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lunedì 23 luglio 2018

"How to be Italian", nel Turismo, nel Lavoro.


Da un paio di mesi sperimento un’Esperienza su AirBnB: propongo una passeggiata di quattro ore per turisti dal titolo “How to be Italian”. Racconto ai partecipanti cosa ci differenzia dal resto del mondo nel pensare, gesticolare, vestire, mangiare, bere, corteggiare, gesticolare. E, soprattutto, mi soffermo sul perché siamo così. A prenotare sono prevalentemente americani.
Da anni avevo in testa di scrivere un libro sul tema e la diffusione del turismo esperienziale su grande scala mi ha dato l’opportunità di poter incontrare degli interlocutori interessati al tema, utili specchi alle mie riflessioni. Con loro il libro si scrive da solo.
A oggi, il bilancio è entusiasmante:
  1. I miei ospiti godono di una mediazione culturale personalizzata che nessuno mai gli propone. Da quello che mi scrivono capisco come cambi in loro la percezione del contesto, delle ragioni, delle esperienze che segnano la loro visita in Italia.
  2. Io ho profondamente cambiato le mie opinioni sul turismo e su molto mondo che mi passa accanto

Ho scoperto ad esempio come:
  • Molti, soprattutto gli americani e australiani, non abbiano il senso del Tempo e invece vogliano ‘fare’. È irrilevante raccontargli come un luogo abbia 2000 anni e illustrare l’avvicendarsi delle epoche o dei periodi artistici, dei Romani agli Etruschi, del gotico al romanico: ciò per loro non ha alcun senso reale. (Noi, d’altronde non abbiamo il senso dello Spazio che hanno loro.)
  • Anche per il motivo precedente, la maggioranza frequenta qualche museo perché ‘deve’, gli è ‘suggerito’, fa ‘cool’ con gli amici. Di solito sono gli Uffizi o i Vaticani, dove il selfie giustifica abbastanza la visita. Fanno la fila lì e disertano del tutto luoghi anche più interessanti che sarebbero adatti a inclinazioni personali che non sanno di avere. L’interessante video di Beyonce e Jay Z al Louvre ben esemplifica tutto questo.
  • Non ci comprendono come forse noi non comprenderemmo il Giappone, o come ci illudiamo di capire New York o New Orleans perché li abbiamo visti in tv. La loro assenza di prospettiva storica, la loro distanza da tutto quello che determina la nostra identità spostano i loro interessi dalle cose alle persone.

Mi è capitata una coppia che nei Musei Vaticani è stata soverchiata dalla folla e ne è subito uscita, senza rimpianti: lì ho capito perché ha successo l’americanata del “Il Giudizio Universale” in scena a teatro.
Molti, ripeto, molti, al quarto giorno a Roma non sono stati a Fontana di Trevi. Non parliamo dei luoghi o musei minori… è escluso arrivare fino a San Giovanni in Laterano, a Sant’Agnese, Villa Adriana o altro.
Però hanno fatto la pizza, fatto la visita ornitologica del Parco della Caffarella e passato una giornata tra i vigneti a Frascati.
Mi scrivono “Mi suggerisci cosa fare a Roma nei tre giorni che sono lì: chiese e musei non mi interessano.
Una coppia contenta mi ha detto, “Abbiamo visto Roma, Firenze, Bologna e Venezia. La nostra preferita è senza dubbio Bologna: bella, piccola e rilassata. Lì si passeggia e si prende l’aperitivo.”

La loro innata pragmaticità punta tutto sul fare. Questo non significa minore curiosità, voglia di relazione  o di conoscenza, però la loro priorità non è capire Cosa c’è in Italia ma Perché l’Italia è così, oggi.
Perché è così bella, varia, interessante, creativa, migliore di loro in svariati campi, perché qui si vive più a lungo e ci si suicida così poco, perché metà dei loro stilisti preferiti sono italiani, perché gesticoliamo parlando, perchè i nostri ospedali e scuole siano meglio delle loro e gratuite, perché il parmigiano non vada sulle linguine alle vongole o perché non camminiamo con un beverone in mano, perché da noi non ci sono attentati terroristici, perchè tolleriamo così tanto l'infrazione delle regole.
Alcuni poi - gratificati dal Perchè - esplorano anche il Cosa secondo nuove prospettive

Questa nuova e prepotente richiesta dal mercato è diffusa, ricca, per noi è un'opportunità nuova: di crescita personale, di nuovi business, di lavori, per dare sostanza a termini modaioli come ‘turismo esperienziale’ e trasforma davvero i turisti in ‘cittadini culturali’: non più concentrati su conoscenze da acquisire ma su competenze nuove per capire e capirsi.

