delle quali già consentono, ad esempio, la licenza matrimoniale alle unioni civili). L’acqua Vitasnella ha fin fatto la bottiglia arcobaleno; l’Inghilterra e il Canada avevano i loro carri musicali per convincere i turisti a passar da loro le vacanze.
   
La città poi era al massimo della bellezza, e gli arcobaleni dappertutto andavano verso il tesoro rappresentato da tutte quelle persone che esistono, vivono, amano e lavorano e che si sono sentite offese quando un neoministro ha dichiarato che le famiglie omosessuali non esistono.
Io esisto!” era infatti lo slogan più ripetuto, quasi parossisticamente, da decine di migliaia di persone in carne e ossa. “Meno male,” aggiungo io. 


domenica 27 maggio 2018

Come l'andare o meno in Turchia diventi un fatto di coscienza.


Ci sono delle possibilità teoriche che quando si verificano mettono in discussione i fondamenti del pensiero.
Non so voi ma io ho dei luoghi dove non vado e non andrei per una forma di obiezione passiva a quello che lì succede. Sono ben conscio che di paradisi in terra non ne esistano e che l’Italia è l’ultimo posto a qualificarsi come tale, tuttavia ci sono contesti dove l’ingiustizia è talmente istituzionale e conclamata che anche il solo fatto di recarmici come turista mi darebbe disagio e imbarazzo, quasi fosse una connivenza con chi quel sistema organizza e da quel sistema si arricchisce.

Questo valeva, ad esempio, per il Sudafrica ai tempi dell’apartheid; vale tuttora per Israele e la sua politica; mi impedisce di considerare la Cina una destinazione ludica; vale da un po’ di anni per la Turchia dove un regime dittatoriale rade al suolo i diritti del proprio popolo e di molti attorno.
Tutto è limpido finché di questo ne faccio una riflessione teorica, tanto per supporre, poi accade che… un amico caro che non vedi mai e con cui vorresti tanto passare più tempo ti propone “Ho un posto libero per andare assieme 5 giorni a Istanbul, in un hotel storico, è già tutto pagato, devi solo dire di sì.  

Lì comincia il mal di pancia: mai stato a Istanbul, desideroso di passare tempo con l’amico, affascinato dall’Oriente e dalla cultura bizantina, sento già i profumi e il bel rumore dei mercati.
Ci si aggiunge che durante una docenza incontro una corsista turca a cui confido il mio disagio nel rispondere all’invito. Lei obietta con un dolcissimo sorriso,  Ma in questo modo isoli le persone. Il turismo ci fa vivere ed è il nostro unico contatto col mondo esterno. Noi non siamo Erdogan.”
E il mal di pancia continua, qualcosa è lì bloccato senza andare né su e né giù. So che la complessità della geopolitica è tale da non poter mai considerare le cose del tutto bianche o nere. Un altro amico mi obbietta che Erdogan è l’unica soluzione ragionevole ai problemi di quella regione ben diversi dai nostri. So anche che però questo accomodare tutto con la ragioni pura rischia di creare un alibi a tutto.

Alla fine ho detto di no, ringraziando di cuore per l’invito. Le mie vacanze possono essere avventurose, e ne ho fatte parecchie di quel tipo, però non ignave. 
Non sei un giornalista né un fotoreporter, né ci devi andare per lavoro, mi sono detto. 
Lì non si divertono, e io non mi divertirei a scattare foto e comprar souvenir.
La parte più egoista di me se ne è pentita il giorno stesso che ho deciso, la parte più riflessiva si è compiaciuta, giacciono tristi e sconsolate. 

Mi sento a volte come uno che così giudica senza conoscere, poi mi convinco che la conoscenza non debba essere solo quella diretta, sempre e comunque parziale; poi mi dico che tutto è sempre parziale e soggettivo; poi aggiungo che vista la quantità di giornalisti e scrittori tenuti illegalmente nelle carceri turche, la mia rinuncia alle magnifiche moschee del Bosforo è il minimo sindacale per manifestare la mia opposizione a quel regime.