È anche una opportunità unica per specchiarci e imparare molto di noi stessi.                 

sabato 9 giugno 2018

Ero anche io al Gay Pride 2018: ve lo racconto.

Quando posso vado al Gay Pride. Ci sono riuscito tre o quattro volte negli ultimi dieci anni. 
Ci vado perché lo reputo un termometro attendibile di cosa accade nel paese, perché mi ubriaca di bellezza e esagerazione, perché obbliga a pensare, perché è giusto farlo. 
Vado al Gay Pride, e vado pure al Family Day e alle manifestazioni politiche di molte bandiere. Il Pride è l’unico che non è mai contro qualcuno ma è per il diritto ai propri diritti, alla propria esistenza, all’ovvio. La differenza è tanta.

La mia prima volta è stata per il World Pride del 2000, concomitante al Giubileo a Roma. Quella volta ero al ciglio della strada, sorridevo e facevo foto. Era poco tempo prima prima che uno dei miei migliori amici facesse coming out, prima di conoscere le due ragazze innamorate che da poco si sono unite con l’ipocrita formula italica e hanno avuto un figlio, e i due amici che quel matrimonio l’hanno fatto davvero a Barcellona. Tutti loro, le loro storie, la loro vicinanza mi hanno fatto capire perchè dal bordo della strada occorra entrare nella sfilata.

Da queste giornate assorbo sempre un’esplosione di energia senza pari. E l’energia è il tratto distintivo di ogni Pride.

È un’energia diversa, da vivere, che attraverso le maschere di un carnevale arcobaleno, spesso allegorico porta
assieme la bellezza di ciascuno dei partecipanti e la difficoltà che nella vita quotidiana accompagna le vite di molti. 
Dovete vederle, assieme e orgogliose, le famiglie omosessuali; contare i gruppo di impegno; ricordarvi che esistono ancora, e sono molti, i sieropositivi che lottano per combattere i pregiudizi; vanno guardate negli occhi le ragazze che si tengono per mano sorridendo e si amano. Quest'anno c'erano sia l'Associazione Nazionale Partigiani che i gay israeliani, un capolavoro di pace e di forza che a Roma non si riesce a vedere neppure il 25 aprile.

Le donne oggi erano tante, secondo me più del solito. A mio parere, a Roma, grazie anche alla lotta e alla testimonianza di molti, negli anni scorsi si è molto stemperato il pregiudizio verso le coppie di uomini; ora è il momento di
prendere atto con della felicità che provano le coppie di donne e della naturalezza con cui vorrebbero, come ogni altra coppia, condividerla. Era il tempo che accadesse.

Mi ha molto colpito la normalizzazione che su molti piani l’economia sta facendo assai meglio della politica: c’era il carro dell’American Express, nutrite le delegazioni della Gillette e della Dash, della Tim e di tante altre grandi aziende (molte delle quali già consentono, ad esempio, la licenza matrimoniale alle unioni civili). L’acqua Vitasnella ha fin fatto la bottiglia arcobaleno; l’Inghilterra e il Canada avevano i loro carri musicali per convincere i turisti a passar da loro le vacanze.
   
La città poi era al massimo della bellezza, e gli arcobaleni dappertutto andavano verso il tesoro rappresentato da tutte quelle persone che esistono, vivono, amano e lavorano e che si sono sentite offese quando un neoministro ha dichiarato che le famiglie omosessuali non esistono.
Io esisto!” era infatti lo slogan più ripetuto, quasi parossisticamente, da decine di migliaia di persone in carne e ossa. “Meno male,” aggiungo io. 


domenica 27 maggio 2018

Come l'andare o meno in Turchia diventi un fatto di coscienza.


Ci sono delle possibilità teoriche che quando si verificano mettono in discussione i fondamenti del pensiero.
Non so voi ma io ho dei luoghi dove non vado e non andrei per una forma di obiezione passiva a quello che lì succede. Sono ben conscio che di paradisi in terra non ne esistano e che l’Italia è l’ultimo posto a qualificarsi come tale, tuttavia ci sono contesti dove l’ingiustizia è talmente istituzionale e conclamata che anche il solo fatto di recarmici come turista mi darebbe disagio e imbarazzo, quasi fosse una connivenza con chi quel sistema organizza e da quel sistema si arricchisce.

Questo valeva, ad esempio, per il Sudafrica ai tempi dell’apartheid; vale tuttora per Israele e la sua politica; mi impedisce di considerare la Cina una destinazione ludica; vale da un po’ di anni per la Turchia dove un regime dittatoriale rade al suolo i diritti del proprio popolo e di molti attorno.
Tutto è limpido finché di questo ne faccio una riflessione teorica, tanto per supporre, poi accade che… un amico caro che non vedi mai e con cui vorresti tanto passare più tempo ti propone “Ho un posto libero per andare assieme 5 giorni a Istanbul, in un hotel storico, è già tutto pagato, devi solo dire di sì.  

Lì comincia il mal di pancia: mai stato a Istanbul, desideroso di passare tempo con l’amico, affascinato dall’Oriente e dalla cultura bizantina, sento già i profumi e il bel rumore dei mercati.
Ci si aggiunge che durante una docenza incontro una corsista turca a cui confido il mio disagio nel rispondere all’invito. Lei obietta con un dolcissimo sorriso,  Ma in questo modo isoli le persone. Il turismo ci fa vivere ed è il nostro unico contatto col mondo esterno. Noi non siamo Erdogan.”
E il mal di pancia continua, qualcosa è lì bloccato senza andare né su e né giù. So che la complessità della geopolitica è tale da non poter mai considerare le cose del tutto bianche o nere. Un altro amico mi obbietta che Erdogan è l’unica soluzione ragionevole ai problemi di quella regione ben diversi dai nostri. So anche che però questo accomodare tutto con la ragioni pura rischia di creare un alibi a tutto.

Alla fine ho detto di no, ringraziando di cuore per l’invito. Le mie vacanze possono essere avventurose, e ne ho fatte parecchie di quel tipo, però non ignave. 
Non sei un giornalista né un fotoreporter, né ci devi andare per lavoro, mi sono detto. 
Lì non si divertono, e io non mi divertirei a scattare foto e comprar souvenir.
La parte più egoista di me se ne è pentita il giorno stesso che ho deciso, la parte più riflessiva si è compiaciuta, giacciono tristi e sconsolate. 

Mi sento a volte come uno che così giudica senza conoscere, poi mi convinco che la conoscenza non debba essere solo quella diretta, sempre e comunque parziale; poi mi dico che tutto è sempre parziale e soggettivo; poi aggiungo che vista la quantità di giornalisti e scrittori tenuti illegalmente nelle carceri turche, la mia rinuncia alle magnifiche moschee del Bosforo è il minimo sindacale per manifestare la mia opposizione a quel regime.

Insomma sono qui a lacerar la mia giacchetta comoda, e anche solo per scrivere questo post ci ho messo un mese. Però serviva a capirmi, per chiedere aiuto a chi sulla complessità abbia per caso qualche idea utile a fare delle scelte.

domenica 13 maggio 2018

Acquisti e non acquisti al Salone del Libro 2018


È difficile oggi mettere a fuoco i concorrenti del libro
Gli e-book si sono rivelati un'alternativa molto poco adatta, non rilevante in termini di impatti e fatturati e comunque hanno riguardato solo chi leggeva già. Il CERN di Ginevra cerca da anni l'ereader che abbia aumentato di almeno 1 il numero dei lettori nel mondo senza trovarlo.
Le statistiche 2017 dicono invece che il 58% degli italiani non legge niente, mai. E questa non è una battuta mal riuscita

Credo che Amazon e Co. siano grandi competitor delle librerie, e anche che abbiano i libri in catalogo solo per vendere videogiochi, telefonini, calzini coi puffi e sigarette elettroniche.
Ultimamente ho visto però clienti di librerie puntare l’app di Amazon sul libro che avevano in mano per comprarlo on line e riceverlo poi a casa, con lo sconto e l'oltraggio al libraio incorporati. 
Direi però che i competitor diretti dei libri (e del teatro e del cinema e del …) siano ormai le serie tv. Sono magnifiche, ben scritte, ruffiane, creano dipendenza, immergono in mondi, risucchiano il tempo delle serate e dei momenti finora dedicati alla cultura e spesso ti danno l’impressione di essere parimente inteligente a vederle. Ne puoi fin parlare nei salotti né più e né meno dei libri, con maggiori possiblità che chi annuisce davanti a te l'abbia davvero seguita.