Insomma sono qui a lacerar la mia giacchetta comoda, e anche solo per scrivere questo post ci ho messo un mese. Però serviva a capirmi, per chiedere aiuto a chi sulla complessità abbia per caso qualche idea utile a fare delle scelte.

domenica 13 maggio 2018

Acquisti e non acquisti al Salone del Libro 2018


È difficile oggi mettere a fuoco i concorrenti del libro
Gli e-book si sono rivelati un'alternativa molto poco adatta, non rilevante in termini di impatti e fatturati e comunque hanno riguardato solo chi leggeva già. Il CERN di Ginevra cerca da anni l'ereader che abbia aumentato di almeno 1 il numero dei lettori nel mondo senza trovarlo.
Le statistiche 2017 dicono invece che il 58% degli italiani non legge niente, mai. E questa non è una battuta mal riuscita

Credo che Amazon e Co. siano grandi competitor delle librerie, e anche che abbiano i libri in catalogo solo per vendere videogiochi, telefonini, calzini coi puffi e sigarette elettroniche.
Ultimamente ho visto però clienti di librerie puntare l’app di Amazon sul libro che avevano in mano per comprarlo on line e riceverlo poi a casa, con lo sconto e l'oltraggio al libraio incorporati. 
Direi però che i competitor diretti dei libri (e del teatro e del cinema e del …) siano ormai le serie tv. Sono magnifiche, ben scritte, ruffiane, creano dipendenza, immergono in mondi, risucchiano il tempo delle serate e dei momenti finora dedicati alla cultura e spesso ti danno l’impressione di essere parimente inteligente a vederle. Ne puoi fin parlare nei salotti né più e né meno dei libri, con maggiori possiblità che chi annuisce davanti a te l'abbia davvero seguita.

Con idee confuse ecco allora come mi sia atteso qualche illuminazione dal Salone del Libro di Torino. Giovedì scorso ci sono andato. Gli editori erano piuttosto confusi e nel complesso senza strategie e tantomeno soldi. I piccoli sono di appassionati sognatori, i medi boccheggiano e i grossi sono troppo grossi per fallire. Qualcosa di nuovo sta forse nascendo in alcune nicchie e molto è su binari morti. 
Ho pure speso con gioia un mucchio di soldi in libri.
Ho soprattutto capito come occorra dire BASTA a:
  • Tutti i libri -centinaia - i cui protagonisti crescono/cambiano/diventano adulti nel corso di una calda estate, peggio se in meridione, peggio ancora se in Puglia (la Puglia ci ha sfinito, ditelo a chi di dovere)
  • Tutti i romanzi - decine - con occhi in copertina, anche con la parola ‘occhi’ o ‘sguardo’ nel titolo;
  • Tutti i romanzi in cui titolo includa le parole ‘mistero’, ‘biblioteca’ ‘perduto’ 'segreto' 'sentiero' e qualsiasi combinazione tra esse
  • Tutti i libri - milioni - che ti spiegano come si… vive / riordina / cucina / cura il cancro / nutrono i bambini / scoprono i tuoi talenti nascosti (che se ti serve un libro per capirlo vuol dire che... vabbé non te lo dico).
  • Tutti i libri che sono ‘la mia storia/biografia‘ a 20 anni come youtuber / influencer / rapper / trapper / fancazzista mantenuto e paraculo che però da giovane ho tanto patito e ora ho il mio meritato successo.
  • Tutti i libri illustrati per bambini, perfetti e eleganti per sedurre i genitori. Libroni cartonati che per 30 euro spacciano storie così pallose e così ben disegnate/acquarellate/xilografate che i bambini se le rollerebbero all'istante se la carta non fosse patinata.
  • Tutti i libri che ti spiegano come si scrive un libro, si trova l’ispirazione, si pubblica in barba a quelle brutte e cattive case editrici che invece di pubblicare i tuoi libri pubblicano quelli che ti spiegano come scriverli
  • I romanzi che raccontano di un/una giovane che ha dei poteri che non conosce e che poi li conosce e allora poi va in una scuola/posto/deserto/pianeta dove si fa degli amici/apostoli e impara a combattere il male che potrebbe distruggere la terra e far sparire ogni cosa inclusa la ricetta magica delle tagliatelle di nonna Pina (dal Vangelo a  Harry Potter a Percy Jackson in poi)

Quello che rimane forse ha senso, non occupa molto spazio sui vostri scaffali e se è brutto godetevelo comunque tra i rischi del lettore esperto.