Con idee confuse ecco allora come mi sia atteso qualche illuminazione dal Salone del Libro di Torino. Giovedì scorso ci sono andato. Gli editori erano piuttosto confusi e nel complesso senza strategie e tantomeno soldi. I piccoli sono di appassionati sognatori, i medi boccheggiano e i grossi sono troppo grossi per fallire. Qualcosa di nuovo sta forse nascendo in alcune nicchie e molto è su binari morti. 
Ho pure speso con gioia un mucchio di soldi in libri.
Ho soprattutto capito come occorra dire BASTA a:
  • Tutti i libri -centinaia - i cui protagonisti crescono/cambiano/diventano adulti nel corso di una calda estate, peggio se in meridione, peggio ancora se in Puglia (la Puglia ci ha sfinito, ditelo a chi di dovere)
  • Tutti i romanzi - decine - con occhi in copertina, anche con la parola ‘occhi’ o ‘sguardo’ nel titolo;
  • Tutti i romanzi in cui titolo includa le parole ‘mistero’, ‘biblioteca’ ‘perduto’ 'segreto' 'sentiero' e qualsiasi combinazione tra esse
  • Tutti i libri - milioni - che ti spiegano come si… vive / riordina / cucina / cura il cancro / nutrono i bambini / scoprono i tuoi talenti nascosti (che se ti serve un libro per capirlo vuol dire che... vabbé non te lo dico).
  • Tutti i libri che sono ‘la mia storia/biografia‘ a 20 anni come youtuber / influencer / rapper / trapper / fancazzista mantenuto e paraculo che però da giovane ho tanto patito e ora ho il mio meritato successo.
  • Tutti i libri illustrati per bambini, perfetti e eleganti per sedurre i genitori. Libroni cartonati che per 30 euro spacciano storie così pallose e così ben disegnate/acquarellate/xilografate che i bambini se le rollerebbero all'istante se la carta non fosse patinata.
  • Tutti i libri che ti spiegano come si scrive un libro, si trova l’ispirazione, si pubblica in barba a quelle brutte e cattive case editrici che invece di pubblicare i tuoi libri pubblicano quelli che ti spiegano come scriverli
  • I romanzi che raccontano di un/una giovane che ha dei poteri che non conosce e che poi li conosce e allora poi va in una scuola/posto/deserto/pianeta dove si fa degli amici/apostoli e impara a combattere il male che potrebbe distruggere la terra e far sparire ogni cosa inclusa la ricetta magica delle tagliatelle di nonna Pina (dal Vangelo a  Harry Potter a Percy Jackson in poi)

Quello che rimane forse ha senso, non occupa molto spazio sui vostri scaffali e se è brutto godetevelo comunque tra i rischi del lettore esperto.  


venerdì 6 aprile 2018

Cosa sono e come cambieranno il turismo le Esperienze di AirBnB

Da parecchi anni mi occupo di sharing economy e social innovation. Per capirle e per cogliere le conseguenze di questi cambi di paradigma in termini di competenze per i lavoratori e gli impatti sull’economia. Oltre al leggere libri e frequentare convegni cerco di provarle. Ho condiviso auto, bici, moto, case; fondo e lavoro in spazi di coworking; faccio social cooking, uso ogni piattaforma almeno una volta.

Il mondo della condivisione ha molti vantaggi e molti limiti. Sono pratiche sostenibili per l’ambiente, rispondenti a bisogni di esperienza più che di possesso, divertenti, capaci di creare relazioni. Vedo però anche bene come spesso favoriscano un’economia in nero, lavoretti precari, concorrenza selvaggia e sregolata.
Si tratta di trasformazioni epocali, sotto i nostri occhi e vanno gestite al meglio per il valore che possono creare per singoli e comunità. E' impossibile reprimerle.

Occorre che la politica ne colga le opportunità per sanare per tempo le possibili distorsioni. In quest'ottica gli scontri tassisti-Uber o albergatori-AirBnB/Booking  si  potevano risolvere prima del nascere.

Oggi come una suocera stonata, sono di nuovo a scriverne sperando di non dover mai pronunciare “Io l’avevo detto…” quando il fenomeno sarà di nuovo sfuggito di mano.

Quattordici anni fa passai una giornata di luglio splendida  in mezzo al nulla della brughiera irlandese a far biglietti di Natale in carta, metallo, legno e altro, a casa di una signora molto creativa che non rinunciò a rifilarci il the delle cinque. Pagai il mio e uscii dalla mia (allora inconsapevole) prima esperienza di turismo esperienziale.
Poco più di un anno fa AirBnB ha lanciato le sue ‘Experiences’ sulla piattaforma già più usata al mondo per affittare camere o appartamenti. Sono subito un successo pazzesco con una crescita spaventosa. Hanno iniziato con poche città: Milano, Roma, Firenze, Venezia… da oggi è possibile offrire questi servizi  in tutta Italia.

Per capire, ho lanciato la mia Experience tre settimane fa e ho già ricevuto una decina di prenotazioni. La prima cliente è stata con una giornalista tedesca che su di me ha fatto un’intera puntata per un programma radiofonico nazionale. Mi sono divertito, ho imparato tanto, lei era soddisfattissima, io lo rifarò. Insomma… l’effetto è quello di una bomba e sposta di molto quello che può significar viaggiare.

Oltre che da seri giocherelloni come me, le Experiences sono offerte da un variegato movimento di appassionati, esperti della materia, disoccupati che si reinventano, piccoli imprenditori, storyteller con sacro fuoco del racconto, hobbisti che magari per 50 euro ti offrono una giornata con gli aquiloni al parco, l’osservazione delle starne sul Tevere,  un giro con bici vintage, fare gli gnocchi con la nonna, fare il pane con i migranti, contare i passi del dinosauro sulla montagna, la nottata col fantasma nel castello, la cena bendati, un minicorso di fotografia al parco, la pesca del merluzzo albino.
Tutte cose bellissime, nuove e rilassanti, che in una giornata a Roma o a Busto Arsizio possono tranquillamente sostituire un giro al museo, la coda per tirare la moneta a Fontana di Trevi, e talvolta pure una visita al Palatino intruppati in un gruppo.
Alcune esperienze esistevano già sul mercato e oggi hanno una piattaforma mondiale per moltiplicare il proprio bacino d’utenza; la stragrande maggioranza dell’offerta nasce proprio perché esiste la piattaforma. 
Ho capito che:
  • Le Esperienze scalate nella dimensione globale ribaltano il turismo per come lo conosciamo, aumentano spesso la qualità del legame col luogo, liberano cretaività, spingono allo slow turism e a permanenze più lunghe.
  • Metteranno in grande difficoltà il sistema professionale delle Guide Turistiche, Guide Escursionistiche e Guide Alpine, tutte categorie a cui si accede con determinati requisiti e che verranno scosse alle fondamenta.
  • Sono reali opportunità di socializzazione e rientro nel  mercato per chi non ha lavoro, ha competenze, sa qualche lingua, ama il suo territorio.
  • Sono anche una opportunità per gli hotel, i tour operator che sapranno cogliere il senso di un’offerta così diversa e integrativa,
  • L’offerta ‘tradizionale’ più intelligente le sta già inserendo con nuovi format  in cui si ripensa come luogo di scoperta, in un confronto dove le visite valgono il senso che esse assumono per i visitatori.

Se però non vengono pensati come parte di un più complessivo sistema turistico legato al terriotrio le Esperienze rischiano solo di alimentare un precariato già molto diffuso.
In fondo si tratta di nuove forme di autoimpresa e in tal senso occorre che si creino le condizioni perché questo insieme di attività venga esercitata al meglio, con chiarezza fiscale, certezze per clienti e operatori, senza finire però per strozzare di regole la creatività innata dell’offerta.

Visto che state facendo il Governo, mettete un po' di attenzione anche all'Esperienza (vostra e nostra ;-)

lunedì 2 aprile 2018

Ho assistito al Giudizio Universale, ve lo racconto.

Una decina di giorni fa sono stato a vedere Giudizio Universale: Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel” all’Auditorium della Conciliazione a Roma, il nuovo grande show teatrale e multimediale sugli affreschi della Sistina. Dura 60’, è stato concepito da Marco Balich & Co. per coinvolgere vecchi e giovani attraverso un format innovativo ed immersivo senza precedenti. Lo spettacolo è realizzato con la consulenza scientifica dei Musei Vaticani.
Per lo scopo l’Auditorium di Via della Conciliazione è stato completamente rifasciato alle pareti e soffitto con pannelli su cui decine di proiettori ad alta definizione disegnano la Cappella Sistina, e poi scene di conclave, effetti atmosferici, acqua e fuoco. Ho letto di molti milioni investiti. Si narra che rimarrà in scena per oltre un anno con due show al giorno.

La trama è quasi nulla: Michelangelo fa lo scultore di David a Firenze. Il papa Giulio II lo chiama a Roma per dipingere la volta della Sistina. Lui risponde “No, io sono uno scultore” e dopo un secondo comincia a dipingere. Trent’anni dopo, Clemente VII lo chiama per dipingere il Giudizio Universale, lui dice “No, io sono vecchio” e un secondo dopo inizia a dipingere.
Nei fatti, lo spettacolo è una specie di Bignami degli affreschi della Cappella Sistina: ogni scena dell’Antico Testamento presente sulla volta è descritta con i suoi riferimenti biblici, così come accade per il Giudizio Universale. La spiegazione delle voci narranti è scolastica, totalmente appiattita sui versetti delle scritture.
Nulla c’è di Michelangelo, che rimane del tutto bidimensionale. Non ci viene detto né come, né perché dipinge. Non sappiamo nulla delle sue idee, dei suoi soggetti e modelli. Niente neanche sulla storia degli affreschi, sui mutandoni dipinti per coprirli, eccetera.
Gli attori recitano (sarebbe meglio dire ‘si muovono lentamente’) tutti parlando in playback, sia per agevolare la realizzazione di spettacoli in lingua inglese (e poi magari altre lingue) che per dare qualche chance in più al marketing e poter dire ‘La voce di Michelangelo è di Favino’, cosa vera ma di poco conto, viste le trenta parole che dice in tutto lo show. Il famoso tema musicale di Sting si riduce solo alla canzone finale dal minuto '59 in poi, pure bella ma davvero miserella.
Nello spettacolo c’è qualche risibile balletto, con un paio di volteggi in stile 'Amici', fumo e vento come ho visto al saggio di danza di mia figlia. Simpatico è l’uso dell’incenso diffuso in sala nella scena del conclave.

Siamo però tutti lì perché nello spettacolo la tecnologia comanda, perchè essa è lo spettacolo, e Michelangelo solo il pretesto. Questo è il vero messaggio che trasmette quel guscio trasformato in affresco. L’intento dello spettacolo è di essere sostitutivo alla visita reale implicitamente tacciata di essere superata e noiosa (anche perché dopo aver speso qui almeno 20 euro difficilmente se ne trovano altrettanti per andare ai Musei Vaticani). Quello che si raccoglie di senso e sostanza è molto molto meno di una replica di Alberto Angela. Si sintetizza in “Dammi venti euro, stai comodo e ti risparmi la coda e il consumo delle suole ai Musei Vaticani per correre dritto alla Sistina e uscirne in meno di un paio d’ore,” questo è il sottomessaggio. E' talmente vero che già le recensioni dello spettacolo su Google sono confuse con quelle della Cappella Sistina vera. L'unica differenza lamentata è che all'Auditorium non si possono fare i selfie.

È come se il dio della tecnologia  ricreasse per gli spettatori del XXI secolo quello che un Dio forse vero, l'ispirazione, l'estro, e la vocazione hanno creato per pochi in Vaticano.

È davvero strepitoso l’effetto di decine di proiettori per ricreare ambienti, zoomare su dettagli, aggiungere e togliere figure possenti. L'iconico contatto tra Dio e l'Uomo in punta di dita sembra dedicato alla creazione di Photoshop. Talvolta si accendono così tante luci che tutto sconfina in un effetto-discoteca che sarebbe facilmente evitabile. Sparare su sei metri quadri il dettaglio perfetto di un coscione michelangiolesco ricorda più la pornografia che l’arte: avrà anche un pubblico ma non mi scalda né i neuroni né l'anima. 

Passati i primi venti minuti di pura curiosità, mi sono reso conto di come lo spettacolo sia uno spartiacque nelle scenografie digitali. Come capita a molte innovazioni basate sulla tecnologia, sia al servizio di sé stesso e della voglia di scatenare “Wow!” negli spettatori. Un’ora di wow però non si regge e alla fine ci sono pochi applausi e molta distrazione, specie da parte dei più giovani.  

Lo consiglio solo agli operatori del settore. Che settore? Qui mi sento d'essere molto trasversale. A chi fa teatro (registi, tecnici, sceneggiatori), a chi organizza eventi, allestisce musei e centri commerciali, a chi è stuzzicato dalle potenzialità della tecnologia applicata alle narrazioni. Mentre il trionfo del decibel e del lumen proseguiva io mi chiedevo “Cosa farei io conquesto carnevale di luci e videomapping?” e se questi pensieri vengono a me che sono solo un piccolo praticante, immagino quanto possano esaltare chi ha stoffa e talento.

Ho speso bene i miei soldi perché ho imparato qualcosa, non di certo però sulla Cappella Sistina.

giovedì 8 marzo 2018

Donne e Uomini, Vittime e Carnefici, Passato e Futuro.


L’ultimo a finire sui giornali è stato un italiano, un carabiniere che ha preso la pistola, ha sparato alla moglie, ucciso le figlie e si è suicidato. Un omicidio premeditato fin nei più piccoli particolari.
Nei prossimi giorni ci sarà la sentenza per l’omicidio ugualmente premeditato di Michela, una nostra amica, da parte del suo partner, un manager bancario. Michela era una donna radiosa, un’insegnante molto impegnata nell’educare studenti e studentesse al rispetto e alla giustizia tra i sessi.
La stragrande maggioranza di questi reati avviene per mano delle persone più vicine e fidate. Quasi sempre uomini incapaci di affrontare la realtà e la vita. Inermi di fronte alle difficoltà proprie e a quelle della coppia. Alcuni in cerca di una madre nella partner, tutti inabili alla costruzione del futuro assieme. Uomini convinti del possesso,non abituati alla sconfitta, così come all’uso della ragione.
Come ben si sa, non sono né il reddito né il livello scolastico a inquadrare il fenomeno, né a darci spunti per combatterlo.
Gli uomini coinvolti in atti di violenza ragionano male, vivono male, pensano male. Qualcosa dentro di loro non funziona, o ha smesso di funzionare negli anni o non si è mai acceso. Parliamo di adulti, e  dunque la colpa è loro. Trattano le donne come oggetti di proprietà, o nel mito incatramato della coppia perfetta hanno annegato proprie imperfezioni con cui non hanno mai fatto i conti.

In questi fatti, i rotocalchi cercano la causa scatenante, l’alibi, i fantasmi del passato, gli amanti misteriosi. I media fanno il possibile per razionalizzare i ‘fatti’ o scaricano tutto sul ‘raptus’ e la ‘follia’. Non puntano mai il dito alla Colpa. Vi è un chiaro rifiuto a portare la riflessione su milioni di persone, perlopiù uomini, che dovrebbero fare i conti col proprio essere adulti per darsi un modo diverso di vivere le relazioni affettive.
Sul tema, nella nostra cultura è diffusa una superficialità giustificabile col non voler porre mai le domande che contano. Perché succede? Ci si arrende davanti a risposte troppo complesse e – soprattutto - scomode.

Per quel poco che ho vissuto e conosciuto, ho contezza che per quanto il panorama delle relazioni appaia a volte desolante le donne di oggi stiano in Italia molto meglio delle nostre nonne, ed è da questo che vorrei partire per smantellare la tesi del raptus.

È il caso di ricordare come le nostre nonne (se avete 50 anni) o bisnonne (se ne avere 20-30) hanno in genere avuto delle vite di coppia di merda. Sia lette con i nostri parametri che con i loro: zero affetto, zero complicità, tante legnate e tante corna. Non amano parlarne, non vogliono; siccome era inevitabile, le hanno educate a non parlarne mai: occhi bassi e mente a Dio.
Se vi capita, fate loro domande perché spesso la loro intelligenza aspetta solo di dimostrare quanto non fossero fesse ma piuttosto tenute al giogo.
Dall’alba dei tempi fino al dopoguerra – pochi anni fa - gran parte dei matrimoni erano combinati dalla famiglia, un’altra bella fetta erano riparatori, altri ancora casuali nati grazie al parroco, alle inserzioni sui giornali e simili. Qualcuno d’amore, lo concedo, vere perle rare. Anche quelli d’amore avevano quasi sempre uno schema chiaro nei ruoli di forza e nelle regole che segnavano la distanza del maschile dal femminile. Le nostre nonne erano considerate donne degne dallo Stato e dalla Chiesa solo se si riproducevano parecchio. Questi parti numerosi rispondevano a necessità socio-economiche e ottenevano anche il risultato di tenerle impegnate e con la testa bassa, lontano da libri e civiltà. Oltre a quello dovevano gestire casa, cucinare, educare i figli, etc.
Gli uomini dovevano lavorare e portare a casa soldi, fecondare le mogli e quando ‘serviva’ sfogarsi con le prostitute. Questi criteri li rendevano bravi padri di famiglia.

Era così, punto. Un ordine millenario sancito da necessità ed equilibri di forza. Poco da dire e recriminare. Chi ci provava finiva all’indice se non schiacciata dagli schiaffoni. Era la regola in tutti i matrimoni. Non bello da raccontare. Un po’ come il fatto che in quegli anni quasi tutti erano fascisti e antisemiti, parlo sempre dei nostri nonni e nonne, e oggi che riabbiamo i fascismo alle porte si ritiene ancora indecoroso parlarne, per rispettare la memoria posticcia fissata nelle foto in bianco e nero in bugiardi album di famiglia. 

Le cose cambiano. Credo che dopo l’invenzione della ruota, nulla abbia trasformato il mondo come la pillola anticoncezionale. L’appropriazione da parte delle donne del controllo delle loro funzioni riproduttive è il grande punto di svolta, il primo passo per porsi in una relazione nuova con se stesse, l’economia, la famiglia, la coppia.
L’altro elemento centrale è stata la Pace. Le donne sono il motore e la forza maggiore di un periodo di pace, quale quello che per fortuna stiamo vivendo in Europa da almeno 60 anni. Se non occorre prendersi a mazzate la donna sa bene come manifestare la propria intelligenza, ricchezza e il proprio ruolo. L’uomo del '900 non era programmato per la pace.
L’accelerazione fu forte e la miccia del ’68 servì a contarsi, a scoprirsi una forza, a uscire dalla solitudine a rivendicare quello che è dovuto non solo come donne ma come esseri viventi.

Gli uomini? Eccoci.
Per uscire dalla cultura della clava e del conflitto, dopo millenni dobbiamo cambiare i modelli di riferimento. Di certo abbandonare quello dei nonni e in larga parte dei padri. Possiamo funzionare anche disarmati solo se gli uomini che ci hanno cresciuto riusciamo a amarli e rispettarli, consapevoli che ci sono aspetti per i quali non possono essere dei modelli, e che la nostra felicità passa anche nell’essere diversi da loro. Non può essere altrimenti anche perché le donne che incontriamo sono contemporanee e in tutto diverse dalle nostre madri (meno male, aggiungo).
Il mondo che voglio è un altro, la pace è troppo importante, le donne sono immensamente interessanti per non coglierne il valore.

Dobbiamo anche imparare a litigare con loro. Perché è umano, serve, capita. Ce ne sono pure di stronze, prevaricatrici, crudeli. ‘Come un uomo’ verrebbe da dire. A questi conflitti va applicata la ragione e la giustizia e, se ci vedono perdenti, devono essere un insegnamento, come ogni altro fallimento nella vita.
Chi non ci riesce, chi questo non l’ha capito, si ammala di rancori e rabbia. Diventa vittima di sé stesso e genera vittime attorno a sé.

Dunque. Non parlate più di follia, raptus, pazzia, non ci credo. Basta scuse! La violenza è l’arma dei perdenti. Come faceva ogni giorno Michela, insegniamo alle donne e agli uomini – fin da ragazzi e ragazze – a cogliere la forza negli altri, a valorizzarne la differenza e a identificare i comportamenti deviati rifiutando anche le piccole violenze che, se accettate, autorizzano implicitamente questi criminali a atti sempre più distruttivi e umilianti.